Corriere della Sera 21.5.05
Parlano i protagonisti del «processo televisivo» sull’omicidio di Samuele Lorenzi E sul mistero l’ombra di un’altra Cogne
Cristina Marrone
«Qui è come Cogne. Capisco la paura di sbagliare, ma meglio non ripetere gli stessi errori. Mi sembra che i tempi siano maturi per fare qualcosa che è inevitabile, altrimenti vengono meno anche i diritti della difesa». E’ il criminologo Francesco Bruno a ricordare la tragedia valdostana. A Casatenovo ci sono un bimbo morto, una madre in lacrime, gli investigatori che sospettano di lei. Gli elementi del giallo che ha dominato il dibattito mediatico su Cogne ci sono tutti. E lo pensano anche i protagonisti di quel «processo al processo» celebrato nei salotti tv. Con analogie e differenze. Bruno non è convinto della versione raccontata dalla madre di Mirko: «Fa acqua da tutte le parti. Neppure il più crudele dei rapinatori farebbe annegare in bimbo di 5 mesi, rischiando una condanna all’ergastolo per quattro soldi. Tanto più che un bambino così piccolo non può essere neppure un testimone. E poi le urla. Possibile che nessuno abbia sentito nulla? Una madre che vede morire il proprio figlio fa qualunque cosa per salvarlo». Francesco Viglino, il medico legale che per primo vide Samuele, avverte: «Sono ancora pochi gli elementi conosciuti, ma in un delitto del genere è chiaro che si cerca molto nella sfera familiare. La cosa importante sono i primi interrogatori: meglio andare subito a tamburo battente». E’ della stessa idea Paolo Crepet : «Meglio pensare il peggio possibile, poi sono gli elementi raccolti che eventualmente lo faranno cadere». Lo psicologo non è così pessimista sulla soluzione del caso: «Non è Cogne due e non lo sarà. Si risolverà molto prima perché qui abbiamo un movente: quello di un’aggressione per rapina. Che magari risulterà falso o poco credibile. Ma almeno c’è. E gli investigatori raccoglieranno elementi per capire se è vero o falso. Per Cogne invece siamo ancora qui che ci chiediamo perché Samuele è stato ucciso e cosa è successo». I dubbi sono gli stessi sottolineati dal criminologo Bruno: le urla che nessuno sente, una donna che assiste impotente alla morte del figlio e, pur legata, non riesce a fare niente per salvarlo. «Perdere un figlio in questo modo è la cosa peggiore che può capitare a una madre, quindi reagisce e ricorda in uno stato emotivo molto particolare, con poca lucidità. E quella donna, dicono, è svenuta: circostanza che può portare all’amnesia, quindi a una ricostruzione degli eventi che può risultare parziale».
L’ex presidente della Camera Irene Pivetti mette davanti a tutto il rispetto per le persone: «Come si fa a sapere chi è stato? Ora la figura chiave è il padre di quel bambino: non è poi così scontato che difenda per sempre la moglie. Non dimentichiamoci che ha perso un figlio». E la giornalista Barbara Palombelli invita alla cautela: «Mi sembra che Cogne e Casatenovo abbiano reagito allo stesso modo, con scetticismo di fronte all’aggressione di uno sconosciuto. Ma attenzione a non creare un caso».
«Cosa volete sapere?» sbotta l’avvocato Carlo Taormina , difensore di Annamaria Franzoni. «C’è solo da sperare che non succeda quello che è capitato a Cogne, ma che si raggiunga la verità. Che non sia un secondo calvario giudiziario». E l’ex sindaco di Cogne, Osvaldo Ruffier ha un unico desiderio: «Ci auguriamo che gli abitanti di Casatenovo non debbano vivere quello che abbiamo passato noi. Devono pretendere la verità. Subito. Senza l’ombra di mostri che girano per il paese».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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