giovedì 19 giugno 2003

cognitivismo e meditazione (e costa meno della psicoterapia!)

La Repubblica 19 Giugno 2003
Sani e felici meditando
fi Francesco Bottaccioli
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La tradizione vuole che il principe Siddhartha Gautama, nato fra il 558 e il 536 a.C. a Kapilavastu, ai confini con il Nepal, rimase a godersi la vita nel palazzo di famiglia fino a ventinove anni, quando incontrò un vecchio, poi un appestato e quindi un corteo funebre. Conobbe così la vecchiaia, la malattia, la morte.
Incontrò anche un asceta, lacero mendicante, ma con una grande e serena calma impressa nello sguardo.
Il principe Siddharta capì che quella era la sua strada e lasciò il palazzo reale.
Praticò l’ascetismo e visse per sei anni, nudo, nei boschi nutrendosi di bacche. E’ da questa esperienza che gli derivò l’appellativo Bhudda Shakyamuni (il Shakya, asceta).
Bhudda, però, notò che le pratiche ascetiche troppo rigorose, generano, in chi le fa, aspettative elevate che, ingigantendo l’io, creano vanità e, talvolta, sete di potere. Cominciò così ad elaborare la "via del giusto mezzo", rifiutando ogni esagerazione, giudicandola inutile e, anzi, degna di rimprovero.
Buddha non si è mai proclamato dio, né figlio di dio, né ha chiesto che venisse venerato come tale.
L’atteggiamento di Buddha verso la religione è stato magistralmente definito da Carl Gustav Jung "la trasformazione degli dei in idee".
In effetti il buddismo, al di là della enorme varietà delle scuole e delle tradizioni in cui si è articolato nel corso dei millenni (vedi box), nella sua essenza, costituisce un raffinatissimo sistema di pensiero intessuto dall’intreccio tra filosofia e psicologia. Non a caso Jung, ma anche William James, un altro grande padre fondatore della psicologia, furono affascinati e culturalmente stimolati dal buddismo.
Più recentemente, la medicina ha iniziato a indagare gli effetti delle tecniche meditative sul cervello e la loro efficacia riguardo alla salute.
La rivista di divulgazione scientifica britannica New Scientist, nel numero del 24 maggio, ha dato risalto alle dichiarazioni di Owen Flanagan della Duke University, North Caroline, riprese con grande evidenza da alcuni giornali italiani, sulla felicità dei meditanti. In realtà, lo studio ancora non è stato pubblicato, ma, alcuni mesi fa, un gruppo di neurobiologi danesi, ha pubblicato su Cognitive Brain Research, uno studio realizzato su otto maestri di meditazione, indagati, durante l’esecuzione di esercizi della scuola Yoga Nidra (yoga del sonno), tramite la PET (tomografia a emissione di positroni). Visualizzando l’attività del cervello dei meditanti, con un tracciante contenente un competitore per il neurotrasmettitore dopamina, i ricercatori hanno potuto vedere un notevole aumento del neurotrasmettitore nello striato ventrale, un’area del cervello che fa parte dei circuiti del premio, della gioia per una ricompensa.
Questi circuiti collegano aree prefrontali della corteccia ai nuclei della base (di cui fa parte lo striato ventrale) al talamo e al sistema limbico. I circuiti della gioia, il cui trasmettitore principe è per l’appunto la dopamina, vengono fortemente attivati ogniqualvolta ci sentiamo gratificati da un’esperienza piacevole e, anche da sostanze come anfetamine, cocaina e altre.
Il circuito del piacere, su cui ciascuno può provare a costruire una esperienza di felicità, ha il suo terminale nelle cortecce prefrontali, che possiamo dividere in due grandi aree: la ventromediale e la dorsolaterale. La prima è il terminale delle emozioni, spesso anche negative. Nella depressione e nell’ansia la ventromediale è iperattiva a scapito della dorsolaterale che, invece, è il centro dell’attenzione, della memoria di lavoro, della percezione del tempo.
Sull’ultimo numero di Consciousness and Cognition, Arne Dietrich del Laboratorio di neuroscienze dell’Università statale della Georgia, documenta che durante gli esercizi di concentrazione meditativa si ha una attivazione della dorsolaterale che ha effetti ansiolitici e antidepressivi. Al tempo stesso, altri studi documentano che, in fase di meditazione profonda, si ha una riduzione complessiva dell’attività delle cortecce prefrontali con effetti tali da rendere il cervello quieto e vigile al tempo stesso.
A sostegno di ciò, troviamo sia studi di elettrofisiologia che dimostrano un netto aumento delle onde lente (onde teta) sia studi di neuroendocrinologia che dimostrano una potente regolazione del sistema dello stress con riduzione del cortisolo e della noradrenalina.
Gli effetti sul cervello possono darci una chiave interpretativa degli effetti positivi della meditazione regolare sulla salute, ripetutamente documentati, in particolare riguardo alle malattie cardiovascolari, all’ipertensione, ai disturbi dell’umore, come ansia e depressione, a disturbi gastrointestinali, come la sindrome del colon irritabile.
Nell’ultimo meeting annuale della Società americana di medicina psicosomatica, psichiatri dell’Università di Toronto hanno presentato i risultati di un programma di meditazione di 10 settimane che ha coinvolto circa 400 pazienti.
Le motivazioni delle iscrizioni al corso sono state: ansia e stress cronico, malattie o dolori cronici, depressione ricorrente. I medici hanno così riassunto i risultati ottenuti: "Alla fine dei corsi di meditazione abbiamo registrato robusti miglioramenti in termini di riduzione dello stress emotivo, dei disturbi fisici, un netto miglioramento della qualità della vita e un maggior senso di generale benessere, ottimismo e autocontrollo. Questi risultati sono stati ottenuti con meno di 300 dollari a partecipante che è meno del costo di tre sedute individuali di psicoterapia".
Risultati analoghi sono stati documentati a livello scolastico con adolescenti "difficili" e tra i carcerati delle prigioni americane, tra cui anche la famigerata Sing Sing.
* Scuola di medicina integrata www.simaiss.it