lunedì 22 settembre 2003

l'opinione del Corsera sulla trasmissione de La7 con Marco Bellocchio e quella di Scola su Venezia

Corriere della Sera 22.9.03

Quando il ’68 è prigioniero di se stesso


A un talk show televisivo non si può chiedere un discorso che fili liscio come l’olio (chiaro, coerente e ben costruito) ma da un buon talk show si possono ricavare tanti spunti per successivi discorsi. Era molto interessante il tema proposto da Gad Lerner per la ripresa del suo «Infedele» (La 7, sabato, ore 20.50).
Anzi, a essere sinceri, il titolo dell’incontro era uno di quelli da cui fuggire a gambe levate («La generazione del ’68 era davvero la meglio gioventù?») ma il nome degli invitati ha avuto il sopravvento: Anselma Dell’Olio, Marco Bellocchio, Ernesto Galli della Loggia, Enrico Fenzi, Luigi Manconi, Michele Brambilla e altri ancora. Si è parlato, ovviamente, della rivolta giovanile, degli anni di piombo, del rapimento Moro, di Adriano Sofri. Dalla lunga discussione ho messo assieme tre idee che mi paiono non indegne di verifica. La prima: il ’68 segna, simbolicamente, il passaggio da una generazione figlia della terra e della fabbrica a una figlia della tv (per questo è rottura culturale, una fase del processo di modernizzazione dell’Italia). La seconda: il ’68 ha creato un’epopea giornalistica ma non letteraria (o cinematografica) perché si è subito trasformato in qualcosa di sinistra, dominato dall’astratto, dall’ideologia, dai partiti, dalla tetra volontà di cambiare il mondo, anche con la violenza. La terza: come ha spiegato bene Galli della Loggia, nella nostra società il ’68 ha conquistato un forte potere simbolico, che è il potere delle idee, della comunicazione, delle mode, della produzione di narrazioni mitiche (il mito del ’68, ad esempio). Lo ha fatto soprattutto nel giornalismo, meno in altri campi del sapere. Per questo molte discussioni sul ’68 danno sempre l’impressione di essere prigioniere del ’68.
www.corriere.it/grasso

Ettore Scola:
A proposito di polemiche, cosa ne dice di Bellocchio mancato Leone a Venezia?
«Da ex presidente di giuria a Cannes e Venezia, dico che i festival in genere premiano i nomi nuovi, quasi per statuto debbono scoprire i giovani. Così accade che autori affermati, come Bellocchio, Bertolucci o anch'io, non veniamo premiati mai con Leoni o Palme. Ma si sa».