Il Corriere della Sera 1.12.04
Tra docenti universitari e avvocati aperto il dibattito sulla riforma
LA CINA E LA PENA DI MORTE "FORSE E' L'ORA DI ABOLIRLA"
I giuristi di Pechino: «Ci vorrà tempo, ma la via è segnata»
di Fabio Cavalera
PECHINO - Un pezzetto dopo l'altro il vecchio castello viene giù. Per la Cina di una volta provare a discutere la pena di morte così come la separazione del potere della politica dal potere della giustizia era sacrilegio assoluto. Adesso il motore delle trasformazioni è arrivato fino a coinvolgere le fondamenta del diritto penale. Siamo all'inizio. Nessuno sa pronosticare fino a dove approderà il confronto. Ma il dato certo è che le autorità non stanno ponendo alcuna censura - anzi al dibattito sulla riforma delle leggi fondamentali dello Stato in materia per l'appunto penale.
Allo stesso modo - con dibattiti che hanno avuto la funzione di percepire gli umori della società - era cominciato pure il percorso del riconoscimento della proprietà privata. Se ne è parlato in maniera quasi clandestina, dopodiché, passo passo, il cerchio è diventato così largo da coinvolgere partito e Assemblea del popolo. Un meccanismo che sembra ripetersi. La Cina ha bisogno di rispettare i suoi ritmi, spesso lentissimi. Ma si muove. Che sia comunque il segnaledi qualcosa di più profondo e incisivo che sta scuotendo l'anima del Celeste Impero? Qu Xinjin,professore all'Università di Politica e Giurisprudenza nel distretto Haidian, a ovest della capitale, risponde che la strada è segnata.
Fra un anno, fra dieci, fra venti «non so sbilanciarmi sui tempi, però, sono sicuro che il sistema della giustizia si evolverà». La sua convinzione non è campata per aria. Nei circoli dei penalisti, nelle università, fra gli avvocati il problema è all'ordine del giorno: è davvero possibile abolire la pena di morte? «Io credo di sì».
Dal 1979 in avanti la Cina non ha mai messo mano ai quattrocento e oltre articoli (dei quali una sessantina sulla pena di morte) che disciplinano la definizione e le sanzioni dei reati. L'esecuzione, la fucilazione, e prevista tanto per i cosiddetti attentati di carattere politico quanto per la corruzione grave, la violenza sessuale, il rapimento. Ci sono state piccole modifiche ma nulla che intaccasse la spina dorsale del sistema. Ora, spiega il professor Qu, fra gli studiosi si è messo in moto un processo di valutazione e di analisi sulla prospettiva di riformare profondamente il diritto penale. «Non abbiamo ancora coinvolto i funzionari dello Stato, i quali però sanno che in alcune università ciò è avvenuto e sanno pure quali sono state le nostre conclusioni».
Quarantenne con l'aria di chi prima di rispondere a una domanda ci sta a pensare un po'. Un volto ben squadrato e un ciuffo di capelli che penzola sulla fronte. Occhialetti di metallo, un golfino blu e una giacchetta, nonostante il freddo intenso che è appena sceso, il computer in mano. A Qu Xinjin l'etichetta di intellettuale appassionato, dai modi pacati ma risoluti, gliela appiccichi subito. C'è una nuova classe di liberi pensatori che si sta imponendo nel mondo accademico e che conta sempre di più al di fuori del binari tradizionali dell'ideologia comunista. Sono i laureati degli anni Ottanta. QuXinjin è uno di questi. Diploma, poi master.
La materia è delicata. Una frase fuori posto e si rischia di incappare nella maglie dei controlli. Almeno questo è ciò che pensi. Ti ricredi nel giro di un minuto. Il professore che insegna diritto penale non sembra avere alcuna diffidenza.E tanto meno paura. E' andato persino in televisione e ha raccontato la sua. Ripete che su una cosa gli studiosi si stanno ritrovando d'accordo: la pena di morte va abolita. «E' sui tempi che fra di noi ci sono giudizi diversi. I più moderati dicono che si può cambiare, ma che l'attuazione della riforma va differita di venti o addirittura trent'anni. Altri parlano di cinque o dieci anni. I più estremisti, chiamiamoli così, spingono perché avvenga subito. Io sono per il cambiamento ma so anche che occorre capire il sentimento della nostra gente». I primi sondaggi che qua e là sono stati effettuati, sondaggi non scientifici, sondaggi empirici via web o via telefono, «ci inducono a procedere senza avere troppa fretta, sette cinesi su dieci sarebbero infatti favorevoli alla pena di morte, persino fra i giovani e fra gli studenti la percentuale resta alta». La proposta di abolirla ci sarà ma non a brevissimo termine. «Forse, questa volta, è più preparato il sistema politico che non il popolo a un cambiamento così radicale». Resta il fatto che parlarne in pubblico è ormai tollerato, persino sollecitato. «E' un buon segno».
La Cina, che per altro continua a respingere ogni suggestione democratica (lo stesso presidente Hu Jintao ha sottolineato che la democrazia occidentale non è un modello adattabile al suo Paese), si sta chiedendo comunque quale sia il sistema giudiziario e penale più adatto a sostenere la sfida del mercato e della società nel prossimo futuro. Oltre che sulla pena di morte l'università, le facoltà di scienze politiche stanno segnalando l'opportunità di ragionare sul principio della divisione dei poteri.
I magistrati dipendono dalla politica? I magistrati sono di nomina politica? Oggi in Cina avviene chel'Assemblea del popolo elegge i magistrati della Corte Suprema, mentre le Assemblee locali eleggono i magistrati ai livelli più bassi. Dunque vi è una stretta dipendenza del potere giudiziario dal potere della politica. Che il quadro sia destinato a modificarsi è molto probabile. Lo segnalano due circostanze. Il Comitato centrale del Partito comunista, attraverso una «conferenza» per gli studi giudiziari, ha avviato una raccolta di informazioni in ambito accademico e, pur senza scardinare l'impianto in vigore, ha dato il segnale che la questione è all'ordine del giorno. Nonc'è fretta. D'accordo. In ogni caso è stato un bel passo in avanti. Come pure - e questa seconda circostanza va letta assieme alla prima - lo è la proposta avanzata daglistudiosi di provare ad avviare la riforma dalla periferia. Fare in modo che a nominare i magistrati dei tribunali locali non siano più le Assemblee del popolo ma i tribunali di livello immediatamente più alto.
Il professor Qu Xinjin è convinto che la fase dell'immobilismo sia definitivamente superata. «C'è un clima di libertà maggiore che consoliderà la via delle riforme». E' certo, il giovane titolare della cattedra di diritto penale, che il domani sia molto più vicino di quanto nonsi pensi. La Cina è capace di stupire in ogni momento. Gli studenti lo aspettano. Poi, Qu Xinjin correrà a un'altra conferenza. A ripetere che la pena di morte va abolita.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»