giovedì 7 agosto 2003

Lucrezio Caro (98-55 a.c.)

Il Corriere della Sera, 7.8.03
Il De rerum natura nella rara versione di Alessandro Marchetti, scienziato del ’600
Elogio di Lucrezio eretico. Anzi eroico
di Luciano Canfora

Galileo fu uomo prudente, per nulla incline all’eroismo. Anche perciò Bertolt Brecht lo ammirò e gli attribuì, nel dramma dedicato alla sua vicenda, la memorabile osservazione: «Beata la terra che non ha bisogno di eroi!». Eroici non furono nemmeno i suoi scolari, a parte quelli che Brecht mette in scena, che avrebbero voluto più eroico il maestro. Scolaro di scolari di Galileo fu Alessandro Marchetti (1632-1714), matematico e successore di Borelli a Pisa. Egli lavorò per molta parte della sua vita a una traduzione in versi di Lucrezio, che non osò mai pubblicare. La pubblicò il Rolli a Londra tre anni dopo la morte di Marchetti (1717), quando ormai i fulmini della censura non potevano più colpire il moderno traduttore, ma era comunque più prudente pubblicare a Londra che in Toscana.
«Eretico», anzi, materialista e «ateo» era considerato il grande scienziato-poeta latino che aveva realizzato l’impresa impressionante di mettere in esametri i trattati di Epicuro. (Brecht aveva accarezzato l’idea di trarre un poema dal Capitale di Marx).
Eretico era il modo in cui Marchetti si era avvicinato a Lucrezio, filtrandolo, per così dire, attraverso il suo appassionamento per la scienza moderna. Memorabile l’inserzione che egli fece di un elogio di Borelli nel libro I dell’antico poema e di Gassendi nel libro V, a imitazione dei continui elogi di Epicuro che Lucrezio dissemina strategicamente nel poema.
Prova della inquietudine di Marchetti di fronte ai suoi propri esperimenti è la mancanza dei versi su Gassendi in vari esemplari: in quelli che forse rispecchiano la volontà ultima del traduttore quell’elogio non c’è più. Mario Saccenti in memorabili saggi ( Lucrezio in Toscana ) trattò questa significativa storia.
Oggi la Salerno Editrice pubblica in veste elegante (nella collana «I Diamanti», Della natura delle cose, pp. 546, 20) la traduzione lucreziana del Marchetti secondo la stesura «finale», con una adeguata introduzione di Denise Aricò.
Editore e ammiratore di questa versione toscana, che ha valore di autonoma scrittura poetica rispetto all’originale latino, fu Giosuè Carducci, il quale la pubblicò a Firenze presso Barbèra nel 1864. Una scelta non casuale da parte del laico «leone» maremmano. Il poema della natura aveva ispirato Lagrange a una traduzione che si ristampava ancora nel Novecento. E ispirerà Einstein a una memorabile pagina introduttiva della migliore traduzione moderna, quella di Hermann Diels.