mercoledì 27 agosto 2003

cosa dice Mario Monicelli, il presidente della giuria

Corriere della Sera 27.8.03
«No ai film per pochi intimi, il cinema è di tutti»
Monicelli, presidente della giuria a Venezia: spero si debba discutere per assegnare il Leone
da uno dei nostri inviati

VENEZIA - Si apre oggi la Sessantesima Mostra del cinema e se Mario Monicelli decide, per la prima volta in 88 anni di prestigiosa carriera, di presiedere la giuria di un festival insidioso come quello di Venezia, vuol dire che questo ruolo vuol giocarselo fino in fondo. Con la stessa grinta anarchica e senza etichette, che l’accompagna da una vita, lo stesso spiritaccio ironico, anticonformista. «Quel po’ di peso in più che in giuria ha un presidente lo farò valere», assicura battagliero. E ribadisce quello che il Corriere anticipò nelle scorse settimane: «A parità di meriti appoggerò un film italiano. Il patriottismo non c’entra, c’entra il cinema. Il nostro sta riprendendo quota e un premio come il Leone potrebbe aiutarlo».
Allora non è vero, come ciclicamente si dice, che il Leone o la Palma non contano più ?
«Valgono, valgono... Però, da soli non bastano. I premi per un film sono un prezioso valore aggiunto, ma quello che davvero fa la differenza è che il film possa essere visto. Invece, è capitato che l’opera che ha vinto un festival poi non è stata neanche distribuita... Una beffa».
Insomma, il giudizio artistico deve tener conto del mercato?
«Il cinema è arte, d’accordo. La settima, stando alle classifiche. Ma a mio parere è un’arte minore, applicata a un’industria che dà lavoro a moltissima gente e fa girare enormi quantità di denaro. Un film è un prodotto artistico costoso. Oggi più che mai. Un regista non deve scordarlo. Le esigenze estetiche non possono dettar legge al punto di dimenticare che dall’altra parte c’è un pubblico. Il cinema è stato inventato per essere visto da milioni di persone. Non da pochi intimi, come invece spesso accade».
Molti film italiani sono finiti relegati in quest’ultima categoria ...
«Un paio di generazioni sono rimaste schiacciate dai grandi maestri. Difficile reggere il confronto. Si sono salvati in pochi: Bellocchio, Ferreri, Bertolucci... L’ultimo è stato Moretti. Gli altri... O non hanno osato venir fuori o si sono concentrati sui loro ombelichi tentando penose imitazioni».
(...)

sempre sul Corriere, in un'altro articolo, si può leggere:

Nel letto della Storia. Accusato per anni di essere ombelico-centrico, il cinema italiano dà ora conferma del voler cercare nel passato, più o meno recente, le ragioni del presente. Così, se in The dreamers Bertolucci spia il Maggio francese con gli occhi e i sensi di tre ragazzi, in Buongiorno, notte Bellocchio mette sotto la lente d’ingrandimento dell’inconscio l’Italia degli anni degli piombo ripercorrendo il caso Moro attraverso una giovane terrorista divisa tra tentazione della normalità e sogno della lotta armata