Il Messaggero Venerdì 31 Dicembre 2004
La sfida cubista tra Platone e Einstein
di SILVIA PEGORARO
L’ARTE non ha altro fine che allietarci con la sua bellezza, ha detto Oscar Wilde. Il Novecento lo ha contraddetto, creando un'arte che in molti casi mira soprattutto a farci conoscere le leggi della nostra mente. Il cubismo ne è esempio eccellente, ed è anche una delle sfide più complesse per i neuroscienziati. La rappresentazione che il nostro cervello si costruisce, per categorizzare le cose che ci circondano, pare sia dovuta a gruppi di cellule che riconoscono gli oggetti senza far riferimento a un punto di vista privilegiato. Questa rappresentazione funzionerebbe, insomma, come una rappresentazione cubista. Possiamo rifletterci visitando la mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara (fino al 9 gennaio), organizzata in collaborazione con il Kröller-Müller Museum di Otterlo. Circa novanta opere, dagli albori del movimento, nel primo decennio del '900, sino alla fine della Grande Guerra e al cosiddetto “ritorno all'ordine”. Opere dei protagonisti, Picasso e Braque, ma anche Juan Gris, e di comprimari come Gleizes, Metzinger, Marcoussis, Le Fauconnier... Una mostra utilissima a farci percepire il cubismo come veramente fu: una folla di personalità diverse, di varianti, di eccezioni. Ma ci sono alcuni punti fermi. A un primo sguardo sulle tele esposte, ci accorgeremo che vi sono oggetti rappresentati, ma sono aboliti gli effetti luminosi (che identificano un particolare istante nel tempo) e la prospettiva (legata a un'unica posizione nello spazio). A distanza di tanti secoli, i cubisti rispondono a Platone, che nel X libro de La Repubblica aveva lamentato l'incapacità dell'arte di catturare l'oggetto da più di un punto di vista, cogliendo solo una sfaccettatura dell’“idea”. L'etichetta di “pittura concettuale”, proposta per il cubismo da Apollinaire, assume alla luce della teoria platonica un nuovo senso: quello di pittura dell'idea e dell'essenza. La rappresentazione cubista ritrae ormai gli oggetti come se fossero guardati simultaneamente da punti di vista diversi. Ecco la grande risposta all'istanza conoscitiva reclamata da Platone: il lavoro fondamentale dei cubisti è quello di trovare la soluzione al problema di come dipingere non solo ciò che si vede di un oggetto, ma anche tutto ciò che di esso si sa. Cézanne è il loro più vicino precursore. Una vita di ricerca estenuante, la sua, volta a conciliare gli opposti: il plein air luminoso e pulsante degli impressionisti e l'essenza “platonica”, ideale, geometrica delle cose. Proprio riferendosi a un suo quadro, un paesaggio, Matisse aveva detto che era «fatto di piccoli cubi». Il critico Louis Vauxcelles si era ricordato di quest'affermazione, quando in un suo articolo aveva forgiato il termine “cubismo”, a proposito di alcuni lavori di Braque, il maggiore protagonista, insieme a Picasso, di quello che sarebbe diventato uno stile, e un movimento artistico. La ricerca disperata di un impossibile equilibrio tra “aria” e “struttura” aveva portato Cézanne quasi alle follia. «Io non cerco, trovo», è invece la nota affermazione di Pablo Picasso. Con Les Demoiselles d'Avignon, nel 1907 sembra in effetti aprirsi improvvisamente un nuovo universo visivo, che manda in frantumi la concezione classica dello spazio. E' stato detto che la nascita del cubismo fu influenzata dalla teoria einsteiniana della relatività, proponendo l'equivalente dello sviluppo in fisica di un continuum spazio-temporale non-euclideo. In realtà, tale formulazione non venne completata in fisica sino al 1915-16. L'assenza del termine “quarta dimensione” dalla teoria della relatività fino al 1908 e l'assenza di una geometria non-euclidea fino a circa il 1916, fanno piuttosto pensare che l'arte abbia in qualche modo anticipato la scienza. Eppure, c'è anche un forte aspetto “conservatore”, nel cubismo: una scorsa ai titoli delle opere, e vedremo che sono perfettamente rispettati i tradizionali generi artistici: la natura morta (è presente la formidabile “Bottiglia di Bass, chitarra e asso di fiori” di Picasso, 1912 o 1914); il ritratto (c'è uno dei rari ritratti di Braque, La ragazza con la croce, del 1911); il paesaggio (dove spicca uno degli splendidi paesaggi di Braque, Il vecchio castello - La Roche Guyon, 1909); il nudo... Anche se il corpo umano diventa una lattescenza indistinta, un gioco di dissolvenze incrociate tra frammenti di spazio, nell'incredibile Nudo di Picasso,1910, in cui l'artista dimostra di aver completato il processo di rottura della forma chiusa. Ma è evidente che Picasso ha rinunciato all'aria viva e colorata di Cézanne. Paul Eluard definiva i suoi quadri «spogli di colore come ciò che si è abituati a vedere, come ciò che ci è familiare». È proprio lavorando questo non-colore (grigio, ocra, bruno) che, in pittura, il cubismo fa vedere la neutralizzazione dei colori che operiamo sugli oggetti che abitano la quotidianità della nostra esistenza. In questo, ci restituisce la realtà meglio di qualsiasi realismo naturalistico.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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