sabato 21 maggio 2005

un'intervista de "La Stampa" a Edoardo Boncinelli

La Stampa 21 Maggio 2005
I DUBBI DEL BIOLOGO: NON SONO RIUSCITI A ESTRARRE CELLULE STAMINALI
intervista
Boncinelli: gara di visibilità ma il risultato è modesto
Piero Bianucci

DA ieri l’obiettivo di una fabbrica di organi umani di ricambio sviluppati in laboratorio partendo da poche cellule è più vicino. Dopo i sudcoreani capeggiati da Woo Suk Hwang, anche gli inglesi guidati da Miograd Stojkovic sono riusciti a creare embrioni umani a scopo terapeutico, ad appena 9 mesi dall’autorizzazione concessa dalla Human Fertilisation and Embryology Autority, l’ente britannico preposto al controllo su queste ricerche.
Nella clonazione a fini terapeutici si estrae un ovulo da una donatrice e lo si priva del suo patrimonio genetico, quello materno. Poi si prende il nucleo di una singola cellula del corpo del paziente per il quale occorrono tessuti o organi sani e lo si mette dentro l’ovulo. L’embrione che ne deriverà avrà quindi esattamente il patrimonio genetico del paziente. Le cellule dell’embrione, dette staminali, possono trasformarsi in ogni organo o tessuto (pelle, ossa, sangue, sistema nervoso). Si tratta di pilotarne lo sviluppo fino a ottenere l’organo desiderato e poi di innestarlo nel paziente: non ci sarà rigetto perché organo coltivato e paziente hanno gli stessi geni.
A che punto siamo in questa impresa? Ne parliamo con Edoardo Boncinelli, biologo che ha fatto importanti scoperte sullo sviluppo embrionale, professore di biologia generale all’Istituto San Raffaele di Milano e autore di fortunati libri divulgativi.
Professor Boncinelli, in poche ore due notizie sulla clonazione di embrioni umani: l’annuncio del gruppo inglese dell’Università di Newcastle è arrivato subito dopo la pubblicazione del gruppo coreano. L’impressione è di assistere a una corsa...
«L’annuncio inglese sembra fatto proprio per rispondere alla pubblicazione dei coreani su “Science-express”: traspare la ricerca di visibilità».
In effetti il gruppo inglese è stato molto veloce: dal settembre 2004 ad oggi ha prodotto tre blastociti dai 36 ovuli messi a diposizione da 11 donne.
«Diciamo che gli inglesi hanno fatto un bello sprint ma il frutto della corsa è modesto: non sono riusciti a estrarre cellule staminali, come invece hanno fatto i coreani».
Di solito i biologi prima lavorano per produrre linee di cellule ben stabilizzate e uniformi. Quando questo materiale biologico è ottenuto, tutti i laboratori del mondo utilizzano quelle stesse linee cellulari. Si può quindi prevedere che, superata la fase iniziale, in futuro non sarà più necessario creare nuovi embrioni umani a scopo di ricerca, superando così le polemiche che dividono scienziati e opinione pubblica?
«Nel caso delle cellule di topo è stato così. A regime, si lavora su linee cellulari standard fornite da laboratori che funzionano un po’ come banche biologiche. Ma non sappiamo ancora se e quando ciò sarà possibile con cellulle embrionali umane».
Qual è il messaggio che possiamo ricavare dai due annunci?
«La cosa più importante è ora che due laboratori possono confrontare i loro risultati. Nel campo scientifico il fatto che ci siano più gruppi a lavorare sulle stesse cose è sempre un fattore di controllo e di accelerazione degli studi».
In Italia in vista del referendum dell’11-12 giugno, ma in generale in tutti i Paesi, si discute se per ottenere cellule staminali sia proprio necessario clonare embrioni umani oppure si possano ottenere gli stessi risultati partendo dalle cellule del cordone ombelicale o da quelle piccole popolazioni di cellule staminali che hanno anche le persone adulte: qual è la sua posizione su questo dibattito?
«Le cellule del cordone ombelicale hanno applicazioni limitate, non mi farei troppe illusioni. Le staminali adulte sono più promettenti ma anche qui il lavoro è tutto da fare. C’è il vantaggio però che queste cellule non pongono problemi etici».
Possiamo dire che il primo passo, ottenere cellule staminali da embrioni umani, è compiuto. Ora si deve imparare a pilotare lo sviluppo di queste cellule in modo che si trasformino negli organi di cui i medici hanno bisogno per curare malattie come il diabete, il Parkinson e così via. Questi passi ulteriori sono più difficili rispetto al primo passo?
«Sono problemi di natura molto diversa. Bene o male c’è una certa esperienza di clonazione ma come si induca una cellula staminale a maturare nella direzione desiderata è ancora da capire. Bisognerà esporre le cellule staminali a una grande varietà di sostanze e vedere come reagiscono fino a individuare le sostanze adatte per ogni tipo di tessuto che vogliamo ottenere. Può darsi che in alcuni casi la soluzione sia abbastanza facile, in altri potrebbero essere necessari decenni o si potrebbe anche non riuscirci mai».