domenica 22 giugno 2003

religioni

Corriere della Sera 22.6.03
Religioni e laicità dello Stato, il grido d’allarme della Francia
Nei negozi di moda del quartiere parigino di Barbès si velano i manichini in vetrina e spuntano Barbie con l’hijab

La laicità è in pericolo! Questo il senso del rapporto consegnato qualche settimana fa al primo ministro Raffarin dal super-chirachiano Francis Baroin, vice capogruppo dell’Assemblea nazionale dell’Ump. Preoccupato del sempre più forte significato «comunitarista» del «velo islamico» (ognuno è libero di vivere secondo le regole della propria comunità etnica o religiosa), il parlamentare ha condensato in 16 punti un insieme di provvedimenti urgenti da adottare per salvare - codificandola alla vigilia del centenario della «separazione» (1905) - la laicità dell’ordinamento giuridico francese. Il tormentone del «velo a scuola», iniziato a Creil nel 1989, dopo la non limpida tregua imposta dal Consiglio di Stato (decisioni del 1989, 1996, 1999), ha ripreso a turbare i sonni dei francesi. Nonostante le perplessità del presidente Chirac, Raffarin sarebbe, ora, propenso a presentare un disegno di legge sulla «neutralità della scuola». Non è un caso, però, se quasi all’indomani del dialogo con i musulmani, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Sarkozy con le elezioni del Consiglio del culto islamico (aprile 2003), alcuni parlamentari della sua stessa parte insieme con esponenti dell’opposizione (tra i quali Jack Lang) hanno, sotto un certo profilo, cercato di appannare gli apprezzabili risultati di quel dialogo, auspicando una legge che, in omaggio alla separazione e alla laicità, vieti di indossare, nelle scuole e in altri locali «pubblici», il velo islamico e qualsiasi altro simbolo religioso. Settimanali ad alta tiratura ( Nouvel Observateur , Elle , Figaro Magazine ) hanno fatto a gara per pubblicare amplissimi servizi sul tema, talvolta con tentazioni da fotoromanzo. Le Monde del 18 giugno gli ha, comunque, dedicato la prima pagina.
Va ricordato che in Europa una legge del genere esiste solo nella Turchia kemalista (dove è però largamente disapplicata) e che la Corte europea di Strasburgo ha recentemente considerato legittimo, alla luce della Convenzione sui diritti dell’uomo (1950), un provvedimento della Svizzera che ha vietato a una insegnante di indossare il velo a scuola (per contro in Canada hanno cercato di imporre il velo alle insegnanti cristiane nelle scuole islamiche finanziate dallo Stato).
Non vi sarebbero ostacoli, quindi, per la auspicata legge sul piano dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea, anche se l’interpretazione della Corte nel caso della Svizzera appare sostanzialmente restrittiva. Nel dibattito in corso in Francia coprire il capo femminile è considerato non solo un impegno religioso, ma, secondo alcuni intellettuali musulmani, anche una manifestazione di femminismo (per tutti Tariq Ramadan, docente universitario in Svizzera la cui moglie, convertita, è ampiamente velata). Per altri studiosi, l’obbligo religioso del velo è, però, un chiaro segno di quella discriminazione tra uomini e donne rigorosamente vietata sia dalle Costituzioni europee, sia dalla ricordata Convenzione del 1950, sia dal diritto dell’Ue (art.13 Trattato TCE). Nella realtà nei negozi di moda del quartiere parigino di Barbès, non solo si velano i manichini in vetrina, ma di qua e di là spuntano «Barbies» islamiche con l’ hijab . Peraltro, grazie al lavoro di mediazione compiuto dalle scuole, il numero di «veli» scolastici non supererebbe i 100/150 annui contro i 300 del passato.
E se Elisabeth Badinter teme che cominciando con un innocente «foulard» si finisca con il burka (e perché non con il pugnale «kirpen» obbligatorio per i Sikh?), il ministro dell’Educazione nazionale, Luc Ferry, ha dichiarato: «Una legge sul velo islamico, auspicata da alcuni deputati, rischierebbe di essere incostituzionale se andasse al di là della giurisprudenza del Consiglio di Stato», ma non la ha esclusa.
Non c’è dubbio che la questione investe sia le foto sulle carte di identità (un decreto del ’99 impone a tutte le donne, comprese le suore di avere il capo scoperto), sia la presenza di simboli religiosi nelle scuole e nelle aule di giustizia (non solo i crocefissi, non consentiti in Francia, ma le stesse «catenine» con simboli religiosi abitualmente indossate dalle studentesse), sia le piscine multisesso, sia le classi miste di ginnastica nelle scuole. E la pressione islamista per rinforzare il carattere culturale e identitario di questi precetti non cesserà davvero in poco tempo. Molto potrà, quindi, il nuovo Consiglio islamico che dovrà trovare rapidamente una soluzione equilibrata. Certo non sarà facile: recentemente Le Monde ha pubblicato le lettere di due lettori che propongono non solo di eliminare tutte le festività religiose, ma di ripristinare anche il Calendario rivoluzionario con il «decadì» al posto della domenica!
E’ vero che i francesi sono, fra gli europei, il popolo che ha più forte il senso della nazione e della sua storia, ma, talvolta, un eccesso di senso del laicismo storico può far perdere l’altrettanto essenziale senso del ridicolo.