crimini cattolici
ancora sui battesimi forzati
La Stampa Tuttolibri 22.1.05
Ebrei e battesimi forzati fin dal ‘500
Elena Loewenthal
LA storia non è giustiziera, ma nemmeno giustificatrice», ha scritto di recente Claudio Magris in un illuminante editoriale comparso a margine delle polemiche intorno alla pubblicazione di uno scottante documento del Sant'Uffizio. Si tratta precisamente di una succinta serie di indicazioni da seguire nell'immediato dopoguerra, a riguardo dei "piccoli giudei", nascosti, protetti e battezzati dalla Chiesa cattolica e dalle sue istituzioni. Il documento è stato pubblicato a fine dicembre sulle pagine de Il Corriere della Sera e ha suscitato una catena di reazioni, riflessioni, di pro e contro. Anche perché, al di là di quei bambini fantasma per lo più senza volto né nome e con una storia così diversa da quella cui erano destinati, i protagonisti di questo episodio della storia recente - siamo nell'ottobre del 1946 - sono papa Pacelli, quel Pio XII per il quale si sta apprestando (ed è quasi doveroso aggiungere un "comunque") la beatificazione, e l'allora nunzio apostolico in Francia, Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. Fra documenti e responsabilità che s'intrecciano, a volte si contraddicono, le parole di Claudio Magris sono lo spartiacque della coscienza: è la storia stessa a esigere un coinvolgimento morale. Le circostanze contano, la posizione di Pio XII gli imponeva certi comportamenti e guidava in lui certe scelte, ma la verità è "madre del tempo": il passato esige un giudizio non solo storico, anche etico. «Se i bambini sono stati affidati (alla Chiesa) dai loro genitori e se i genitori ora li reclamano, potranno essere restituiti, ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il battesimo», enuncia l'ultimo punto di questo documento. Una frase breve e categorica. A ben guardare, però, dietro queste parole dal tono quasi burocratico è dato riconoscere in filigrana una storia lunga, secolare. Queste parole hanno un passato. Non sono soltanto il frutto di circostanze irripetibili (speriamo), hanno radici lontane. Sono l'imprescindibile tracciato di una storia che appartiene a tutti: ebrei e cristiani, grandi e piccini
Ce la racconta, irrimediabilmente solo in parte come ogni storia del passato, Marina Caffiero, che insegna storia moderna all'università "La Sapienza" di Roma, nel saggio Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi (Viella editore). Siamo negli anni compresi fra il XVI e il XIX secolo, e dentro un «fenomeno sociale e culturale di grande rilievo che si colloca all'origine di numerosi pregiudizi antisemiti». "Caccia agli ebrei" era il termine poco eufemistico che nel XVII secolo compariva tra i compiti degli ordinari locali: il "debito pastorale" della conversione "soprattutto di bambini e fanciulli" era giudicato molto importante, conferma nel 1627 il vescovo di Urbino, che si fa vanto di aver sottratto alla famiglia "un putto di 12 anni". Non è soltanto una storia di soprusi, o di salvataggi. Questo passato con i suoi risvolti religiosi, giuridici, etici, mette in gioco questioni ben più vaste dei destini individuali, sventurati o meno: il concetto di adulto e il valore del battesimo, lo statuto del "non nato", l'integrazione dei convertiti nella società cristiana, le dinamiche sociali fra i diversi gruppi, compreso quello in bilico fra una fede e l'altra. Marina Caffiero si affida allo studio di una ricca documentazione d'archivio e alterna allo spoglio di questi materiali considerazioni generali. Ne emergono tante storie che meritano di essere ricordate: per se stesse e per quelle venute dopo.