giovedì 17 marzo 2005

la parabola di Massimo Cacciarida comunista dei Quaderni Rossi a prete militante

La Provincia di Como 17.3.05
Il percorso di Cacciari intorno alla croce
Manuela Clerici

La croce - simbolo arcaico dell'armonia cosmica - si trasforma in un segno inaudito, in una follia per il simbolismo pagano, filosofico allorché sulla croce irrompe un Crocifisso: Gesù inchiodato sulla croce. «Questo è lo scandalo, il paradosso e insieme la straordinarietà del segno della croce nella nostra cultura». Attraverso un percorso filosofico e teologico attorno al simbolo della croce, il filosofo Massimo Cacciari - relatore dell'incontro tenutosi l'altra sera al cineteatro San Francesco - ha spiegato, a una platea interessata e attenta, il senso profondo del paradosso del simbolismo cristiano della croce. «Nei Vangeli la croce diventa il segno della sofferenza per eccellenza. Il Dio che soffre in croce del più tremendo dei supplizi è qualcosa di incomprensibile per la ragione. La straordinaria invenzione di Paolo è il Dio sofferente in tutta la sua vicenda umana: Gesù crocifisso che abbraccia in sé tutti i simbolismi precedenti, tutte le dimensioni divino e umano; tutte le modalità dell'essere si concentrano nella figura del crocifisso che soffre nel contenerle tutte, non la quieta croce. La figura del Dio sofferente è in necessaria contraddizione con il semplice ordito cosmico: è appesa a quell'ordito che costantemente la contraddice, ma nello stesso tempo è inseparabile da esso». In questa visione conciliativa, dove umano e divino dovrebbero contenersi, irrompe il grande grido: "Dio mio, perché mi hai abbandonato?"» Ma è proprio qui - ha fatto osservare Cacciari - che si realizza la conciliazione per eccellenza. «Gesù è l'umano ed è con il divino proprio nel momento dell'abbandono. Rispetto alla teologia paolina, il grande grido è uno scandalo. Ma quella è parola vera di Gesù nel senso teologico del termine perché solo se giunge all'estremo dell'abbandono sono insieme, allora quell'essere è davvero necessario, non potrà mai venire meno. Se fosse un semplice grido che indica la separazione, Gesù dovrebbe scendere dalla croce. Invece Gesù grida l'abbandono confitto in quel simbolo che connette umano e divino nella forma più radicale e indissolubile. È proprio in questa contraddizione, certo uno scandalo, che padre e figlio risultano assolutamente inseparabili. È nel momento in cui il figlio esprime con insuperabile intensità la propria libertà, in quanto liberamente accetta di fare la volontà del padre, che si realizza il legame più indissolubile. Il momento del massimo abbandono, è anche quella della massima vicinanza. Questo legame non ha più nulla di casuale, di transitorio». Certamente si tratta di un sacrificio: «Tutta la tradizione teologica interpreta questo segno come un sacrificio; Dio è messo a morte dall'uomo, egli accoglie liberamente questa morte. E qui insorge la domanda che ci riguarda radicalmente: dopo un tale sacrificio, come è possibile qualsiasi altro? Quando si arriva al sacrificio del logos divino, voluto e liberamente accolto; ebbene questo sacrificio non può che essere pensato come l'ultimo. Dopo questo sacrificio non possiamo che pensare a ogni altro atto analogo come un semplice omicidio. Nulla può più giustificare il sacrificio. Dopo questo evento la storia è desacralizzata».