sabato 23 agosto 2003

Repubblica in agosto ha pubblicato tre "paginoni" sulla psichiatria: una inchiesta in tre puntate ed altri articoli e dati, eccoli:

INCHIESTA DELLA REPUBBLICA
(12, 14 e 18 agosto 2003)


La Repubblica martedì 12 agosto 2003 pag.11

Milano, parlano i colleghi di Lorenzo Bergamini: "La legge Basaglia può essere migliorata"
Nelle trincee della psichiatria "Qui è difficile curarli tutti"
Cosa è successo dopo la chiusura dei manicomi. I malati sono tanti le strutture che si devono occupare di loro sono in affanno. Da tempo
Gli operatori, seppure con diversità di vedute sull´organizzazione dell´assistenza, su un punto concordano: bisogna cambiare
"I Centri psico-sociali sono in condizioni disperate e in balia della criminalità"
"I problemi con i pazienti nascono quando li perdiamo di vista, come Geoffroy"
di Roberto Bianchin
MILANO - Il vecchio, le spalle curve, alza la testa verso la porta dell´ambulatorio e avvicina gli occhi per riuscire a leggere il cartello che c´è appeso: «Lorenzo, sarai sempre nel cuore di tutti noi», c´è scritto. Vicino ci sono delle foto, sul tavolo dei fiori. «Era gentile, il dottore, poverino. Tanto gentile...», mormora e scuote la testa. Accanto c´è un uomo magrissimo, sui cinquanta, in canottiera e pantaloni corti, più in là una donna, vestita modestamente, anche lei avanti con gli anni. Sono i pazienti di Lorenzo Bignamini, lo psichiatra accoltellato a morte per strada. Nel suo studio di Via Barabino che ha riaperto ieri mattina, il «Centro psico sociale» dell´ospedale San Paolo, a due passi da dove l´hanno ucciso, ne arrivano una dozzina, in maggioranza anziani, nonostante il caldo che supera i quaranta gradi. Perché gli affanni della mente non vanno in ferie.
«Seguiamo molto da vicino i nostri pazienti, la continuità del rapporto è fondamentale - dice il vicedirettore sanitario del San Paolo Mauro Moreno - i problemi nascono quando li perdi di vista, quando sfuggono a ogni controllo, com´è stato per Arturo Geoffroy, un caso assolutamente eccezionale, che a un certo punto si era allontanato, aveva cambiato città e fatto perdere ogni traccia. L´abbiamo cercato, ma invano». Non hanno paura i 17 medici che si alternano nel centro. «Non ci sentiamo in pericolo - dice Moreno - del resto chi sceglie di lavorare nell´ambito del disagio psichico sa che si corrono dei rischi. Non possiamo certo pensare di militarizzare queste strutture, che anzi devono essere le più aperte possibile». «Non è certo segregando i malati di mente che possiamo curarli» concorda Carmine Pismatoro, il medico che dirige il centro.
Hanno il pudore di non dirlo, loro. Ma sono medici-coraggio quelli che lavorano in posti così, diventati trincee, avamposti del disagio, rifugi di derelitti, ricettacoli di anime perse, disperate, malate, spesso senza speranza. Medici che si affannano in stanzette spoglie, sperdute nelle periferie delle metropoli, senza mezzi, senza protezione, alla mercé dei tossici, dei matti, degli alcolisti, dei ladri, dei piccoli farabutti di quartiere. Di quelli che entrano col coltello e te lo puntano alla gola. «I Cps, i centri psico-sociali, sono in condizioni disperate - dice Franco La Spina, psichiatra «indipendente» - posti abbandonati a sé stessi, senza difese, dove manca tutto, in balìa della criminalità e di ogni sorta di patologia sociale, dove diventa molto difficile riuscire a mettere in pratica una terapia seria».
Ne ha quattro di questi centri, il San Paolo: oltre che in Via Barabino, in Via Piave, Via Conca del Naviglio e Via S.Vigilio. Ci lavorano medici, infermieri, educatori e assistenti sociali. Sessanta fra medici e psicologi per prendersi cura di 4.000 pazienti. Che nei casi più gravi vengono ricoverati nei due reparti del dipartimento psichiatrico dell´ospedale, i cosiddetti «repartini», dove finiscono anche, ma solo per quindici giorni, i malati sottoposti al «Tso», il trattamento sanitario obbligatorio, quel «ricovero coatto» che Geoffroy subì due volte. Un lavoro enorme, contro i mali della mente e contro la deriva sociale che sempre più spesso fa da compagna alla follia. «Io credo molto nell´attività territoriale di queste strutture, anche perché i pazienti possono rimanere vicini alle famiglie - dice Aurelio Palestra della direzione sanitaria del San Paolo - ma il problema sorge quando devo portarli da qualche parte, i pazienti, e dove li porto, al bar dell´angolo? Io non sono certo un fautore della legge Basaglia, perché quando fu scritta non teneva conto della realtà del Paese, ma mi chiedo: l´hanno applicata tutti?».
«La legge Basaglia non c´entra, e io non la metto in discussione - spiega Antonio Guerrini, direttore del dipartimento di psichiatria dell´ospedale Niguarda - in questo caso tristissimo che è accaduto, il problema che è emerso è che non c´è abbastanza tutela per gli psichiatri. E pensare che basterebbe poco. Per esempio, visto che c´è la legge sulla privacy, basterebbe tenere riservato il nome del medico che dispone i ricoveri coatti, che purtroppo firmiamo ogni giorno, e a decine. In questo modo si eviterebbe di indicare il nome del "persecutore" a chi, come nel caso di Geoffroy, si vuole vendicare».
Toccherebbe alla magistratura, secondo Claudio Mencacci, direttore della psichiatria del Fatebenefratelli, intervenire nei casi di pericolosità sociale «invece di limitarsi ad archiviare le denunce e le minacce». Ma toccherebbe anche al legislatore mettere mano a un aggiornamento della legge Basaglia per colmare quel vuoto pericoloso che c´è tra la fase acuta della malattia e la prosecuzione delle cure, attraverso un «contratto terapeutico vincolante» che permetterebbe ai medici un controllo costante sui pazienti. Può andar bene, secondo lo psichiatra La Spina, anche la creazione di «strutture aggiuntive di media degenza», sia negli ospedali che fuori, purché «non vadano contro lo spirito della legge», e «non nascondano la voglia di riaprire i vecchi manicomi. Perché questo sarebbe pericolosissimo». Tutti comunque concordano che «qualcosa bisogna fare». Perché la situazione è «insostenibile», e i mali della mente crescono. Le statistiche cliniche dicono che 11 persone su 100 hanno avuto bisogno di un «aiutino» almeno una volta nella vita, 6 su 100 di «qualcosa di più», e 2 su 100 della misura più estrema e più odiosa, ma a volte necessaria: il ricovero.
(1 - continua)

LA LEGGE
La legge n. 180 detta “legge Basaglia” è stata approvata il 13 maggio del 1978 e successivamente inglobata nella legge n. 833/78 di Riforma Sanitaria Nazionale. Deve il suo nome allo psichiatra Franco Basaglia (1924-1980), esponente italiano del movimento dell’antipsichiatria

COSA PREVEDE
La legge “Basaglia” ha abolito i manicomi. Gli ospedali psichiatrici sono sostituiti dai servizi di Igiene mentale e l’internamento con il “trattamento sanitario obbligatorio” di breve durata. Alle regioni vengono invece trasferite tutte le funzioni in materia di assistenza ospedaliera psichiatrica

L’APPLICAZIONE
La legge “Basaglia” ha affidato l’assistenza dei malati di mente alle strutture territoriali che però non hanno mai funzionato pienamente. Alla sua approvazione solo nel 55% delle province esisteva un ospedale psichiatrico. Nel 1994 il Progetto Obiettivo ha riformato le strutture di assistenza psichiatrica

LE POLEMICHE
Secondo il ministro della Salute Girolamo Sirchia la legge “Basaglia” va ritoccata, “ma non nei principi”, per creare dei centri di assistenza. Quella legge è stata una “iattura” ha replicato Roberto Calderoli della Lega. Per Livia Turco invece “parlare di riapertura dei manicomi” è un ritorno al passato

I NUMERI
Secondo le statistiche mediche 11 persone su 100 hanno avuto bisogno di qualche aiuto psichiatrico almeno una volta nella vita. Ma il 2 per cento della popolazione ha dovuto ricorrere al ricovero in un centro specializzato

I RICOVERI
La legge prevede che il «Trattamento sanitario obbligatorio» non possa durare più di 15 giorni. Così il malato mentale rischia di venire abbandonato a se stesso dopo le dimissioni e non seguire le terapie

I RISCHI
I Centri psicosociali diffusi nel territorio soffrono di carenza di mezzi e di personale e di nessuna protezione per medici e infermieri sempre più esposti ad ogni tipo di patologia sociale e ai rischi della criminalità

nella stessa pagina:
L´INTERVISTA
Beppe Dell´Acqua, psichiatra a Trieste, ha collaborato con Basaglia alla stesura della "180"
“Ma non prendetevela con la legge, hanno prevalso interessi e stupidità”
Ci sono 600 mila schizofrenici in Italia Quanti di loro hanno ucciso nel giorno del delitto Bergamini?
di Franco Vernice
MILANO - Che ora, dopo il delitto di Milano, qualcuno voglia rinfocolare il dibattito infinito su una possibile revisione della 180, lui che di Franco Basaglia è l´erede professionale e ideale, proprio non lo manda giù. Il professor Beppe Dell´Acqua, psichiatra, è il direttore del Dipartimento di salute mentale di quella Trieste che di Basaglia fu il laboratorio. Salernitano, 56 anni, ha lavorato con il padre della legge che ha spalancato le porte dei manicomi fin dal 1971.
Professore, si torna a parlare di rivedere la legge e la sua attuazione. Un ritornello che si ripete quasi a scadenze fisse...
«Sono tutti ragionamenti possibili e plausibili, a parte che li facciamo da venticinque anni. Sarebbe anche il caso di cominciare a guardare diversamente le cose. E´ strano però che ci ricordiamo di parlare della legge 180 soltanto quando un povero collega muore per mano di una persona che ha un disturbo schizofrenico. E tutte queste cose accadono anche dove non c´è la legge 180. Negli Stati Uniti dove ci sono fior di manicomi, in Inghilterra, in Germania, esistono serial killer e ogni giorno ci sono persone che ammazzano, usando le armi. E queste persone sicuramente non sono persone che stanno bene».
Ma il caso di Milano ha fatto particolarmente scalpore.
«Certo, e vi vedo un elemento di anomalia. Il fatto che una persona con disturbi schizofrenici come questo collega, povero anche lui, che ha ucciso è strano perché chi è affetto da quel tipo di malattia è fra quanti meno rischiano di passare all´atto. Una ricerca inglese ha dimostrato che i malati di schizofrenia sono responsabili di reati contro la persona in una percentuale assolutamente bassissima».
Cioè sono meno propensi alla violenza?
«Pensi che oggi in Italia ci sono 600mila malati di schizofrenia. Nella giornata dell´omicidio quanti altri hanno commesso reati violenti?».
Si sente dire spesso che la 180 è buona nei principi, ma mai applicata fino in fondo.
«Ma di questo non bisogna interrogare Basaglia. Bisognerebbe interrogare tutte le stupidità amministrative fatte, tutti gli interessi privati che sono stati coltivati, tutte quelle politiche che sono state politiche malsane. Si dovrebbe chiedere alle università come oggi preparano gli psichiatri. In base a quale orizzonte di lavoro, a quali progetti».
Professore, come vede la situazione generale italiana sotto il profilo della cura delle malattie mentali?
«Guarire è possibile. Ovviamente utilizzando tutti gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione, i farmaci le psicoterapie, i percorsi riabilitativi, le cooperative sociali, le strutture residenziali, i gruppi di autoaiuto, i volontari. Tutto questo c´è in Italia a partire dalla legge 180. Abbiamo standard quantitativi che sono tutto sommato abbastanza accettabili. Anche se molto di più si deve fare e investire. Il bello è che ci seguono da tutto il mondo perché quella psichiatria che alcuni ricordano con malinconia è una psichiatria che sta fallendo dappertutto».
Dunque nessun ritorno alle cliniche...
«Il sistema degli ospedali non solo non produce guarigione, ma cronicità. Ed è anche un sistema costosissimo. Questi signori che oggi parlano di cliniche e ospedali, dove andrebbero a prendere i soldi? Chi paga? Perché io pago, come diceva Totò».


La Repubblica giovedì 14 agosto 2003, pag. 22
Viaggio nelle strutture psichiatriche dopo il delitto Bignamini e le polemiche sulla legge Basaglia
La sfida di Aversa, dove i "matti" imparano il lavoro e la libertà
Il progetto della Asl Caserta2 e di Franco Rotelli, successore di Basaglia, per aiutare i malati di mente a recuperare la normalità
Gruppi di tre-quattro pazienti vivono in appartamenti belli, ben arredati, al centro dei paesi per evitare che si perpetui l´apartheid
Giovanna e Teresa aspettano gli ospiti sul pianerottolo e fanno strada fino al tavolo della cucina e ai piatti caldi: "Accomodatevi e favorite"
In cinque hanno cominciato a realizzare mosaici sotto la guida di un artigiano. Ora, a Mondragone, producono bei tavoli maiolicati
dal nostro inviato, Eleonora Bertolotto
AVERSA - Giovanna aspetta gli ospiti sul pianerottolo di casa e fa strada compitamente fino al tavolo della cucina. Nel forno, in caldo, ci sono i piatti con pasta e fagioli che ha appena preparato Sisinella, Teresa, la sua compagna di stanza. Accomodatevi, fa una. Favorite, fa l´altra. Proprio come due amiche che ricevono per pranzo. Dei suoi 56 anni, Giovanna ne ha passati trenta in manicomio e gli ultimi sei in una Sir, struttura intermedia residenziale. Da dieci mesi vive con due altre ex ricoverate in un appartamento appena ristrutturato a Villa di Briano, provincia di Caserta. Impara la libertà, poco a poco. Il suo cruccio? «Di giorno c´è un´infermiera, di notte no», e l´unico legame con la struttura resta il filo del telefono, da cui può chiamare se il buio si fa troppo profondo per essere sopportato.
Franco Rotelli è il manager dell´Asl Caserta2 con sede ad Aversa, che sta realizzando lo smantellamento delle Sir per consentire ai malati di recuperare la dimensione della normalità perduta, vivendo a gruppi di tre-quattro in appartamenti belli, ben arredati, scelti con cura nel centro dei paesi. E´ nato con Basaglia, Rotelli: dieci anni di lavoro fianco a fianco, poi altrettanti al suo posto nella direzione dei Servizi psichiatrici. Due anni fa ha accettato la scommessa di Aversa. «Esperienza affascinante», dice. Perché l´agro aversano è un luogo emblematico. Terra grassa e durezza contadina, dove lo Stato ha lasciato molti vuoti, che la camorra occupa con la tracotanza di una organizzazione medioevale, dotata di computer. E la zona costiera è zona franca di un´Africa che bussa all´Europa, ma anche luogo di deportazione del dopo-terremoto, terreno ideale di coltura del disagio psichico.
Benché lo smantellamento del manicomio (fino a 3000 ricoverati) fosse concluso dal '97, ad Aversa Rotelli trovò le cose fatte a metà, se è vero che fra i suoi primi interventi ci fu l´eliminazione delle porte blindate, dieci, nel reparto psichiatrico dell´ospedale, segno tangibile di una paura della malattia mai esorcizzata. Una paura che ritorna, ciclicamente, purtroppo. Sollecitata a volte da storie disgraziate, come la morte dello psichiatra Lorenzo Bignamini, che minacciano di rimettere in discussione un percorso faticoso, già pieno di trappole. Non a caso, in questi giorni, Rotelli con i suoi propone di istituire un Forum (il documento è su Internet www.forumsalutementale.it) perché la riforma psichiatrica, dice, non può prescindere dalla qualità dei servizi che oggi «appaiono spesso segnati da un´imbarazzante dissociazione tra pratiche ed enunciazioni teoriche». Sicché per esempio i Centri di diagnosi e cura a volte sono piccoli lager che riproducono in scala l´orrore del grande lager manicomiale.
L´esperienza di Aversa vuol essere la dimostrazione che il gap si può superare, anche in un contesto difficile. Giovanna Del Giudice, altra basagliana doc, è stata chiamata un anno e mezzo fa a dirigere il Dipartimento di salute mentale. Dice: «Quando vedevano il nostro lavoro, alzavano le spalle: «Si capisce, siete a Trieste». E invece si può anche al Sud. Basta avere chiari gli obiettivi e indirizzare le risorse. La Regione Campania ha decretato che il 5 per cento del fondo sanitario nazionale va alla psichiatria. Si tratta di sapere come utilizzare i fondi: per servizi pubblici di qualità o per le cliniche private?». Servizio pubblico di qualità per lei significa puntare sul perfezionamento del lavoro territoriale: con l´assistenza domiciliare, la presa in carico puntuale dei malati per evitare che si sottraggano e spariscano, ma anche la rivisitazione delle strutture. Dice: «Mi piace aver tolto di mezzo i metodi di contenzione che ancora abbondavano, e di aver liberato dal Diagnosi e cura un ragazzo che ci era entrato vent´anni prima, con la riforma. Infine di aver aperto un paio di Centri di salute mentale dignitosi, sottratti alla miseria in cui versano in genere queste strutture».
A San Cipriano il Centro di salute mentale (l´Asl ne ha sei) si trova al primo piano di un edificio nuovo, che al piano terra ospita invece servizi per la donna e pediatrici, così da dimostrare nei fatti - come spiega Andrea Dell´Acqua, psichiatra - che l´apartheid del malato psichico è solo un fatto di cultura. Ad Aversa il Centro si trova a Palazzo Orabona, nel cuore della vecchia città. Un edificio bello, con un gran portale aperto sulla e alla comunità circostante. Cucina, salone, mensa, giardino, laboratori, ma anche un ambulatorio, quattro letti (due per donne e due per uomini, secondo un modello che si ripete in ogni unità operativa), insomma il vecchio centro crisi che qui si chiama "posto di accoglienza". Palazzo Orabona è un luogo di aggregazione, in cui si svolgono attività che, come spiega lo psichiatra Marco Tosello, non occupano solo il tempo, ma sono finalizzate, perché dare un senso a ciò che si fa è parte del percorso di recupero. Non a caso, l´Asl ha testé istituito con fondi regionali 24 borse di formazione lavoro. Anche questo si può, se si vuole. Lo dimostrano quei cinque malati che hanno cominciato a realizzare mosaici, sotto la guida di un artigiano. Ora fanno gli artigiani anche loro, a Mondragone, e producono bei tavoli maiolicati. Per uscire dal disagio, l´autostima è tra le porte principali.
(2.continua)

I SERVIZI
Sono 3500 i pazienti presi in carico dai servizi del dipartimento di salute mentale nella grossa ASL Caserta 2 che va da Aversa, alle porte di Napoli, fino a Sessa Aurunca, al confine con il basso Lazio

I CENTRI
Sei i Centri di salute mentale attorno a cui si articola l’attività delle cinque unità operative in cui è suddiviso il territorio. Due di questi rispondono già a criteri innovativi, gli altri sonovia di totale rinnovo

LE SIR
Le Sir, strutture intermedie residenziali, sono in via di smantellamento. Due sono state chiuse. Ne restano quattro, che verranno eliminate per far posto a formule di convivenza più vicine alla normalità

GLI APPARTAMENTI
Sono 15 gli appartamenti affittati nel centro dei vari paesi dell’agro aversano per ospitare, a gruppi di tre - quattro, gli ospiti delle Sir smantellate. Un percorso di progressiva autonomia

nella stessa pagina:
L´INTERVISTA
Giovanni Battista Cassano, psichiatra dell´Università di Pisa e oppositore della legge 180
"L´idea di riaprire i manicomi? Un piano inutile e costosissimo"
di Carlo Brambilla

MILANO - «Tornare indietro, riaprire i manicomi, progettare la creazione di nuove strutture contenitive e di custodia per i pazienti psichiatrici, sarebbe una vera follia. Un progetto irrealizzabile, costosissimo e probabilmente inutile». Giovanni Battista Cassano, psichiatra dell´Università di Pisa, celebre esponente della psichiatria medica, organicista convinto, interviene con passione scientifica nel dibattito su una possibile revisione della legge 180, riaperto dal drammatico delitto di Milano.
Professor Cassano, lei fu tra i grandi oppositori della legge 180 voluta da Franco Basaglia.
«Mi trovai a dissentire con una legge approvata drasticamente, che prevedeva la chiusura improvvisa dei manicomi. E, cosa che non era contenuta nel pensiero di Basaglia, con la negazione totale della psichiatria e della psicopatologia, delle sue basi biologiche e della terapia delle malattie mentali, che si sono recuperate solo negli anni Novanta» .
Oggi, però, anche lei è contrario all´ipotesi di riaprire i manicomi.
«Certo. È inutile parlare di "riforma" senza avere le idee chiare. Col rischio di creare qualcosa di peggio di quello che abbiamo già» .
Pensa alla proposta di legge di Maria Burani Procaccini di Forza Italia?
«La Burani non ripropone la riapertura dei manicomi. Il manicomio raccoglieva handicap di ogni tipo, anziani, alcolisti, poveri soli, abbandonati. Mentre qui si pensa a strutture elettivamente psichiatriche, private o convenzionate, nelle quali i pazienti possano essere trattenuti per lungo tempo con trattamento obbligatorio. Ma si tratta di una proposta irrealizzabile. Che richiederebbe un impegno economico notevolissimo. Con un grande numero di infermieri per paziente, grande controllo, grandissima responsabilità per chi tiene i malati e quindi forte limitazione della libertà» .
Lei invece a cosa pensa per migliorare la cura dei malati mentali? «Penso a piccole nuove strutture, con non più di sei o dieci posti letto, all´interno delle quali sviluppare la competenza per la cura di patologie particolari, piccoli centri di eccellenza, sperimentali, che acquisiscano esperienze che siano poi trasferibili nella pratica» .
Come cambia la malattia mentale?
«L´età media dei miei ricoverati è sotto i 40 anni. Una volta era 60 anni. Oggi ricoveriamo moltissimi pazienti tra i 16 e i 30 anni. Patologie complicate dall´uso della cocaina e dell´ecstasy» .
Il caso di Arturo Geoffroy si sarebbe verificato anche senza la 180?
«Probabilmente sì. Il suo non è un caso di schizofrenia, ma di delirio cronico lucido. Una patologia che è sempre esistita e che fa disastri anche dove esistono gli ospedali psichiatrici».


La Repubblica lunedì 18 agosto 2003, pag 23
Una ricerca promossa dall’Istituto superiore di sanità fotografa la rete dei presidi psichiatriciIn Italia le 'strutture residenziali' sono 1370 con 27mila posti: più degli standard di legge Ma pochi pazienti guariscono: poca riabilitazione, troppi psicofarmaci
Mille manicomi piccoli piccoli
Così il "matto" resta malato a vita
di Roberto Bianchin

MILANO - Dal posto dove sta, dove «mi trattano bene», dice, Gianfranco il matto non se ne vuole andare via. Perché non ha una casa, un lavoro, e la sua famiglia non lo vuole più. Sono tanti, migliaia quelli come lui. Quelli che abitano nelle "strutture residenziali psichiatriche non ospedaliere", chiamate "SR", nate in seguito alla chiusura dei vecchi manicomi decisa dalla legge Basaglia. Erano destinate ad accogliere i pazienti con gravi disturbi mentali, curarli e poi farli tornare nella società. Invece stanno diventando delle vere e proprie «case per la vita», quasi dei piccoli, nuovi manicomi, dai quali non esce più quasi nessuno. Nel momento in cui si discute, dopo il caso Geoffroy, se riaprire i manicomi o creare nuove strutture per i malati di mente, una ricerca promossa dall' Istituto superiore di sanità, chiamata "Progres" (Progetto Residenze), condotta dai medici Giovanni De Girolamo, Pierluigi Morosini e Angelo Picardi, e pubblicata sul «British Journal of Psichiatry», apre nuovi e inquietanti scenari sulla cura della pazzia. Anzitutto per i numeri. Perché è sorprendente scoprire che in Italia ci sono ben 1.370 "strutture residenziali", aperte soprattutto negli ultimi anni, dal '97 in poi (in testa la Lombardia con 180 "SR" per duemila posti, ultima la Val D' Aosta con una sola e 8 posti), per un totale di 17mila "posti residenziali psichiatrici" che fra cliniche e case di cura diventano 26.666, un terzo dei 78mila letti dei vecchi ospedali psichiatrici nel '78. Una cifra addirittura superiore agli standard fissati dal "Progetto Obiettivo": due posti ogni 10mila abitanti. Queste strutture, che in grande maggioranza (73%) sono aperte 24 ore su 24, ospitano 15.943 pazienti. Per lo più sono uomini di una certa età, fra i 50 e i 64 anni, che al massimo hanno fatto la terza media, che non si sono mai sposati, che hanno una pensione di invalidità, che in parte arrivano dai vecchi ospedali psichiatrici e che soffrono, in maggioranza (67%), di disturbi di tipo schizofrenico. Dall' analisi degli studiosi, che hanno esaminato nel dettaglio un campione del 20% di queste strutture, 267 residenze e 3.005 pazienti in venti regioni, emergono un dato rassicurante e due preoccupanti. Quello rassicurante è che, al di là delle polemiche, «il processo di superamento anche fisico delle vecchie istituzioni asilari è da considerarsi realizzato». Quelli preoccupanti sono invece l' insufficienza dei programmi riabilitativi che vi vengono attuati, anche a causa di un personale «sprovvisto di una formazione specifica per il trattamento di pazienti psichiatrici gravi» (18mila operatori, solo il 5% di psicologi e l' 8% di psichiatri e neanche un infermiere nel 20% delle strutture), e il bassissimo turn-over degli ospiti, che sempre di più diventano degli ospiti fissi. Malati a vita, come nei vecchi manicomi. Basta pensare che, in un anno, un terzo di queste strutture (il 31%, 343 residenze) non ha dimesso neanche un paziente. E un altro terzo ne ha dimessi solo uno o al massimo due. Le ragioni, per gli studiosi, sono di due tipi: la prima è legata alla loro storia di pazienti malati da tempo, con gravi problemi di funzionamento psicosociale, limitata collaborazione e basso livello di sostegno sociale, a cominciare dall' assenza o dalla indisponibilità delle famiglie. La seconda è dovuta alla limitata disponibilità di trattamenti psicosociali specifici e di progetti riabilitativi personalizzati. Di qui il rischio che alcune di queste strutture diventino dei «contenitori istituzionali», sia pure di ridotte dimensioni, con il ritorno a «pratiche assistenziali» senza sbocchi. Non aiutano, secondo i ricercatori, neanche i trattamenti forniti. Ancora troppi farmaci. Il 96% dei pazienti è in trattamento psicofarmacologico, con una media di 2,9 psicofarmaci per paziente. Inoltre il 91% degli ospiti è curato con farmaci antipsicotici, il 14% con antidepressivi, il 25% con stabilizzanti dell' umore. Pericolosa, secondo gli studiosi, la somministrazione quasi generalizzata (69% dei pazienti) di benzodiazepine. Sono molecole che hanno un elevato rischio di dipendenza nell' uso a lungo termine e che nel caso di pazienti con disturbi psicotici possono provocare delle reazioni pericolose. Di qui l' esigenza di una «attenta rivalutazione» anche dei metodi di cura. (3.fine)

Posti residenziali per regione:
Piemonte 1.595
Valle d’Aosta 8
Lombardia 2.076
Bolzano 198
Trento 158
Veneto 1.244
Friuli V.G. 377
Liguria 780
Emilia Romagna 1.248
Toscana 761
Umbria 382
Marche 322
Lazio 1.261
Abruzzo 883
Molise 203
Campania 897
Puglia 1.215
Basilicata 286
Calabria 704
Sicilia 2.125
Sardegna 415

l’identikit degli ospiti:

maschi 87%
femmine 6%

fino a 30 anni 8,8%
30/39 anni 19,4%
40/49 anni 21,8%
50/64 anni 34%
oltre 65 anni 15,9%

mai coniugato 82,1%
coniugato 3,5%
convivente con un partner 0,8%
divorziato/separato 10,6%
vedovo 2,9%

analfabeta 12,0%
elementare 34,0%
media inferiore 34,1%
media superiore 14,0%
università 1,3%
altro 4,7%

disturbi schizofrenici 67,4%
ritardo mentale 9,8%
disturbi mentali organici 3,1%
disturbo bipolare 4,2%
depressione bipolare 2,7%
disturbi di personalità 9,0%
altri disturbi 3,7%

nella stessa pagina:
Società italiana di psichiatria
Vanno evitate speculazioni
La polemica

ROMA - «L' omicidio del dottor Bignamini da parte del suo paziente Geoffroy, è una vicenda tragica che poco ha a che fare con i limiti organizzativi delle strutture psichiatriche, che pur ci sono». La Società italiana di psichiatria respinge le accuse mosse da quanti «non vogliono comprendere - si legge nel comunicato - la complessità della professione dello psichiatra e dell' intera vicenda». Nel trattare il caso Geoffroy, la Sip auspica il ricorso a «un elevato senso etico affinchè vengano evitate forme speculative strumentali». E conclude: «Scaricare le colpe su qualcuno è uno sport praticato in Italia».