lunedì 13 giugno 2005

il Ministero degli Interni di Sua Maestà

Corriere della Sera 13.6.05
Londra, rapporto del ministero dell'Interno. Piano per intervenire dall'asilo
«I delinquenti? Si vedono già a tre anni»
Finora non hanno funzionato i rimedi adottati, come telecamere di sorveglianza, maggiore illuminazione di notte e pene più severe
Paola De Carolis


LONDRA - Troppo piccoli per leggere, ma non per essere considerati criminali. Già a tre anni, secondo un rapporto del ministero degli Interni britannico, è possibile identificare quei bambini che crescendo avranno guai con la giustizia. Ecco, dunque, la necessità di tenerli sotto controllo, di rieducare i genitori, di toglierli, eventualmente, alle famiglie e affidarli a centri specializzati. Uno scenario degno di George Orwell? No. È quanto indicano le 250 pagine preparate per il premier Tony Blair sulla riduzione della criminalità. Le misure sulle quali in passato hanno fatto affidamento le forze dell’ordine - telecamere di sorveglianza, maggiore illuminazione di notte, pene più severe - non hanno avuto i risultati sperati, conclude la ricerca.
L’unica soluzione, a lungo termine, è identificare i soggetti a rischio e impedire che imbocchino la via sbagliata. In teoria il discorso non fa una piega. Prevenire, dopotutto, è meglio che curare, nonché meno costoso. È l’idea di portare il concetto nelle scuole materne del Paese, trasformando le maestre d’asilo in informatrici, ad avere qualcosa di incredibile. Il compito di puntare il dito contro il bimbo che mostra i primi segni di crescere male spetterebbe a loro, le insegnanti cui ogni giorno milioni di genitori affidano i propri figli. Il piccolo Johnny non vuole giocare con gli altri bimbi? Guai a toccargli la merenda? Sembra violento nei confronti degli altri? Poco importa che abbia solo tre anni e ogni probabilità di imparare, con il tempo, a comportarsi diversamente. Per le autorità è un soggetto a rischio.
Le statistiche, d’altronde, parlano chiaro. Quei bambini che a tre anni possono essere definiti «fuori controllo», sottolinea il rapporto, una volta adolescenti avranno quattro volte le possibilità di essere incriminati per un reato violento rispetto ai coetanei più «tranquilli». «Obbligare le scuole - si legge nel rapporto, anticipato ieri dal Sunday Times - ad adottare una linea dura contro il bullismo (...) è il modo di ridurre il numero di giovani che cadono nella trappola della criminalità». Se è vero, sottolinea la ricerca, che le misure «dure» non sempre funzionano, è anche vero che, prendendo i ragazzini in tempo, è possibile correggerne il comportamento con provvedimenti più soft: insegnargli a leggere meglio, a scrivere bene, a interagire con gli altri potrebbe bastare a «far loro cambiare direzione». Secondo il Sunday Times, il rapporto, elaborato la scorsa estate e mai diffuso, mette in evidenza le diverse posizioni del ministero degli Interni e dell’Istruzione.
Quest’ultimo sarebbe più propenso a scusare i comportamenti violenti a scuola, dando la colpa, più che al bambino, all’ambiente nel quale è cresciuto. L’Home Office, invece, vorrebbe un approccio duro e intransigente. La parziale pubblicazione del rapporto coincide con un importante annuncio da parte del neo-ministro per la scuola pubblica, Ruth Kelly, che oggi dovrebbe rendere nota la sua intenzione di stanziare 430 milioni di sterline per permettere a ragazzini tra i 4 e i 14 anni di rimanere a scuola dieci ore al giorno, dalle 8 alle 18. Lo scopo: permettere ai genitori di svolgere una normale giornata lavorativa senza doversi organizzare con vicini o baby-sitter, ma anche offrire a bimbi e teenager la possibilità di studiare una lingua in più, di prendere lezioni di musica o di fare sport. Secondo quanto anticipato dai giornali britannici, non dovrebbe spettare necessariamente agli insegnanti di ruolo restare con le scolaresche sino a sera: ogni istituto potrà usare i fondi per assumere, volendo, personale aggiuntivo.

Corriere della Sera 13.6.05
«No alle criminalizzazioni Un patto scuola-famiglia» Lo psicoterapeuta Scaparro: la conflittualità è normale, certi marchi non si tolgono più
Gabriela Jacomella

«La parola "criminale", affiancata a un bambino di tre anni, non può assolutamente essere tollerata. Neanche se la si usa in senso potenziale». È lapidario il commento di Fulvio Scaparro, psicoterapeuta, alla proposta britannica di "schedare" i bimbi troppo inquieti. «E poi, chi ha l’esperienza necessaria per stabilire che un bimbo ha potenzialità criminali? Paradossalmente, allora, tutti le abbiamo...».
In Gran Bretagna, però, l’allarme per il bullismo scolastico ha raggiunto livelli di guardia.
«L’allarme bullismo c’è anche in Italia, ma non si può pensare di prenderli da piccoli per fargli passare la voglia in maniera preventiva. La conflittualità è normale in questa fase della crescita: chiunque abbia un figlio piccolo sa perfettamente che, per quanto seguito, può avere per vari motivi reazioni più o meno aggressive, fa parte della natura umana. Qui c’è il rischio di "etichettare" bambini e ragazzi con un marchio che spesso rimane per tutta la vita. No, la soluzione non è questa. E nemmeno si può pensare di spostare un bambino dal suo ambiente solo perché ci sarebbero degli ipotetici "segnali" negativi».
Quale può essere, allora, un modo positivo per intervenire?
«Io sono d’accordo sulla necessità di coinvolgere le famiglie. I guai, del resto, emergono in situazioni familiari di chiusura, quando il rapporto con il mondo scolastico è inesistente. Quello che serve è un patto iniziale tra famiglia e scuola, per un contatto stretto e costante tra genitori e insegnanti. Non è solo il bambino che deve andare a scuola, ma anche il padre, la madre. È necessario che ci sia equilibrio tra l’educazione impartita in aula e quello che si impara a casa. Se non c’è dialogo tra questi due mondi, non c’è speranza».