sabato 12 luglio 2003

crociate: i cristiani in paradiso

La Stampa Tuttolibri 12.7.03
Così il cristianesimo, religione di pace con le crociate sacralizzò la guerra
Solo per la riconquista di Gerusalemme venne meno il comandamento «Non uccidere» e per i fedeli morire in battaglia contro i pagani significò meritarsi il Paradiso

OGNI epoca interroga il passato sulla base delle proprie preoccupazioni. Nell'Ottocento, in un'Europa lanciata alla conquista del mondo, le crociate vennero celebrate come il provvidenziale punto di partenza di una benefica attività di colonizzazione; la colossale Histoire des croisades del Michaud uscì a Parigi fra il 1825 e il 1829, negli stessi anni in cui si preparava la conquista dell'Algeria, e non è certamente un caso che la traduzione italiana sia apparsa con estrema rapidità, già nel 1831, a Napoli, dove la paura dei pirati barbareschi non era ancora stata sepolta del tutto. In tempi più recenti, l'interpretazione delle crociate come una sorta di prova generale del colonialismo europeo è stata riproposta con segno inverso, senza più traccia di trionfalismo e anzi con una venatura polemica, in libri come quelli dell'israeliano Joshua Prawer, la cui storia del regno crociato di Gerusalemme ha potuto essere intitolata Colonialismo medievale. E' un segno dei tempi il fatto che oggi le domande più attuali siano altre: che cosa significa, per una civiltà, convivere con il concetto di guerra santa? Com'è possibile che da una religione come quella di Cristo siano nati frutti come le crociate? Perché si era disposti a uccidere, e a morire, per Gerusalemme? Che rapporto c'è fra la guerra santa cristiana e quella islamica, la jihad? A queste domande cerca di rispondere il medievista francese Jean Flori nel suo nuovo libro, La guerra santa, ultimo d'una ricca messe di studi dedicati in gran parte alla storia della cavalleria e, appunto, delle crociate. A dire il vero, la definizione di crociata cui egli approda alla fine del suo percorso è estremamente restrittiva, tale da poter essere applicata in pratica soltanto ad un unico e irripetibile evento, quello che noi conosciamo come la Prima Crociata: «La crociata è una guerra santa che ha come obiettivo la liberazione di Gerusalemme». Ma ciò che rende vitale il libro è l'analisi delle premesse che resero possibile questo evento; del lungo percorso di sacralizzazione della guerra che portò la società cristiana ad allontanarsi paurosamente dai suoi presupposti originari. Flori è molto netto nel riconoscere la novità dell'ideologia crociata, che non a caso impiegò addirittura un millennio per raggiungere la sua piena legittimazione nel mondo cristiano. In questo, secondo l'autore, sta una differenza significativa rispetto alla religione islamica, al cui interno la guerra santa per allargare i confini dell'Islam rappresenta fin dall'inizio un elemento costitutivo. Flori sa bene che oggi molti intellettuali musulmani cercano di attenuare il carattere guerriero e conquistatore dell'Islam, proponendo un'interpretazione più ampia e sfumata del concetto di jihad, lo sforzo al servizio di Dio; ma il rigore dello storico lo obbliga a riconoscere che per i musulmani delle origini, a partire dallo stesso Profeta, l'interpretazione più ovvia era proprio quella bellica. Proprio qui, tuttavia, sta il germe di una riflessione feconda sull'evoluzione delle religioni. Quale che sia la nostra interpretazione dell'originaria spiritualità musulmana, non c'è dubbio che la capacità dell'Islam contemporaneo di distaccarsi dalle sue primitive connotazioni guerriere è una questione vitale per il mondo di oggi e di domani. E che una comunità religiosa possa, da un'epoca all'altra, trasformare profondamente i suoi atteggiamenti è dimostrato proprio dall'esempio opposto del Cristianesimo: che nacque come religione di pace e di non violenza, e finì per elaborare al suo interno, pur fra mille resistenze e contraddizioni, una sacralizzazione della guerra, spinta fino a comprendere la promessa del Paradiso per i martiri che morivano uccidendo i nemici della fede. Il percorso ricostruito da Flori fu lungo e diseguale. Alcuni fra i precetti del Cristianesimo originario vennero abbandonati molto in fretta. I primi cristiani prendevano alla lettera il comandamento "Non uccidere", al punto di rifiutare il servizio militare e affrontare la pena di morte comminata dai magistrati, piuttosto che cingere la spada; ma già Sant'Agostino, all'inizio del V secolo, insegnava che poiché gli imperatori ormai erano cristiani, rifiutarsi di combattere non aveva più giustificazione. Su altri aspetti, che avevano a che fare con i tabù dell'inconscio collettivo, la dottrina e, forse, i comportamenti ebbero un'evoluzione molto più contrastata: ancora intorno all'anno Mille il cavaliere che uccideva in battaglia, sia pure in una guerra giusta, ordinata da un sovrano cristiano e benedetta dalla Chiesa, doveva affrontare una durissima penitenza pubblica, con anni di digiuno e di allontanamento dalla comunione, per purificarsi del sangue versato. Solo quando la spedizione per riconquistare Gerusalemme offrì ai credenti l'occasione d'una guerra non solo giusta e approvata, ma voluta da Dio ("Dio lo vuole!") e quindi sacra, questo tabù cadde per sempre e i fedeli si convinsero, forzando i dubbi dei teologi, che morire in battaglia contro i pagani significava guadagnarsi il Paradiso. Ma c'è un aspetto che s'intuisce nel libro di Flori, e che avrebbe potuto essere più sviluppato; ed è la riflessione sull'intrinseca contraddittorietà della dottrina cristiana, fondata com'è su entrambi i Testamenti. Non si può ridurre il messaggio cristiano al "Porgi l'altra guancia" pronunciato da Cristo, senza ricordare i re dell'Antico Testamento e le loro guerre di sterminio contro i nemici del popolo eletto: gli abitanti di Gerico passati a fil di spada, uomini e donne, vecchi e bambini, perfino i buoi e le pecore e gli asini, affinché non ne rimanesse più traccia. Se la jihad, come afferma Flori, è un aspetto costitutivo della religione di Maometto, anche i Cristiani trovavano nelle loro Scritture la più ampia legittimazione della guerra sacra. Flori spiega come quest'aspetto prevalse, a un certo punto, su quello che a noi pare oggi il più autentico messaggio cristiano della pace e della fraternità. Come questi valori siano tornati, almeno ufficialmente, a prevalere in tempi più recenti, e come anche nel mondo islamico si affrontino oggi interpretazioni diverse e contrastanti della jihad, è cosa che non riguarda più il medievista, ma tutti coloro che vivono il nostro tempo. J. Flori

La guerra santa. La formazione dell'idea di crociata nell'Occidente cristiano
traduzione di Paola Donadoni, il Mulino, pp. 442, e 26