mercoledì 27 agosto 2003

dal Mattino di Napoli

il Mattino Mercoledì 27 Agosto 2003
Con Bertolucci e Bellocchio torna l’impegno
di Titta Fiore

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Curiosamente, in una Mostra ricchissima di proposte e perciò anche dispersiva, è proprio la memoria a fare da filo rosso tra le opere della maggior parte degli autori italiani. Nel festival delle sessanta edizioni due maestri ultrasessantenni come Bertolucci e Bellocchio affrontano da par loro la storia che fino a ieri era stata tormentato presente, tragedia collettiva, rovello generazionale o meravigliosa progettualità: il Maggio francese l'uno, il rapimento Moro l'altro. «Entrò la Storia e si sedette dalla parte del torto»: cita Brecht Bellocchio, per spiegare la chiave di «Buongiorno, notte», il suo film che certo non sarà cronachistico, partendo come fa dall'idea di raccontare «il fallimento di una generazione e della sua utopia estrema e violenta» attraverso le vicende di una giovane terrorista, divisa tra i riti della clandestinità e l'apparente normalità del quotidiano. Ispirato a un verso di Emily Dickinson, «Buongiorno notte» è anche un modo per esprimere un contrasto insanabile, una contraddizione bruciante tra l'oscurità degli anni di piombo e il loro superamento. «Ma se oggi sia giorno» si chiede il regista di fronte alle nuove forme di terrorismo mondiale, al moltiplicarsi delle vittime e dei carnefici, «io non lo so».
«Il tempo discende dal futuro, che ancora non esiste, diventa presente, che non dura, e subito si trasforma in passato, che non esiste più»: si rifà addirittura a Sant'Agostino, Bernardo Bertolucci, illustrando i motivi che lo hanno riportato a Parigi, trent'anni dopo «Ultimo tango» per raccontare, con le vicende di tre ragazzi chiusi in un appartamento a scoprire il mondo e se stessi mentre nelle strade impazzava il movimento, le pulsioni intellettuali, cinefile e erotiche che furono le sue. Interrogarsi sul passato perché «al presente manca una grande speranza politica», come ha più volte spiegato Bertolucci? O per rispondere a domande «ancora senza risposte», come dice Paolo Benvenuti a proposito del suo «Segreti di Stato», il film sulla strage di Portella della Ginestra destinato a riaprire uno dei casi più controversi della storia italiana? O perché, come insinua perfido il più sulfureo dei nostri registi, il presidente della giuria Monicelli, a parlare del passato si fa meno fatica che a capire il presente?
Staremo a vedere.
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