martedì 16 settembre 2003

a proposito di Marco Bellocchio, Corrado Augias

La Repubblica 16.9.03 LETTERE
"Buongiorno, notte", gli assassini e la fermezza
CORRADO AUGIAS


Caro Augias, ho visto "Buongiorno, notte", che ritengo un film mediocre. Anche il fatto che il film sia premiato al botteghino non è conferma di valore ma solo di curiosità per l'argomento e rendita data dalla validità del precedente film di Bellocchio "L'ora di religione". L'afflusso di pubblico è dato a mio parere dall'argomento perché il fatto è rimasto nell'animo della gente per l'importanza che ha avuto nella nostra storia di italiani e si spera di avere qualche indicazione in più.
Sandro Sala
strike.sala@tiscalinet.it

Non voglio discutere se il film sia o no riuscito. Preme un cenno su altri aspetti. Il lato umano in primo luogo e cioè l'omicidio di un uomo. Che anche gli assassini coltivino sogni di purezza o di eroismo è noto, ma sono affari loro, questo non li riscatta dalla loro condizione di assassini. Nella vita reale contano, e pesano, le azioni, non la loro psicologia. Gli assassinii dei terroristi non sono meno ignobili di quelli di un qualsiasi altro criminale. Poi c'è l'aspetto politico.

Nella sua bella risposta ieri su Repubblica , Bellocchio ha ricordato che alle Br non interessava il denaro, «volevano un riconoscimento politico». Ho partecipato dall'interno di questo giornale all'odissea di quegli interminabili giorni e ho conosciuto l'angoscia che accompagnava l'uscita dei loro comunicati e il buio assoluto delle indagini. Sapevamo che qualcuno voleva Moro morto per un subdolo calcolo, temendo perfino ciò che avrebbe potuto dire, se fosse tornato libero. Ma sapevamo anche che tra coloro che chiedevano a ogni costo una trattativa, c'era chi intendeva dare con questo un colpo alla credibilità dello Stato e dei due partiti della "fermezza": la Dc e il Pci.

Oggi non si può immaginare, nemmeno dopo gli omicidi di Biagi e D'Antona, quale fosse l'atmosfera d'impotenza che lo stillicidio degli attentati aveva diffuso nel Paese. In quelle circostanze, con uno Stato che s'era dimostrato fragile, impreparato, inquinato da veleni sotterranei, dare alle Br un "riconoscimento politico" significava aprire scenari spaventosi. Tenere chiusi i brigatisti nel loro inferno, rifiutare di discutere con loro per non trasformarli in un "partito", non sottostare a ricatti che sarebbero diventati un'infinita catena, sembrò a molti in buona fede il mezzo e il prezzo per salvare la Repubblica.