mercoledì 27 aprile 2005

il prof. Veronesi e il referendum

L'Unità 27 Aprile 2005
Veronesi: «Diritti delle donne e ricerca, ecco i miei 4 Sì»
«Una legge ingiusta e disumana»
FECONDAZIONE salute e ricerca
Luca Landò
Dalla sterilità all’aborto, fino alla libertà
di ricerca: intervista all’ex ministro della
Salute testimonial della campagna dei Ds
e dei referendari: «Una legge sbagliata»

«L’obbligo di impianto di 3 ovuli fecondati?
Se attecchiscono tutti finirebbero per stare
ammassati, danneggiandosi l’un l’altro. Così
si finisce col condannare proprio l’embrione»
MILANO È una legge devastante, come quei proiettili che si spezzano e si dividono, distruggendo tanti organi in un colpo solo. Una legge che con la scusa di combattere il Far West si infila nel corpo della società rimbalzando pericolosamente tra etica, scienza e diritti.
Umberto Veronesi non ha dubbi: quella sulla procreazione assistita è una legge medievale (la definizione è del New York Times) «perché impone obblighi antichi». E il 12 giugno voterà sì, anzi quattro volte sì.

Proprio per questo l’ex ministro della Salute ha accettato di diventare testimonial della campagna promossa dai Ds e dal Comitato per il referendum.
«Bisogna spiegare a chiunque, a tutti quelli che incontriamo, ci ascoltano, ci leggono, che bisogna votare e far votare contro questa legge sbagliata. E piena di contraddizioni».
Ad esempio?
«Prendiamo l’articolo che vieta il congelamento degli embrioni e impone che tutte le cellule fecondate, fino a un massimo di tre, siano impiantate nell’utero. È un controsenso. Perché se tutti gli embrioni impiantati attecchiscono, si ha una gravidanza trigemellare creando un problema per la donna e mettendo a repentaglio la salute dei futuri feti i quali, per banali motivi geometrici, di spazio, rischieranno di non vedere mai la luce. Se invece, come auspicabile, ne attecchisce una solo significa che gli altri due muoiono, che è proprio quello che la legge non vuole. Perché è una legge che va contro se stessa: dice di voler proteggere l’ovulo fecondato ma, imponendo di impiantarli tutti e tre (perché non ammette il loro congelamento) finisce per condannarne a morte uno o due. E dire che basterebbe applicare la norma dettata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità la quale dice di inserire nell’utero un solo ovulo fecondato per volta, mentre gli altri devono essere messi da parte in modo da venir utilizzati se il primo non attecchisce».
La seconda contraddizione?
«Riguarda la diagnosi preimpianto la quale, dal punto di vista medico - ma anche logico o del semplice buon senso - non è altro che l’anticipazione di quella diagnosi prenatale che viene effettuata frequentemente in gravidanza. Bene, in Italia oggi ci troviamo nella situazione, davvero singolare, che è possibile verificare la salute del feto all’interno della madre, ma non quella dell’embrione nella provetta. E non è finita. La legge 194 dice che, in presenza di malattie genetiche è possibile interrompere la gravidanza ricorrendo all’aborto. Che è poi quello che avviene da anni nei Paesi europei. Una recente indagine dice che in Europa l’89% delle donne preferisce ricorrere all’aborto se l’esito dell’amniocentesi rivela che il feto è affetto da sindrome di Down. Ora, visto che stiamo parlando di fecondazione assistita e che esistono le tecniche di diagnosi embrionale, perché dover aspettare la formazione del feto? Perché ricorrere a un aborto quando basta decidere di non impiantare l’embrione che presenta un danno genetico?».
A questo proposito c’è un aspetto ancora più singolare. La legge dice espressamente che possono ricorrere alla fecondazione assistita solo le coppie con problemi di sterilità escludendo in tal modo quelle, fertili, dove esiste alta probabilità di trasmettere ai propri figli una malattia genetica.
«È una scelta ingiusta. In Italia ogni anno nascono 30mila bambini affetti da malattie dovute a difetti genetici, molte delle quali gravi. La fecondazione assistita e la diagnosi preimpianto potrebbero ridurre di molto quel numero».
E la terza contraddizione?
«Riguarda i 31mila embrioni attualmente congelati e conservati nei vari laboratori italiani, frutto dell’attività degli anni passati. La nuova legge non dice nulla in proposito: sai solo che non li puoi sopprimere e non li puoi utilizzare per scopi di ricerca. Il risultato è che vengono lasciati rinchiusi nei freezer dove comunque sono destinati, prima o poi, a morire. Anche qui il buon senso dice che piuttosto che dimenticarli e lasciarli finire nel nulla sia meglio destinarli alla ricerca».
Che è poi quello che ha sostenuto venerdì l’Accademia dei Lincei con un documento che non lascia dubbi.
«Teniamo presente che uno dei settori più promettenti della ricerca biologica e medica riguarda le staminali di origine embrionale, cellule molto versatili, si chiamano totipotenti, con la caratteristica davvero unica di potersi trasformare in qualunque altro tipo di cellula: in questo modo potrebbero rappresentare la soluzione ideale per quelle malattie degenerative come il morbo di Parkinson o l’Alzheimer andando a rimpiazzare le cellule danneggiate. È un filone di ricerca fondamentale: perché ignorarlo con tanta determinazione?».
Esiste una possibile applicazione anche in campo oncologico?
«Non direttamente, anche se le staminali potrebbero rappresentare la via per ricostituire le cellule del midollo danneggiate dopo una chemioterapia o una radioterapia. Il modo in cui la legge 40 influenza l’oncologia è tuttavia un altro: non potere congelare l’embrione rappresenta un problema per le donne giovani affette da tumore, soprattutto adesso che le donne tendono a sposarsi sempre più tardi. Due generazioni fa era quasi normale avere figli tra i 18 e i 20 anni, una età dove il rischio di contrarre un tumore è molto basso; oggi il primo figlio arriva dai 25 ai 35 anni, spesso anche dopo, entrando in una età dove la comparsa tumorale è invece più frequente. Questo pone un problema nuovo, perché con la chemioterapia o la radioterapia si ha il rischio di indurre sterilità. Ebbene, prima della legge 40 questo problema veniva aggirato in maniera tutto sommato semplice: si prendevano gli ovuli della donna, li si fecondavano con il seme del marito e li si congelavano in attesa di poterli introdurre nell’utero nel caso le cure avessero danneggiato le ovaie. Con questa legge non è più possibile: la donna che ha avuto la sfortuna di ammalarsi e non è ancora diventata mamma potrebbe rinunciare per sempre a quello che io chiamo il suo progetto procreativo. Non importa che la scienza abbia trovato il modo di risolvere il problema: la legge, questa legge, non lo permette».

L'Unità 27 Aprile 2005
«Il 12 e 13 giugno diciamo Sì»:
l’appello di biologi e genetisti

ROMA «Ricerca e salute», ossia lo scopo della ricerca scientifica, la salute della persona umana che si ottiene mediante scoperta, comprensione, eliminazione e cura di malattie oggi incurabili. È il documento - il giorno dopo quello promosso dall’Accademia dei Lincei a favore della ricerca sulle cellule staminali - sulla rampa di lancio, di un centinaio di scienziati, biologi e genetisti soprattutto, tra i quali Umberto Veronesi, Edoardo Boncinelli, Alberto Piazza, Giulio Cossu, Carlo Alberto Redi, Antonino Forabosco, a favore del voto e quindi del «si» ai quattro quesiti referendari del 12 e 13 giugno contro la legge 40/2005 sulla procreazione medicalmente assistita. «La ricerca sulle cellule staminali embrionali, vietata oggi dalla legge 40, non può e non deve esser fermata - spiega Giulio Cossu, docente di Istologia all’Ateneo romano La Sapienza - per non impedirsi una possibile cura di tante malattie degenerative».