giovedì 31 marzo 2005

il compleanno di Pietro Ingrao

La Stampa 31 Marzo 2005
OLTRE DUEMILA PERSONE IERI ALL’AUDITORIUM DI ROMA PER UNO DEI GRANDI PROTAGONISTI DELLA SINISTRA
Ingrao, festa per i 90 anni
e difesa della Costituzione

Riccardo Barenghi
Molta politica e poche lacrime. Un’ovazione per la sua critica alle riforme
«Stanno stracciando la nostra Carta. Mi indigno, dovevamo fare di più»
ROMA. DI fronte a più di duemila persone accorse all’Auditorium di Roma, la domanda era d’obbligo: «Ma perché oggi, nel 2005, siamo così in tanti a voler rendere omaggio a un comunista come Pietro Ingrao?».
La risposta, che Ingrao dà senza volerla dare, sta tutta nella sua capacità di parlare di politica, di attualità politica, anche quando si starebbe parlando d’altro, di storia, di biografie, di episodi del passato. Anche lui, ovviamente, parla del passato. Ricorda di come scoprì la differenza tra le classi – «noi padroni e loro i contadini» – di come la guerra di Spagna gli cambiò la vita «gettandomi a pedate nell’antifascismo, io che amavo il cinema, volevo fare il regista», la sua militanza nel Pci, i suoi errori come quello sulla rivolta ungherese, riparla di quando decise di non accettare un seconda volta la presidenza della Camera, di quando ancora rifiutò di ricandidarsi alle elezioni nel ‘92. E ancora, riflette sui limiti della politica, uno che alla politica ha dato anima e corpo per tutta la vita, sottolinea i suoi fallimenti, anzi il fallimento per lui decisivo, quello del comunismo, ragiona su quello che c’è oltre la politica stessa, ossia l’individuo, l’essere umano che la politica non basta a spiegare. Ma alla fine Ingrao si chiede: «Ma allora perché io a novant’anni mi iscrivo a Rifondazione comunista?». E si risponde: «Perché siamo a un punto in cui la politica è obbligata. Stanno stracciando la Costituzione. E qui io mi indigno e mi domando se ieri, l’altro ieri non dovevamo fare di più, uno scatto ancora più grande. Devo essere sincero con voi, ho paura che non sia colto l’evento, la soglia in cui siamo». Naturalmente è un’ovazione.
Ma Ingrao non ha finito. Ricomincia dalla filosofia, il discorso è serio e anche complicato, cos’è l’uomo, cos’è l’essere, «cos’è lui, chi sono io. L’essere appunto, è l’essere la grande domanda del nostro tempo. Ed è per questo che io sono spaventato quando guardo Berlusconi». Applausi, risate, Ingrao continua: «La mia paura è che mi venga tolta quest’idea dell’umano. Vi prego, non permettete che questo accada».
Scende commosso dal palco, prima di lui avevano parlato Luciana Castellina, che fu giovane dirigente della Fgci e del Pci prima di essere radiata col gruppo del «manifesto» (l’altro errore di cui Ingrao si è autocriticato). Castellina ricorda cosa fu l’ingraismo, prima di tutto un metodo di fare lotta politica, il diritto al dissenso, la critica all’Unione sovietica. Ricorda che per i cinquant’anni di Ingrao, nel ‘65, lei e Sandro Curzi (presente in sala) gli regalarono un paio di mocassini, «forse il primo che hai avuto». Con un bigliettino che diceva: «Cammina coi tempi, cammina con noi». Era un invito a rompere gli indugi, invito che Ingrao non seguì restando dentro quel partito fino a quando non fu il partito a lasciare lui.
A proposito, Gad Lerner, che conduce la serata, legge un messaggio affettuoso di Achille Occhetto che appunto a quel partito decise di cambiare nome e di farlo diventare un’altra cosa (cosa di cui oggi è segretario Piero Fassino, seduto in prima fila). E viene in mente che quando Occhetto annunciò la svolta, Ingrao si trovava in Spagna per partecipare ai funerali di Dolores Ibarruri, storica dirigente comunista. Occhetto telefonò a Ingrao e gli chiese gentilmente di non fare commenti fino a quando non fosse tornato e lui non avesse potuto spiegargli tutto. Ingrao atterrò a Fiumicino e trovò ad accoglierlo Alfredo Reichlin (anche lui ieri in prima fila), dirigente comunista da sempre, suo ex allievo, che gli spiegò le ragioni della svolta. Ma non riuscì a convincerlo, così come non c’erano riusciti nel gennaio del ‘66 l’allora segretario Luigi Longo e il suo gruppo dirigente. A quel congresso, famoso appunto per lo scontro tra Ingrao e Amendola (e ieri era strano vedere Ingrao sottobraccio a Giorgio Napolitano, che di Amendola ha ereditato tutto, anche il conflitto con Ingrao) e per una frase del leader della sinistra comunista, che così rompeva l’unanimismo, esprimeva pubblicamente il suo dissenso: «Non sarei sincero se dicessi che sono rimasto persuaso».
Non fu persuaso nemmeno da Occhetto, ma non lasciò il Pds così come non aveva lasciato il Pci. Non seguì quelli che avevano fatto con lui la battaglia contro la svolta nella neonata Rifondazione, restò «nel gorgo» come disse allora. Ma un paio d’anni dopo, decise di uscire da quel gorgo, senza entrare da altre parti o partiti. Il suo discorso di addio, il 14 maggio del 1993 alla scuola del partito delle Frattocchie, passò alla cronaca non solo per il fatto politico ma anche per le sue lacrime.
Ieri invece poche lacrime, anzi nel suo discorso nessuna. E neanche negli altri, a parte un momento di commozione di Ettore Scola. Di questo novantenne, sempre tanto amato dal popolo della sinistra quanto poco seguito sul piano politico, il poeta Gianni D’Elia ha letto qualche poesia (Ingrao ne ha scritte parecchie, raccolte in diversi libri), Scola ha ricordato episodi di vita comune, il sindaco Veltroni ha ripercorso tutte le tappe fondamentali della vita di Ingrao, dagli anni trenta a ieri. Facendo sue le parole usate da Vittorio Foa proprio su questo giornale: «Ingrao è un modello esemplare e il suo è un mondo pulito».
Il suo sì, ma quello in cui ha vissuto, politicamente parlando, tanto pulito non lo è stato. È lui stesso che lo riconosce e ormai da tempo immemorabile. Forse anche quando scrisse quel terribile editoriale sull’«Unità» a proposito dell’insurrezione ungherese, il 25 ottobre del 1956, editoriale che ieri compariva alla mostra sulla sua vita insieme all’autocritica che fece nel ‘91. Bene, in quell’editoriale in cui Ingrao si schierava senza mezzi termini «da una parte della barricata» (questo era il titolo) e la parte che sceglieva era il governo ungherese, insomma il sistema sovietico con tutte le sue repressioni e mostruosità. Anche tra quelle righe in cui gli insorti venivano definiti «controrivoluzionari» da sconfiggere con le armi, compariva una critica a quel sistema socialista. Ma non era il luogo né il momento di farla, lì bisognava che il sistema vincesse, ci si doveva schierare da una parte o dall’altra. I conti si sarebbero fatti dopo.
Non furono mai fatti sul serio e fino in fondo, e quel sistema crollò sul suo fallimento. Portandosi dietro anche le speranze di comunisti diversi.

L'Unità 31 Marzo 2005
Ieri all’Auditorium di Roma omaggio al grande dirigente comunista per i suoi novant’anni. Concerto, cinema, rievocazioni, e tanta gente comune e personalità ad applaudirlo
Ingrao, festa di compleanno per un compagno di tutti
Bruno Gravagnuolo

Una folla traboccante, commossa. E un parterre variegato. Di politici, compagni, amici, familiari, ammiratori, giovani, gente qualsiasi, e tutti con in testa una cosa semplice: avere un debito con Pietro Ingrao. L’aver imparato qualcosa da lui. Dal suo linguaggio, dalla sua politica, dal suo esempio. E al centro lui, Pietro Ingrao quasi dimesso, come l’omino di Charlot. Commosso ovviamente, ma meravigliato da tanto affetto debordante. Ecco di là delle tante belle parole dette, la serata di ieri in onore di Pietro Ingrao all’Auditorium di Roma è stata questo. Una grande manifestazione di affetto, punteggiata di riflessioni e memoria, di immagini e suoni, come quelli straordinari di Bach, Liszt e Scarlatti alla fine del tributo voluto dal Centro per la Riforma dello Sato, dal Comune e dalla Provincia. Bella la mostra, frutto della donazione di Ingrao di documenti e foto, con il famoso editoriale sui fatti di Ungheria, dolorosamente rinnegato tanti anni dopo dal grande dirigente comunista. Bella la galleria di ritratti «caravaggeschi» di Alberto Olivetti, effettuati nel 1984 a Lenola e dove campeggia un Ingrao chiaroscurale e solcato dal dubbio. Incisivo e vero il film di Alberto Sesti, dove Ingrao racconta di sé, della politica e del suo amare un cinema di immagini, più che di contenuti: alla Chaplin, Eisenstein, Keaton.
Il cinema dunque, che è poesia di immagini in movimento, incastro figurato di emozioni. Nient’altro che il tema dominante emerso in tutta la serata: il rapporto in Ingrao tra politico e impolitico. E tra politica ed emozioni. Quasi a fotografare l’istante in cui, in una vita scatta l’impulso imperioso e indicibile a scegliere un orizzonte, e a stare da una parte. A stare dentro «la misura e a rifiutarla», come dice lo stesso Ingrao in una lettera in risposta a Goffredo Bettini, che nel 1992 lo interrogava sulle ragioni del suo «fare», interrogando al contempo se stesso sulle ragioni di un fascino. Quello dell’«ingraismo», per dirla con una parola di maniera che Ingrao non ama, e che pure fu realtà che ha contato nella biografia di una generazione di comunisti: intellettuali e di popolo.
Ma riordiniamo gli appunti di una serata che vede Ingrao attorniato dai cronisti al suo ingresso all’Auditorium. Parlano Vincenzo Vita, Marialuisa Boccia. E anche Piero Fassino segretario dei Ds, e uomo della svolta Pds che Ingrao non accettò: «Lui rappresenta la storia della sinistra e d’Italia, ed è punto di riferimento per tutti. anche per chi non ne ha condiviso le idee. Esempio di rigore morale e di generosità, che ci ha insegnato tante cose. Un nostro orgoglio». Gad Lerner, nel presentare gli ospiti, cerca di decifrare l’influsso e «l’incidenza» del festeggiato: «Un compagno di noi tutti, proprio per la sobrietà della rinuncia di cui ha dato prova nel suo far politica. I l che significa un’altra idea della politica, la capacità di fermarsi sul limite, di interrogarsi e ricominciare daccapo. E poi la forza di non stare nelle definizioni». Luciana Castellina racconta del nesso «tra passione ingraiana per il Cinema, Hollywood, mito americano degli anni trenta e passione per la democrazia radicale». E del modo in cui quell’impasto incide sui giovani comunisti degli anni 60. Un filo di battaglia che parte da lontano, traversa gli anni del centrosinistra, si tende nello scontro dentro il Pci sul «modello di sviluppo e arriva oggi ai confini dei no-global, della non-violenza e della lotta per la pace». Gianni D’Elia, fa l’esegesi delle poesie di Ingrao e le riconnette all’Ermetismo, a Leopardi. Parla di Ingrao come di «Un Montale con l’assillo della vita altrui o di un Ungaretti che ha fatto la Resistenza». E lungo l’esegesi di D’Elia si scende di nuovo al cuore pulsante dell’agire di Ingrao. Al perché nel 1936 quel giovane ragazzotto di Lenola, che voleva fare cinema e poesia, sceglie la politica trascinato dai compagni, Alicata, Bufalini e gli altri. «Non per eticismo - spiega lo stesso Ingrao - ma per un bisogno tutto fisico e corporale di immedesimazione col destino e il dolore degli altri». Già, la rivolta, l’identificazione, lo stare assieme, lo stupore della bellezza, la passione del conoscere. Eccole le molle di Ingrao. Molle benefiche e anche foriere di errori, quando la spinta vitale, imbrigliata o potenziata dall’appartenenza, generò equivoci o atti di fede. È un pendolo emotivo che Ingrao stesso conosce bene, e che tante volte ha raccontato nel denunciare i suoi sbagli, come quello sull’Ungheria, quando chinò il capo dinanzi a Togliatti. Chiudono la serata Ettore Scola e Veltroni. In entrambi c’è una nota dominante a descrivere Ingrao: la passione per gli altri che riscatta la politica. La passione, e la ragione come passione, a bilanciarsi. Sempre e comunque contro «i cinici feudatari della modernità». Auguri Pietro. Avanti così.

Aprileonline.info 31.3.05
Pietro Ingrao, l'arte nobile della politica
Anniversari. Compie novant'anni il leader comunista che ha saputo unire in modo originale la tradizione del movimento operaio con le idee dei nuovi movimenti
ALDO GARZIA

Pietro Ingrao ha compiuto ieri novant'anni. Una bella manifestazione gli ha reso omaggio al Parco della musica di Roma, mentre oggi un incontro in suo onore si svolgerà alla Camera dei deputati di cui è stato presidente negli anni difficili dell'uccisione di Aldo Moro e dei governi di unità nazionale.
Ingrao è un protagonista indelebile della politica italiana. Con atto generoso, che avrebbe potuto risparmiarsi alla sua età, ha deciso proprio nelle scorse settimane di aderire a Rifondazione comunista in concomitanza con il congresso di quel partito.
E' una scelta in continuità con l'intero arco della sua vita, che lo ha visto simboleggiare l'anomalia di una sinistra comunista sempre collocata sulla frontiera delle novità e del rinnovamento del movimento operaio italiano e in perenne ascolto dei nuovi movimenti che dal 1968 in poi hanno fatto irruzione sulla scena.
Il fascino della personalità di Ingrao sta nella sua indomabile sete di conoscere, capire, approfondire, senza arrendersi mai a una visione accomodante e tecnicistica della politica. Resta un mistero il grumo di questo modo di fare e di pensare l'agire politico per un intellettuale di Lenola, profonda provincia italiana, che in gioventù aveva soprattutto la passione del cinema e della poesia (la poesia gli tornerà utile, e pubblicherà finalmente i suoi libri in versi, quando la scomparsa del Pci gli porrà il problema di usare un altro linguaggio – più complesso e meno certo di quello della politica – per capire il mondo nuovo seguito al crollo del Muro di Berlino). Lo stesso Ingrao ha più volte ricordato come siano stati proprio gli eventi tragici del Novecento a sospingerlo oltre l'intimismo intellettuale che avrebbe preferito: il fascismo, la guerra civile spagnola, la seconda guerra mondiale.
Quanto all'elaborazione più strettamente politica, il nome di Ingrao è legato all'analisi del capitalismo italiano, alla sollecitazione della democrazia partecipativa, allo studio sistematico del potere decentrato degli enti locali, alla riforma delle istituzioni e – in anni più recenti – alla crisi degli "Stati nazione" e all'affacciarsi dell'Europa politica come chance positiva ("Masse e potere", libro scritto in collaborazione con Romano Ledda, è testo fondamentale di quella stagione). Il Centro per la riforma dello Stato da lui presieduto prima e dopo l'incarico di presidente della Camera è stato fucina di discussioni, ricerche e formazione di nuove generazioni di studiosi. Con la forza delle idee, Ingrao ha cercato di lasciare un'impronta sulle discussioni più vitali degli ultimi quarant'anni della sinistra italiana.
Poi c'è l'Ingrao uomo di partito. Quello che ha diretto per dieci anni "l'Unità" e che poi nel 1966, all'XI Congresso del Pci (il primo dopo la morte di Palmiro Togliatti), pose il problema del pluralismo interno e della liceità del dissenso legandolo a un'altra lettura delle modernizzazioni capitalistiche che attraversavano l'Italia.
Nacque in quel contesto una generazione di "ingraiani", alcuni dei quali diedero vita a "il manifesto" e si separarono dall'antico maestro rimasto fedele al partito (il "gorgo", come dirà oltre trent'anni dopo). Una fedeltà ribadita, pur guidando il fronte del "no" alla svolta di Achille Occhetto, fino al 1993 quando uscì dal Pds con uno sparuto gruppo di collaboratori dando un giudizio molto netto sulla vocazione centrista che aveva ormai conquistato la Quercia.
Negli ultimi dieci anni Ingrao non ha mai smesso di pensare, scrivere, parlare, partecipare alle manifestazioni contro la guerra in Kosovo, Afghanistan e Iraq. E' sempre stato un punto di riferimento. In questo ultimo decennio si è anche ricongiunto con "il manifesto", partecipando prima all'esperienza del "Cerchio quadrato" (un inserto settimanale) e poi alla rivista mensile diretta da Lucio Magri.
Del resto, tra le sue autocritiche c'è sempre stata quella di aver contribuito nel 1969 alla radiazione dal Pci di Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Aldo Natoli, Luciana Castellina, Valentino Parlato, Lucio Magri e tanti altri (un'altra autocritica è la mancata intuizione che l'invasione sovietica in Ungheria del 1956 già poneva il tema della crisi irreversibile del "socialismo reale").
In tanti hanno segnalato uno iato tra l'ingraismo come metodo, approccio, elaborazione, attenzione ai movimenti, al femminismo e all'ecologismo rispetto alle scelte dell'Ingrao politico, sempre in anticipo o in ritardo rispetto al che fare concreto, incapace di difendere i suoi collaboratori più vicini dalle mannaie della logica di partito quando nel Pci era in vigore il centralismo democratico.
C'è del vero in questa analisi, e Pietro Ingrao – con fare civettuolo – qualche volta ha ricordato che l'unico "ingraiano" in definitiva è lui stesso, perché sarebbe davvero troppo pensare che c'è un "ingraismo" come nucleo di pensiero e poi ci sono gli "ingraiani" che a quella riflessione fanno riferimento.
Facile ribattere che nessuno è esente da difetti. A chi si è speso, come Ingrao, in battaglie lunghe novant'anni gli si perdona tutto, proprio tutto. Ma è il metodo ingraiano, quello puntiglioso e perfezionista negli scritti e nelle interviste, mai banale nelle cose dette, che resta il punto di riferimento al di là delle contingenze delle fasi politiche.
C'è solo un dolore in queste giornate di festa. L'assenza di Laura Lombardo Radice Ingrao, compagna di una vita, che un libro curato da Chiara Ingrao ha di recente restituito in tutta la sua complessità. Ci sono però i figli Chiara, Renata, Guido, Bruna e Celeste, i nipoti e i pronipoti. Oltre agli "ingraiani" – ce ne sono ancora, caro Pietro – che ti vogliono bene.


Aprileonline.info 31.3.05
''Pietro Ingrao ha incarnato una parte essenziale dell’anima della sinistra italiana''
Anniversari. Parla Fabio Mussi, vicepresidente della Camera dei Deputati, coordinatore della Sinistra Ds, in occasione del 90° compleanno di Pietro Ingrao
Caterina Perniconi

On. Mussi, come hai conosciuto Pietro Ingrao?
Mi sono iscritto al Pci un po’ prima dell’11° congresso del partito, nel 1966, che fu un congresso di grande battaglia politica, quello in cui nacque ciò che più tardi venne chiamato ingraismo. Ingrao combatté in minoranza un congresso che affrontò questioni strategiche, come il rapporto tra il Pci e il governo centrato sull’alleanza tra Dc e Psi, il rapporto con i paesi socialisti, fino al tema delle alleanze sociali e di classe. Ma questa è una vicenda che ho ricostruito più tardi, perché ero ai primi passi di una militanza nel Pci. Mi capitò invece di incontrare più significamene Ingrao nel 1968 partecipando ai grandi movimenti studenteschi, che segnarono un tratto della storia d’Italia. Ingrao non fu l’unico interlocutore attivo con i movimenti del gruppo dirigente del Pci, penso per esempio al dialogo che riuscì ad aprire l’allora segretario Luigi Longo, ma non c’è dubbio che Ingrao fu tra gli interlocutori privilegiati per il modo in cui pose il tema del rapporto tra partito e movimenti.
Questa è una delle caratteristiche principali dell’ingraismo.
Lo è, e inoltre non è vero che Ingrao sia stato restio a porsi e a porre questioni che si direbbero più propriamente politiche e istituzionali. Fu infatti tra i primi a sollevare l’esigenza di una vera e propria fase costituente, cioè di un nuovo patto che ponesse su basi rinnovate la democrazia italiana. E non dimentichiamoci che fu tra i primi ad aprire un dialogo anche con settori della Dc.
Ma tu sei stato più berlingueriano che ingraiano.
Io ed altri fummo più berlingueriani che ingraiani, tuttavia Ingrao ha incarnato una parte essenziale dell’anima della sinistra italiana. Quella portata a guardare le cose dal basso, dal crogiolo di idee e valori che si muovono nella società.
Ed oggi l’ingraismo esiste ancora?
Esiste, ed è un modo di affrontare le questioni che è giusto che viva col passare delle generazioni.
Ma secondo te ha dei limiti?
Se devo indicare un limite lo trovo nel rapporto tra il pensiero e l’azione, in particolare sul tema della decisione. Com’è noto, decidere significa letteralmente tagliare, e quando si decide obbligatoriamente si amputa una parte dell’informazione. Ed il rapporto con le cose d’Ingrao, tutto volto a “scavarle” - termine che a lui caro -, a guardarle da diverse angolazioni, a cercare nella complessità un’interpretazione compiuta, capita che porti qualche volta a rallentare la decisione, cioè a tagliare in una direzione o in un’altra. È un limite che al tempo stesso è un lato suggestivo della sua personalità.
Alla vigilia dell’ultimo congresso di Rifondazione, Ingrao ha aderito al partito di Bertinotti. Come giudichi questa collocazione politica?
Ingrao ha fatto una libera scelta che merita assoluto rispetto. Tuttavia resta un riferimento per tutta la sinistra. E a 90 anni è una delle personalità eminenti della Repubblica e della democrazia.
La contrarietà, potremmo dire repulsione, alla guerra che ha caratterizzato tutta la vita di Ingrao, potrebbe essere stata la discriminante nella scelta di aderire a Rifondazione in un momento così delicato per la politica mondiale?
Ingrao appartiene ad una generazione che ha vissuto la guerra, e che ha dovuto prender partito in numerosi conflitti, qualche volta giustamente, come nel caso della guerra in Vietnam, qualche volta sbagliando, com’egli stesso ha riconosciuto, nel caso dell’invasione dell’Ungheria. Ma Ingrao è venuto via via radicalizzando, anche attraverso una lettura forte dell’articolo 11 della Costituzione, l’opposizione alla guerra. Credo che questa possa essere una delle cause della sua scelta che, naturalmente, ha una radice nella contrarietà alla svolta di Occhetto dell’89, che io insieme ad altri - che oggi come me condividono la radicalità del discorso sulla guerra - allora condividemmo. E che a distanza di 15 anni, non m’impedisce di vederne i limiti.

il manifesto 31.3.05
Carrellate di una scelta di vita
I materiali dell'«archivio Ingrao» in mostra all'Auditorium di Roma
Diario politico Foto, libri, appunti, lettere esposti fino a domenica. E il «Centro riforma dello stato» annuncia l'acquisizione dell'Archivio Ingrao
ROBERTO CICCARELLI

«La scelta della politica fermò il mio ardore poetico ma fu una scelta necessaria». Pietro Ingrao si racconta davanti alla foto segnaletica trasmessa dal Ministero degli Interni alla «Questura littoria» di Napoli, esposta nella mostra «Pietro Ingrao: una storia italiana» nella sala «risonanze» dell'auditorium di Roma fino a domenica prossima. «La tempesta inaudita che di lì a poco ci avrebbe colpito non l'avevamo ancora intuita. Furono persone come Antonio Amendola che ci fecero capire ciò che noi giovani non avevamo ancora chiaro». Era da poco entrato in clandestinità e viaggiava tra Milano e la Calabria. Il 2 gennaio del 1943 si trovava nella provincia di Napoli «per programmazione film et cortometraggio». Il cinema, scoperto al Centro sperimentale di cinematografia dove frequentò il corso di regia, e poi la poesia italiana (Montale, Saba e Ungaretti) e quella francese (Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé) conosciuta al liceo, a Formia, dove incontrò due professori antifascisti, poi assassinati alla Fosse Ardeatine: Pilo Albertelli e Gioacchino Gesmundo: «Con quest'ultimo il discorso politico antifascista divenne esplicito. Era un allievo di Giuseppe Lombardo Radice, ci parlava di Marx e Bakunin e Tocqueville».
Dopo la resistenza in cui «combattemmo in quegli anni `40 decisivi per il mondo», Ingrao divenne direttore dell'Unità. Nella mostra c'è anche il pannello dell'editoriale «Da una parte della barricata a difesa del socialismo» che scrisse il 25 ottobre 1956 in occasione dei fatti d'Ungheria. «L'analisi era falsa - si legge nel pannello successivo in un brano tratto dal suo volume del 1991 Le cose impossibili - perché tagliava con l'accetta una vicenda molto articolata [...]. L'errore politico fu serio anche con conseguenze immediate nella vita italiana. Facilitò il distacco del Psi». Scorrono i momenti fondamentali della vita di Ingrao: una bella fotografia di Lucio Magri, Rossana Rossanda e Luigi Pintor del 1969, la presidenza della Camera (1976-1979), l'addio al partito del Pds nel 1991, le battaglie contro le nuove guerre con la pubblicazione dell'ultimo libro del 2003 La guerra sospesa. I nuovi connubi tra politica e armi (Dedalo). «Mi dispiace che la guerra ora stia tornando, noi speravamo che quella contro il nazifascismo fosse stata davvero l'ultima» ha aggiunto Ingrao.
Tra gli appunti vergati a mano su fogli improvvisati e le pagine dei suoi saggi e dei suoi libri di poesia, tra i quali «L'alta febbre del fare» (1994) e «Sul calar della sera» (2000), squadernati sotto le teche della mostra, affiora la biografia, e la coscienza critica, di uno degli intellettuali che hanno fatto la storia del comunismo italiano tra politica, cinema, poesia e giornalismo. La mostra all'auditorium romano è stata organizzata dal Centro per la Riforma dello Stato (Crs), di cui Ingrao è stato a lungo presidente, con il sostegno dell'Archivio centrale dello Stato, dell'archivio dell'Unità e dell'archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico. Le carte, i documenti e le fotografie presentati sono solo alcuni dei documenti dell'«Archivio Ingrao» che costituirà, insieme a quelli ancora da sistemare e catalogare, una parte fondamentale della nuova «Fondazione del Crs»: «E' l'annuncio che vogliamo dare in occasione dei festeggiamenti per i suoi novant'anni», ha detto Mario Tronti, presidente del Crs.
Promosso da un comitato scientifico che vede la partecipazione di Maria Luisa Boccia, Umberto Coldagelli, Giuseppe Cotturri, Alberto Olivetti, Alessandro Portelli, Gianpasquale Santomassimo, Ansano Giannarelli, e coordinato da Giovanni Cerchia, l'«archivio Ingrao» ha ricevuto un contributo dalla Provincia di Roma. «Il materiale qui esposto ha un valore smisurato - ha detto Vincenzo Vita, assessore alle politiche culturali della Provincia, intervendo alla presentazione della mostra insieme a Giorgio Napolitano, il presidente dell'Auditorium, Goffredo Bettini e il segretario dei Ds Piero Fassino -. Per la Provincia essere a fianco di Ingrao in questo giorno particolare rappresenta un momento emozionante». «Questo archivio vogliamo metterlo a disposizione non solo degli studiosi, ma dell'intera cittadinanza - ha aggiunto Maria Luisa Boccia - perché le intuizioni di Ingrao costituiscono un patrimonio per l'intera sinistra».

AGI.online
90*INGRAO:CASINI, È STATO IL CAMPIONE DLLA CENTRALITÀ DEL PARLAMENTO

(AGI) - Roma, 31 mar. - "Nell'esperienza di presidente della Camera, seguita a quella di presidente del gruppo comunista, Pietro Ingrao ha portato tutto se stesso. Vi ha portato, innanzitutto, la sua visione intransigente della centralita' del Parlamento, radicata nel primato della sovranita' popolare: la 'via maestra' indicata dalla Costituzione, come egli ebbe a ricordare nel suo discorso di insediamento".
E' proprio il presidente Casini a prendere la parola per primo nella sala della Lupa alla Camera, alla presenza del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, per festeggiare i novantanni di Pietro Ingrao. Tra gli ospiti Giuliano Amato, Massimo D'Alema, Piero Fassino, Stefano Rodota', Arnaldo Forlani, il presidente della Corte Costituzionale Piero Alberto Capotosti, Valentino Parlato, Fausto Bertinotti, Giorgio Napolitano, Emilio Colombo e Carlo Scognamiglio. Ed e' proprio il ricordo, in particolare,dell'Ingrao presidente della Camera, che gli consente di sviluppare le sue idee sulla centralita' del Parlamento.
"Fu il periodo - spiega Casini - in cui l'idea della centralita' del Parlamento assunse sostanza e spessore, attraverso la custodia attenta della prerogativa parlamentare nel quadro dell'equilibrio tracciato dalla Carta Costituzionale". "Si inauguro' - rileva ancora il presidente della Camera - una stagione innovativa, alimentata da una consapevolezza che e' stata da allora acquista al patrimonio della vita delle nostra istitituzione: un Parlamento che voglia realmente svolgere un ruolo generale deve essere in grado di conoscere e di governare immediatamente nella realta' che lo circonda di confrontarsi in modo continuo e trasparente con tutti i protagonisti di questi mutamenti.
"Sappiamo - afferma Casini - che gli eventi politici ed istituzionali degli ultimi anni hanno rinnovato la riflessione sull'idea della centralitia' del Parlamento, che ha oggi assunto un significato diverso da quello originario. Resta, tuttavia, integra l'intuizione di Ingrao che non ha mai rinunciato a vedere nel Parlamento il luogo della sintesi politica piu' alta della comunita' nazionale: il passagio obbligato per dare sostanza democratica alle opinioni, alle idee e alle proposte volte ad orientare il futuro del Paese".
(AGI) Lam/Aug 311251 MAR 05 -