mercoledì 1 dicembre 2004

donne e uomini

Il Manifesto 1.12.04
Donne e uomini
LA FORZA DI SOTTRARSI AI RAPPORTI DI FORZA DONNE E UOMINI
di Luisa Muraro

La cosa che più stupisce, nel recente confronto tra Ferrara e Cacciari all'Università Cattolica, sui rapporti tra la cultura europea e l'islam, è il ritorno al pensiero forte della modernità - l'asse Spinoza-Hegel, per intenderci - da parte di Cacciari. Il filosofo arriva a parlare della scienza come basata su leggi universali e necessarie. Siamo alla fine del postmoderno? Èquello che ho pensato. Che previsioni possiamo fare per la cultura filosofica e politica che ha caratterizzato il passaggio dalla fine del comunismo allo stato di guerra permanente? Non lo so. Mi ha colpito che Ferrara registri, a modo suo, che nel confronto con l'islam le donne c'entrano, mentre Cacciari, che pure si dilunga sulla relazione di alterità, nulla dice dell'altro che è donna. Ne ha mai detto qualcosa? Forse no, ma almeno, quando scriveva di angeli, aveva l'idea che c'è altro: altro dal pensiero della sua formazione filosofica, ma comune alla tradizione cristiana, ebraica, islamica. Con la guerra, ecco che cosa succede, che i confronti s'irrigidiscono e alle esperienze, ai linguaggi, ai saperi che non ci stanno al nuovo regime, arriva l'ordine tacito e perentorio di sparire.
La vicenda delle due Simone parla però di un'altra possibilità. Forse le due non torneranno più in Iraq, ma si sono salvate e, come fa vedere il loro racconto, a questo esito felice ha contribuito il fatto che erano due, che erano amiche e che, con l'energia che emanava dalla loro amicizia, dalla loro bontà, dal loro sesso, sono riuscite a significare ai loro sequestratori che c'è un altro ordine da quello dei rapporti di forza.
Secondo me, la cosa più importante in questo momento storico è che le donne non spariscano per effetto di un loro adattamento totale al sistema dei rapporti di forza, che si tratti della guerra o dell'economia. Corrono questo rischio, di sparire, anche le donne che si schierano all'opposizione, nei partiti o nei movimenti.
Passo così a parlare del significato che io e altre abbiamo colto nella Lettera di Ratzinger sulla collaborazione della donna e dell'uomo. Per noi, quel testo è importante e nuovo perché ha idea di un senso libero della differenza sessuale, e lo fa parlare. Cito una sola frase: «Si deve accogliere la testimonianza resa dalla vita delle donne come rivelazione di valori senza i quali l'umanità si chiuderebbe nell'autosufficienza, neisogni di potere e nel dramma della violenza». S'intende, lo fa parlare secondo la visione del mondo propria dello scrivente, nella quale molte e molti non si riconoscono. Ma non dobbiamo appiattire una cosa sull'altra: sarebbe come inchiodare l'altro ad una rappresentazione immodificabile, qualunque cosa dica.
In un recente dibattito sulla Lettera di Ratzinger, ClaudiaMancina mi ha opposto che la differenza sessuale è un tema largamente presente già nella filosofia romantica. È vero, pensiamo per esempio a Humboldt (sul quale Donatella Di Cesare ha scritto un bell'articolo proprio su questo giornale, segnalando anche gli scritti sul tema in questione). Ma il punto riguarda il senso della differenza sessuale: i romantici pensavano la differenza nell'orizzonte totalizzante dell'Uno. Arrivare a fare uno è la direzione dominante del pensiero filosofico e politico della modernità e in questa prospettiva la differenza sessuale viene interpretata nella forma della complementarità Il senso libero del nostro essere donne/uomini nasce quando si mantiene la differenza e si rinuncia alla risposta della complementarità (e questa è la novità della Lettera, io dico). Il fatto dell'asimmetria tra i sessi resta così non aggiustato e diventa causa di lavoro simbolico (e quindi fonte di umanità): il pensiero (maschile) rinuncia a ridurrel'altro (che è donna) nel proprio orizzonte e trova il suo incipit non più nella definizione di sé (nell'identità) ma nell'ascolto e nell'interlocuzione conl'altro.
Questo - detto nei termini più intuitivi in un contesto ancora dominato dal neutro-maschile - è pensiero della differenza. E corrisponde ad una rivoluzione simbolica che in molte, uomini non esclusi, abbiamo intravisto, senza però attingerla pienamente. Un criterio che suggerisco sarebbe questo, che, nella teoria come nella pratica di vita, arriviamo al punto in cui l'affermazione dell'uguaglianza cede il passo al significarsi della differenza. Se non ci arriviamo, non ci sarà libertà delle donne, temo, oppure sì ma.., non ci saranno più le donne. Userò le semplici parole con cui sì è espressa Mary Catherine Bateson, la figlia di Gregory e di Margaret Mead: «In misura diversa, ognuna di noi (parla dì sé e di alcune amiche) ha subito discriminazioni per il fatto di essere donna; tutte siamo state qualche volta trattate come meno che uguali. Ma tutte siamo sempre alla ricerca di rapportidi differenza, un po' disorientate dalla necessaria accettazione politica dell'uguaglianza».
Quel punto in cui l'uguaglianza, ossia il diritto, cede il passo al significarsi della differenza, è rischioso, poiché da lì può passare la sopraffazione, ma ne vale la pena poiché lì si gioca la libertà femminile - altrimenti messa fuori gioco dall'applicazione della legge.
Torno a Cacciari che tenta,nel confronto con Ferrara, di strapparsi alla necessità dei rapporti di forza, che il suo interlocutore gli ha prospettato: «con la guerra o senza la guerra, dobbiamo difendere il nostro sistema di vita». Cacciari non riesce nel suo intento ed il suo intervento termina con frasi intricate. Cosa di cui io non mi sento di fargli carico, il problema essendo terribilmente intricato esso stesso. Ma una cosa gli imputo, di non essersi servito della politica delle donne.
L'umanità di sesso femminile ha una lunga storia di tentativi e di pratiche per strapparsi ai rapporti dì forza e far valereun altro ordine di rapporti. 01tre alla libertà femminile chec'è, poca o tanta, anche buona parte della civiltà di cui ancora godiamo, poca o tanto, viene da questa lotta. Con il pensiero femminista si è cercato - non senza conflitti e contrasti, come era inevitabile che fosse - di tradurla in un sapere. Abbiamo capito che il punto di svincolo dalla logica del più forte è nel saper sottrarsi alle simmetrie e alle contrapposizioni. E che, quando c'è relazione, non c'e identità irrinunciabile. La nostra formula più recente parla di saper fare un passo indietro, l'abbiamo scoperta grazie ad una vicenda recente, raccontata sull'ultimo numero della rivista Via Dogana (che l'ha messa nel titolo), nella quale si tratta proprio di rapporti con una comunità islamica di Milano. Fare un passo indietro perché ci sia posto per l'altro e perché altro possa avvenire, grazie alla relazione di scambio. Perché dobbiamo difenderci, se siamo capaci di cambiare?