Il Venerdì di Repubblica del 21.1.05, pagg. 80/83
L'Italia vuole tornare in Cina e investe un milione, quello di Marco Polo
CON L'INTERVENTO DEL PROF. FEDERICO MASINI
Il Venerdi di Repubblica
L'ITALIA VUOLE SFONDARE IN CINA E INVESTE UN MILIONE.
QUELLO DI MARCO POLO
Le celebrazioni dei 750 anni dalla nascita del grande viaggiatore veneziano (che continueranno per tutto il 2005) sono una ghiotta occasione culturale. Ma anche l'opportunità per iniziare una nuova ricerca. Di mercato
Antonella Barina
Aveva 17 anni Marco Polo quando nel 1271 lasciò Venezia, affascinato dai racconti dei mercanti che approdavano in laguna carichi di seta e di spezie, e con il padre Niccolo e lo zio Matteo andò a cercar fortuna in Oriente. Ci vollero tre anni e mezzo per percorrere più di 12 mila chilometri sull'antica Via della Seta, fino a raggiungere Shangdu, la sontuosa capitale estiva di Kublai Khan, signore di un impero immenso, che si estendeva dal Fiume Giallo a tutta l'Asia centrale.
E una volta in Cina i Polo si fermarono 17 anni: Marco divenne corriere di fiducia di Kublai, inoltrandosi in terre inesplorate. Per fare infine ritorno a Venezia via mare, costeggiando Sumatra e l'India. E attraccare in laguna 24 anni dopo la partenza.
Marco Polo fu tra i primi a spingersi così lontano per riportare mercanzie e conoscenza. E il solo che al ritorno scrisse un libro come Il Milione quello straordinario racconto delle sue avventure Marco lo dettò allo scrittore Rustichello da Pisa, quando entrambi finirono prigionieri nel carcere dì Genova, per aver combattuto nelle battaglie tra Repubbliche marinare. Memorie di viaggio, raccolte per ammazzare il tempo in cella. Eppure svettate tra i bestseller di tutti i tempi. E rimaste per secoli la più preziosa fonte di notizie sulla Cina. Il Paese che oggi si prepara a diventare la principale potenza economica del mondo. Quello da cui sarà impossibile prescindere in futuro; quello che l'Italia si pente d'aver trascurato, rimanendo indietro rispetto al resto dell'Occidente in fatto di grossi investimenti.
Ed ecco allora che le celebrazioni dei 750 anni dalla nascita di Marco Polo, antesignano dei pionieri in Cina, diventano l'occasione per intensificare gli scambi culturali con la nuova tigre dell'economia mondiale. Inaugurate da un convegno nel novembre scorso (Marco nacque nel 1254), le iniziative continueranno tutto quest anno e per metà del 2006 con mostre e spettacoli a Romatro, Venezia e Pechino, programmi per le scuole e le università, congressi internazionali, seminari, pubblicazione di libri (vedi riquadro).
«Ma riscoprire Marco Polo non è solo una celebrazione» spiega Mario Sabattini, docente di Lingua e letteratura cinese all'Università di Venezia e direttore dell'Istituto italiano di cultura a Pechino fino al 2003. «Benché fosse un uomo del Medioevo, il suo approccio alla Cina era estremamente moderno. Perché lui descrive le meraviglie che incontra senza esprimere giudizi o pregiudizi; né quel senso di superiorità che invece caratterizzò i rapporti occidentali con Pechino nell'Otto-Novecento. Marco dimostra un rispetto e una disponibilità a comprendere le culture diverse, che è importantissimo rilanciare nel periodo multiculturale odierno».
I Polo, solida famiglia di mercanti, si spingono a Levante «per guadagno» (parole di Marco). Capostipiti dei tanti commercianti italiani che ancor oggi contano sulle risorse e l'industriosità cinese per irrobustire i propri affari. «In realtà gli scambi economici con la Cina sono iniziati almeno duemila anni fa, all'epoca degli antichi romani» racconta il sinologo Federico Masini, preside della Facoltà di Studi orientali di Roma e vicepresidente del Comitato nazionale per le celebrazioni dei 750 anni di Marco Polo. «Ma allora i rapporti erano indiretti: mercanti persiani e dell'Asia meridionale fungevano da intermediari. Solo all'epoca dei Polo si arriva direttamente alla fonte. Grazie alla pax mongolica: al fatto che quasi tutta l'Asia era controllata dall'impero mongolo del Gran Khan, che garantiva la sicurezza dei traffici lungo le piste carovaniere. Ma la Via della Seta torna a essere a rischio nel Tre-Quattrocento. E gli scambi si diradano. Per riprendere soprattutto via mare dopo le grandi scoperte geografiche, quando in Cina arrivano i gesuiti»
L'anima commerciale dei cinesi è ben radicata, da sempre. «La loro scarsa propensione per la religiosità li spinge soprattutto a cercare di migliorare la propria realtà terrena» continua Masini. «Se l'agricoltura serve a sfamare tante persone, il commercio serve ad accumulare ricchezza. E ieri come oggi la Cina è il Paese con il più alto tasso di risparmio».
Dopo quasi quarant'anni di steppe, montagne, deserti battuti dal vento e dalle tempeste di sabbia (quelle "voci" e "visioni" che, racconta Marco, si levavano dal terribile deserto del Gobi, disorientando i viaggiatori), i Polo raggiungono una civiltà stupefacente. Proprio come quella che oggi sbalordisce chi atterra a Pechino, Shangai, Nanchino: selve di grattacieli che in dieci anni hanno sostituito i vecchi quatieri fatiscenti, battendo ogni record mondiale con la più alta torre della tv o il più esteso centro commerciale. Dice Sabattini «La Cina che incantò Marco Polo era un Paese in continua trasformazione, assai più avanzato dell'Europa sul piano tecnologico: aveva già la carta, la stampa, la bussola, la polvere da sparo, la cartamoneta.... Invenzioni che in Occidente saranno all'origine dell'era moderna. E la capitale di allora, l'attuale Xian, era una città cosmopolita con due milioni di abitanti, mentre Venezia ne aveva poche decine di migliaia».
La Cina era al centro di un impero ben più vasto di quello romano all'apice della sua espansione. Un'alleanza con Kublai Khan faceva sognare il papato con il disegno strategico di prendere in una tenaglia il mondo musulmano che da due secoli minacciava la cristianità. «Anche oggi è importantissimo, per l'Occidente, allearsi con la Cina» continua Masini. «E non solo perché nella lotta al terrorismo islamico Pechino condivide i valori occidentali. Anche perche la Cina finirà per sopravanzare gli Usa sul piano economico e militare: con un tasso di sviluppo del 10 per cento annuo ha già un effetto traino sull'economia mondiale; e prima o poi modernizzerà anche il suo arsenale militare. La vera sfida? Sarà vedere se riuscirà a imporsi come potenza culturale»
Masini conclude. «Riproporre oggi la figura di Marco Polo, che fu tra i primi a riconoscere le enormi potenzialità cinesi, è un invito a riprendere un'antica tradizione. Tra i Paesi occidentali, l'Italia poteva vantare in passato una storia di rapporti con la Cina unica al mondo: grazie all'antica Roma, alla Venezia di Marco Polo, ai gesuiti... Poi, a partire dall'Ottocento, ha incominciato a perdere i vantaggi storici acquisiti. Per finire in coda negli ultimi anni, da quando Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna hanno fatto grossi investimenti produttivi. E culturali: offrendo a quella che poi è diventata la nuova classe dirigente cinese la possibilità di studiare nelle loro università. Insomma, è ora che l'Italia recuperi il tempo perduto. E Marco Polo e un ottimo spunto: lui era all'avanguardia».
L'ITALIA VUOLE SFONDARE IN CINA E INVESTE UN MILIONE.
QUELLO DI MARCO POLO
Le celebrazioni dei 750 anni dalla nascita del grande viaggiatore veneziano (che continueranno per tutto il 2005) sono una ghiotta occasione culturale. Ma anche l'opportunità per iniziare una nuova ricerca. Di mercato
Antonella Barina
Aveva 17 anni Marco Polo quando nel 1271 lasciò Venezia, affascinato dai racconti dei mercanti che approdavano in laguna carichi di seta e di spezie, e con il padre Niccolo e lo zio Matteo andò a cercar fortuna in Oriente. Ci vollero tre anni e mezzo per percorrere più di 12 mila chilometri sull'antica Via della Seta, fino a raggiungere Shangdu, la sontuosa capitale estiva di Kublai Khan, signore di un impero immenso, che si estendeva dal Fiume Giallo a tutta l'Asia centrale.
E una volta in Cina i Polo si fermarono 17 anni: Marco divenne corriere di fiducia di Kublai, inoltrandosi in terre inesplorate. Per fare infine ritorno a Venezia via mare, costeggiando Sumatra e l'India. E attraccare in laguna 24 anni dopo la partenza.
Marco Polo fu tra i primi a spingersi così lontano per riportare mercanzie e conoscenza. E il solo che al ritorno scrisse un libro come Il Milione quello straordinario racconto delle sue avventure Marco lo dettò allo scrittore Rustichello da Pisa, quando entrambi finirono prigionieri nel carcere dì Genova, per aver combattuto nelle battaglie tra Repubbliche marinare. Memorie di viaggio, raccolte per ammazzare il tempo in cella. Eppure svettate tra i bestseller di tutti i tempi. E rimaste per secoli la più preziosa fonte di notizie sulla Cina. Il Paese che oggi si prepara a diventare la principale potenza economica del mondo. Quello da cui sarà impossibile prescindere in futuro; quello che l'Italia si pente d'aver trascurato, rimanendo indietro rispetto al resto dell'Occidente in fatto di grossi investimenti.
Ed ecco allora che le celebrazioni dei 750 anni dalla nascita di Marco Polo, antesignano dei pionieri in Cina, diventano l'occasione per intensificare gli scambi culturali con la nuova tigre dell'economia mondiale. Inaugurate da un convegno nel novembre scorso (Marco nacque nel 1254), le iniziative continueranno tutto quest anno e per metà del 2006 con mostre e spettacoli a Romatro, Venezia e Pechino, programmi per le scuole e le università, congressi internazionali, seminari, pubblicazione di libri (vedi riquadro).
«Ma riscoprire Marco Polo non è solo una celebrazione» spiega Mario Sabattini, docente di Lingua e letteratura cinese all'Università di Venezia e direttore dell'Istituto italiano di cultura a Pechino fino al 2003. «Benché fosse un uomo del Medioevo, il suo approccio alla Cina era estremamente moderno. Perché lui descrive le meraviglie che incontra senza esprimere giudizi o pregiudizi; né quel senso di superiorità che invece caratterizzò i rapporti occidentali con Pechino nell'Otto-Novecento. Marco dimostra un rispetto e una disponibilità a comprendere le culture diverse, che è importantissimo rilanciare nel periodo multiculturale odierno».
I Polo, solida famiglia di mercanti, si spingono a Levante «per guadagno» (parole di Marco). Capostipiti dei tanti commercianti italiani che ancor oggi contano sulle risorse e l'industriosità cinese per irrobustire i propri affari. «In realtà gli scambi economici con la Cina sono iniziati almeno duemila anni fa, all'epoca degli antichi romani» racconta il sinologo Federico Masini, preside della Facoltà di Studi orientali di Roma e vicepresidente del Comitato nazionale per le celebrazioni dei 750 anni di Marco Polo. «Ma allora i rapporti erano indiretti: mercanti persiani e dell'Asia meridionale fungevano da intermediari. Solo all'epoca dei Polo si arriva direttamente alla fonte. Grazie alla pax mongolica: al fatto che quasi tutta l'Asia era controllata dall'impero mongolo del Gran Khan, che garantiva la sicurezza dei traffici lungo le piste carovaniere. Ma la Via della Seta torna a essere a rischio nel Tre-Quattrocento. E gli scambi si diradano. Per riprendere soprattutto via mare dopo le grandi scoperte geografiche, quando in Cina arrivano i gesuiti»
L'anima commerciale dei cinesi è ben radicata, da sempre. «La loro scarsa propensione per la religiosità li spinge soprattutto a cercare di migliorare la propria realtà terrena» continua Masini. «Se l'agricoltura serve a sfamare tante persone, il commercio serve ad accumulare ricchezza. E ieri come oggi la Cina è il Paese con il più alto tasso di risparmio».
Dopo quasi quarant'anni di steppe, montagne, deserti battuti dal vento e dalle tempeste di sabbia (quelle "voci" e "visioni" che, racconta Marco, si levavano dal terribile deserto del Gobi, disorientando i viaggiatori), i Polo raggiungono una civiltà stupefacente. Proprio come quella che oggi sbalordisce chi atterra a Pechino, Shangai, Nanchino: selve di grattacieli che in dieci anni hanno sostituito i vecchi quatieri fatiscenti, battendo ogni record mondiale con la più alta torre della tv o il più esteso centro commerciale. Dice Sabattini «La Cina che incantò Marco Polo era un Paese in continua trasformazione, assai più avanzato dell'Europa sul piano tecnologico: aveva già la carta, la stampa, la bussola, la polvere da sparo, la cartamoneta.... Invenzioni che in Occidente saranno all'origine dell'era moderna. E la capitale di allora, l'attuale Xian, era una città cosmopolita con due milioni di abitanti, mentre Venezia ne aveva poche decine di migliaia».
La Cina era al centro di un impero ben più vasto di quello romano all'apice della sua espansione. Un'alleanza con Kublai Khan faceva sognare il papato con il disegno strategico di prendere in una tenaglia il mondo musulmano che da due secoli minacciava la cristianità. «Anche oggi è importantissimo, per l'Occidente, allearsi con la Cina» continua Masini. «E non solo perché nella lotta al terrorismo islamico Pechino condivide i valori occidentali. Anche perche la Cina finirà per sopravanzare gli Usa sul piano economico e militare: con un tasso di sviluppo del 10 per cento annuo ha già un effetto traino sull'economia mondiale; e prima o poi modernizzerà anche il suo arsenale militare. La vera sfida? Sarà vedere se riuscirà a imporsi come potenza culturale»
Masini conclude. «Riproporre oggi la figura di Marco Polo, che fu tra i primi a riconoscere le enormi potenzialità cinesi, è un invito a riprendere un'antica tradizione. Tra i Paesi occidentali, l'Italia poteva vantare in passato una storia di rapporti con la Cina unica al mondo: grazie all'antica Roma, alla Venezia di Marco Polo, ai gesuiti... Poi, a partire dall'Ottocento, ha incominciato a perdere i vantaggi storici acquisiti. Per finire in coda negli ultimi anni, da quando Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna hanno fatto grossi investimenti produttivi. E culturali: offrendo a quella che poi è diventata la nuova classe dirigente cinese la possibilità di studiare nelle loro università. Insomma, è ora che l'Italia recuperi il tempo perduto. E Marco Polo e un ottimo spunto: lui era all'avanguardia».