lunedì 13 giugno 2005

fondamentalismo cristiano

L'Unità 13 Giugno 2005
SCIENZA E RELIGIONE Mentre in Italia la teoria dell’evoluzione viene cassata dai programmi scolastici, «Nature» lancia l’allarme
«Intelligent design»: negli Usa la fede ora batte Darwin anche negli atenei
di Telmo Pievani

La teologia naturale è tornata. Nelle università americane la teoria del «disegno intelligente», ovvero dell'esistenza di un progetto di origine divina inscritto nella storia naturale, si sta diffondendo rapidamente e conquista il consenso di studenti e docenti. Il fenomeno ha raggiunto dimensioni così preoccupanti da indurre la prestigiosa rivista Nature a dedicare all'Intelligent Design (ID) la copertina del numero del 28 aprile. «Piuttosto che ignorarlo», leggiamo dall'editoriale, «gli scienziati dovrebbero comprenderne l'attrattiva e aiutare gli studenti a riconoscerne le alternative».
Un compito meritevole ma improbo, se è vero, come testimoniano molti scienziati impegnati in dibattiti pubblici, che il desiderio di conciliare a ogni costo scienza e fede porta i sostenitori del disegno intelligente a prestare ben poco ascolto agli argomenti addotti dagli evoluzionisti per dimostrarne l'inconsistenza scientifica. Ora il pubblico italiano ha l'opportunità di aggiungere alle evidenze empiriche dell'evoluzione anche una ricostruzione storica preziosa di lontani fatti (siamo nella prima metà dell'Ottocento) che portarono alla confutazione dell'ID come teoria scientifica e al suo opportuno trasferimento nel regno delle disquisizioni teologiche.
Stiamo parlando di «Una lunga pazienza cieca», la storia dell'evoluzionismo fra Settecento e primo Novecento pubblicata dallo storico delle scienze naturali dell'Università di Firenze, Giulio Barsanti, per i tipi di Einaudi. Si tratta di un racconto appassionante per la sua mancanza di linearità, esente da trame banali popolate di «precursori» lungo la strada di un progresso inevitabile verso la «verità». È una storia senza paradigmi e rivoluzioni, ma piena di percorsi anche contraddittori, nonché di chicche storiche sorprendenti, che porta alla teoria dell'evoluzione darwiniana e alla sua trasformazione in un ampio «programma di ricerca» nel Novecento. È un antidoto alle semplificazioni dei dibattiti attuali, un ragionamento scarno, basato sul rapporto fra speculazioni teoriche e base empirica, che accompagna il lettore lungo quel drammatico «romanzo di formazione» attraverso il quale la scienza moderna approdò a una visione laica del mondo vivente.
Il finale sembrerebbe felice: non solo Darwin non è morto, ma ritorna di attualità il suo «naturalismo» dopo le infatuazioni riduzioniste dei genetisti della prima metà del Novecento. La formulazione originaria della sua teoria, con tutti gli aggiornamenti necessari, vive oggi una rinascita e rappresenta la logica fondamentale per comprendere le trasformazioni del mondo vivente. Una bella risposta per chi ancora oggi in Italia parla di «più teorie» dell'evoluzione in contrasto l'una con l'altra e tutte egualmente ipotetiche.
Tuttavia, non smette di fare scandalo quella «idea pericolosa» di Darwin: la complessità dei viventi non ha bisogno di un «progettista», perché l'azione «cieca» e cumulativa della selezione naturale, un meccanismo demografico automatico che si integra ad altri fattori, è sufficiente per renderne interamente conto. La specie umana appartiene a pieno titolo a questa creatività naturale e non sono documentati, se vogliamo restare nell'ambito della spiegazione scientifica, «salti ontologici».
Così, dall'opera del reverendo Paley del 1802 alla copertina di Nature del 2005, sono passati due secoli e lo scontro continua, negli stessi termini, come se Darwin non fosse esistito. Alcuni episodi, quali l'abiura imposta a Buffon o il violento dibattito fiorentino del 1869 sulle origini dell'uomo, inducono Barsanti a sospettare che la «lunga pazienza cieca» non sia soltanto una definizione dell'evoluzione biologica, ma anche la qualità migliore degli evoluzionisti. In tal senso, le analogie fra la teologia naturale inglese (valga per tutte la deliziosa e devotissima «teologia botanica» di Duncan del 1825) e l'ID attuale, per non dire dei deliri antievoluzionisti di alcune testate giornalistiche italiane, sono illuminanti.
Ogni paese ha le proprie strategie. L'ID non è nelle nostre corde: noi abbiamo direttamente tolto l'evoluzione dai programmi scolastici e poi abbiamo chiesto a una commissione di insigni scienziati se non fosse il caso di reintrodurla. Questi, armati appunto di pazienza, hanno scritto un documento pieno di buon senso, ipotizzando che vi fosse stata una svista. Eppure gli arditi passaggi di taluni consulenti ministeriali su «evoluzione ed evoluzionismi» non sembravano mossi da una svista quando giustificavano la rimozione. Ma il giallo continua: il documento della Commissione, dopo una fugace anteprima, è scomparso. Forse c'è scritto che prima di fare i programmi di scienze bisognerebbe consultare anche gli scienziati, che Darwin aveva visto giusto, che la scienza non può accettare dogmi di fede, o altre oscenità di questo tipo. Un messaggio di laicità decisamente scottante di questi tempi.