EINSTEIN, IL PACIFISTA
Pietro Greco
«Nella tragica situazione che oggi affronta l’umanità, noi riteniamo che gli scienziati dovrebbero riunirsi in un congresso per valutare i pericoli che sono sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito della seguente bozza di documento.Princeton, New Jersey, Usa: 11 aprile 1955. Cinquant’anni fa, una settimana prima di morire, Albert Einstein appone la sua firma a una bozza di documento propostagli dal filosofo e logico inglese Bertrand Russell. Il documento, firmato da altri nove scienziati diventerà pubblico il 9 luglio di quell’anno, quando il filosofo inglese ne darà pubblica lettura a Londra. Da allora diventerà noto come il «Manifesto Russell-Einstein». E sarà eletto a manifesto del movimento per la pace da tutti coloro che, nel mondo, non si sentono «membri di questa o quella nazione o continente o fede religiosa», ma si sentono semplicemente «esseri umani, membri della specie umana», la cui sopravvivenza continua a essere messa a rischio.
Non stiamo parlando, in questa occasione, come membri di questa o quella nazione o continente o fede religiosa, ma come esseri umani, membri della specie umana, la cui sopravvivenza è ora messa a rischio.
(…) Facciamo un appello come esseri umani ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticatevi del resto. Se riuscirete a farlo si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; se non ci riuscirete, si spalancherà dinanzi a voi il rischio di un’estinzione totale».
Un testamento politico
Il manifesto è, giustamente, considerato il testamento politico di Albert Einstein. Lo scienziato di cui festeggiamo quest’anno il centenario dell’annus mirabilis. Il fisico considerato da alcuni il più grande di ogni tempo. L’uomo eletto dalla rivista Time a personaggio più rappresentativo del XX secolo. Il mito inossidabile che è diventato l’icona stessa della scienza.
Conviene riflettere su quel testamento politico di cui ricorre il cinquantenario. Per due motivi. La sua straordinaria attualità. E la inequivocabile falsificazione di quel luogo comune, duro a morire, che vuole il più grande fisico di ogni tempo, il personaggio più rappresentativo del XX secolo, il mito inossidabile, insomma Albert Einstein, un politico ingenuo e, quindi, un pacifista candido.
La tesi dello scienziato che cammina sulle nuvole, fatta propria anche da qualche storico come Charles-Noël Martin, non è fondata. Perché Einstein, al contrario, è stato un politico spesso radicale, ma sempre molto lucido (le due cose non sono affatto in contraddizione). Ed è stato un pacifista militante, ma sempre in grado di modulare l’intensità del suo pacifismo o, se si vuole, la qualità delle sue richieste sulla base di una puntuale analisi del contesto.
Basta scorrere la sua storia per rendersene conto. Molti biografi di Einstein, a partire dal suo amico Abraham Pais, fanno nascere il pacifismo del fisico tedesco nell’insofferenza, manifestata fin dalla fanciullezza e poi nell’adolescenza, per ogni forma di autoritarismo e di militarismo. Per questo definiranno «istintivo» il suo pacifismo.
Ma non è affatto istintiva, almeno non nei contenuti, la prima sortita pubblica del pacifista Einstein, avvenuta nel 1914. Pochi mesi dopo essere giunto a Berlino e pochi giorni dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale. Il giovane, appena trentacinquenne, sconosciuto alle masse e ammesso nel gotha della fisica prussiana su suggerimento di Max Planck e per volontà del Kaiser Guglielmo, non esita a firmare un manifesto - il suo primo manifesto - contro il militarismo prussiano, sfidando le ire della polizia. Ma non c’è solo coraggio, in quel gesto. C’è anche lungimiranza. Nel documento, redatto insieme al biologo Georg Nicolai, Einstein coglie un carattere nuovo della guerra moderna: la distruzione del tessuto culturale e un regresso della civiltà: «Mai prima una guerra aveva distrutto completamente la cooperazione culturale. Ciò avviene nel momento in cui il progresso della tecnologia e delle comunicazioni suggerisce con chiarezza di riconoscere la necessità che le relazioni internazionali si muovano verso l’universale, diffusa civilizzazione».
Ma Einstein e Nicolai suggeriscono anche una via d’uscita dalla barbarie della guerra moderna che infiamma il Vecchio Continente: «Noi dichiariamo qui pubblicamente la nostra fede nell’unità europea: una fede che noi crediamo condivisa da molti. Noi speriamo che questa affermazione pubblica della nostra fede possa contribuire alla crescita di un potente movimento verso questa unità. Il primo passo in questa direzione è l’unione delle forze di tutti coloro che hanno sinceramente a cuore la cultura dell’Europa». E concludono: «Noi cerchiamo di effettuare il primo passo, per raccogliere la sfida. Se la pensate come noi, se siete anche determinati a creare un vasto movimento per l’unità Europea, vi offriamo di impegnarvi solennemente con la vostra firma».
In piena guerra, trent’anni prima di Altiero Spinelli, due scienziati sconosciuti ai più, Albert Einstein e Georg Nicolai, si rivolgono a tutti i cittadini del Vecchio Continente chiedendo loro di superare gli steccati del nazionalismo e di impegnarsi per l’unità dell’Europa. Quale antidoto alla guerra e percorso virtuoso verso l’universale, diffusa civilizzazione.
Il «Manifesto agli Europei» non otterrà un grande successo. Ma non per questo Einstein diminuirà il suo impegno. Anzi per molti versi lo accentua. E quando, a partire dal 1919, anno in cui viene «provata» la sua teoria della relatività generale, diventerà famoso in tutto il mondo e capace di emozionare grandi masse, da Parigi a Tokio, spenderà tutta la sua fama per la causa pacifista. «Non dimentichi di dire che sono un pacifista convinto, che crede che il mondo ne abbia abbastanza della guerra», si raccomanda a un giornalista che lo ha appena intervistato.
La militanza per la pace di Einstein è senza tentennamenti. Si alimenta di buone letture (Kant, Russell) e di buoni contatti (Romain Rolland, il presidente americano Wilson, il filosofo Henri Bergson, Sigmund Freud). Si inserisce appieno nel filone pacifista del razionalismo europeo. E muove lungo due strade maestre: l’internazionalismo, con la richiesta più volte espressa di un governo democratico del mondo; l’antimilitarismo, con la richiesta più volte espressa del disarmo unilaterale delle nazioni. E così vediamo Einstein partecipare al progetto della Società delle Nazioni e, nel contempo, chiedere ai giovani di rifiutare, in ciascun paese, di prestare il servizio militare. È questa la fase che è stata definita di pacifismo radicale di Einstein.
Il nazismo
Questa fase si interrompe tra l’estate del 1932 e l’inverno del 1933, quando Einstein si rende conto che in Germania sta assumendo il potere una forza, quella nazista, contro cui non valgono gli strumenti del pacifismo. Prima che Hitler assuma il potere, nel dicembre 1932, Einstein lascia la Germania. E alla moglie Elsa che sta uscendo di casa a Caputh, fuori Berlino, dice: «Voltati, perché non la vedrai mai più».
Albert Einstein comprende prima di altri e meglio di altri la natura del nazismo. La sua violenza inusitata, che minaccia non solo gli Ebrei e gli oppositori in Germania. Ma l’Europa intera. Anzi, la stessa civiltà europea. A quella forza organizzata, sostiene Einstein, non è possibile opporre altro che la forza organizzata. Così scrive alla fine di luglio del 1933, al pacifista belga Alfred Nahon: «Ciò che dirò ti sorprenderà ... Immagina che il Belgio sia occupato dall’attuale Germania. Le cose andrebbero molto peggio che nel 1914, e sì che allora andarono abbastanza male. Quindi devo chiederti candidamente: se fossi un belga non dovrei, in queste circostanze, rifiutare il servizio militare, piuttosto, dovrei assolverlo con impegno nella certezza che sarei lì per aiutare a salvare la civiltà europea. Ciò non significa che sto abbandonando il principio per cui mi sono battuto finora. Spero sinceramente che verrà il tempo in cui rifiutare il servizio militare diventerà di nuovo il metodo migliore per servire il progresso dell’uomo».
Il movimento pacifista europeo è come scioccato dall’analisi di Einstein. Il quale, dal canto suo, per contrastare Hitler si augura un’alleanza stretta tra Usa, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica. Un’alleanza che si formerà effettivamente, dieci anni dopo.
Accorgersi, prima di altri, che sta nascendo un potere così violento da non poter essere contrastato coi normali strumenti della civiltà e prefigurare un’alleanza politica che si realizzerà un decennio non è da politico ingenuo. E neppure da pacifista candido. Il pensiero di Einstein è sempre di tipo razionale, fondato su un’attenta analisi del contesto.
La lettera a Roosevelt
Ed è proprio l’analisi del contesto che lo spinge, nel mese di agosto del 1939, a scrivere al presidente americano Franklin Delano Roosevelt per avvertirlo che i fisici hanno realizzato la fissione dell’atomo e scoperto una nuova fonte di energia.
Questa fonte può essere utilizzata per la costruzione di armi di distruzione di massa di potenza devastante. Che in Germania ci sono fisici in grado di mettere a punto queste armi. E che Hitler, invadendo la Cecoslovacchia, è entrato in possesso della materia prima: l’uranio. Occorre che gli Stati Uniti si impegnino a costruire l’arma atomica, non per utilizzarla sul campo ma quale deterrente verso un’eventuale atomica tedesca.
La lettera a Roosevelt non sortisce effetti immediati. Negli Usa il Progetto Manhattan partirà solo due anni dopo. Einstein non vi è in alcun modo coinvolto. Per cui appare del tutto infondato associare la sua figura alla costruzione effettiva dell’arma atomica. Men che meno è possibile associare il nome di Einstein alle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki.
Anzi, prima che quelle due immani tragedie si siano consumate, nella primavera del 1945, Albert Einstein è già tornato al suo pacifismo radicale. In Europa la guerra volge al termine. Il nazismo è sconfitto. E quindi, pensa Einstein, è venuta meno la ragione per la costruzione dell’arma atomica. Cosicché scrive una nuova lettera a Roosevelt, pregandolo di ascoltare il suo amico Leo Szilard che intende perorare la sospensione del Progetto Manhattan.
Ma Roosevelt muore e Szilard non riesce a farsi ascoltare. Nei mesi successivi il pacifista Einstein è di nuovo in campo, accanto alla Federazione degli Scienziati Atomici che intendono opporsi alla «logica della bomba». Ancora una volta la sua lucidità politica è tutt’altro che banale.
Comprende che la nuova arma di distruzione di massa cambia i rapporti tra militare e politica. La logica della bomba è autonoma, persino superiore, alla logica del confronto ideologico. E che questa logica mette in ballo la sopravvivenza della civiltà. Forse della stessa umanità. Per cui occorre agire. Da un lato riprendendo l’idea di un governo mondiale, gestito in una prima fase dalle potenze vincitrici della guerra - Usa, Gran Bretagna e Urss - cui affidare il monopolio dell’arma atomica. E dall’altro mobilitando le masse, in una stretta e inedita alleanza con gli scienziati, per impedire l’«assuefazione» alla bomba e costruire un movimento globale per il disarmo atomico.
Solo un visionario?
Intorno a questo progetto Einstein lavorerà fino agli ultimi giorni. E questo lavoro culminerà, come abbiamo detto, nel «Manifesto Russell-Einstein» firmato dal fisico tedesco una settimana prima di morire. Il manifesto diventerà il fondamento del Movimento Pugwash di scienziati che si battono, in modo attivo e analitico, per il disarmo. E uno dei fondamenti di un movimento di massa per la pace che, tra alterne vicende e profondi cambiamenti, è vivo e attivo ancora oggi.
È stata, quella del pacifista Einstein, l’attività di un visionario? Certo, la corsa al riarmo atomico non è stata fermata dall’alleanza tra scienziati e grandi masse. Certo, l’umanità siede ancora oggi su una polveriera in grado di distruggerla. Ma, sostiene lo storico Lawrence S. Wittner, in forze alla State University di New York, se dopo Hiroshima e Nagasaki l’arma atomica non è stata più usata non lo si deve tanto alla saggezza dei governi, ma proprio a quel movimento per il disarmo capace di mobilitare le masse voluto da Albert Einstein.
PROGRAMMI DI OGGI
SFERA
ALBERT EINSTEIN
LA7 ore 21.30
Andrea Monti accompagna stesera i telespettatori in un viaggio che ripercorrerà la vita e le straordinarie scoperte di Albert Einstein, l'uomo, lo scienziato, il filosofo, a 50 anni dalla morte. Attraverso alcuni esperimenti e con l'aiuto di Fabio Bevilacqua, docente di storia della fisica all'Università di Pavia, saranno illustratati i principi della teoria della relatività. Verrà spiegato anche come lo studio fatto da Einstein sul fenomeno dell'effetto fotoelettrico abbia costituito la base scientifica per lo sviluppo della tecnologia laser. Inoltre, alla luce della vincita record di oltre un milione di sterline messa a segno la scorsa estate al casino di Londra da tre giovani giocatori grazie a un metodo basato sul laser, verrà affrontato anche il tema dell'applicazione di criteri scientifici al gioco d'azzardo.