venerdì 26 settembre 2003

Talvolta ritornano (e il manifesto sempre s'adegua...)

il manifesto 26.9.03

Tra psiche e linguaggio
Domani la giornata di seminari multipli della Società di psicoanalisi
Il premio Musatti. Domani, nell'ambito dei seminari organizzati dalla Spi, il riconoscimento verrà assegnato a Aldo Gargani
di LISA MASIER


Quest'anno il convegno a seminari multipli della società psicoanalitica italiana - che si svolge domani a Bologna - ospita tra i suoi incontri di studio un dibattito con alcuni studiosi di altre discipline, sul tema: «A partire dal linguaggio: coscienza, sessualità, inconscio». A discuterne con gli psicoanalisti saranno Felice Cimatti, filosofo del linguaggio e della mente, che ha scritto più volumi sul rapporto tra pensiero animale e menti linguistiche; Vittorio Gallese, neuroscienziato, che ha partecipato alla scoperta dei cosiddetti «neuroni specchio», studioso della «simulazione incarnata» e dell'azione come modellizzazione dell'interazione con gli altri e come base dei processi di astrazione e concettualizzazione indipendenti dal linguaggio; Claudio La Rocca, filosofo della conoscenza e studioso tra l'altro dello schematismo kantiano, cioè del processo di scambio tra immagini e linguaggio, tra il codice iconico dell'immaginazione e quello linguistico-concettuale dell'intelletto. Tra gli psicoanalisti, come promotori della giornata di studio, Francesco Napolitano, autore del volume Lo specchio delle parole sul linguaggio come medium materiale dell'autotrasparenza dell'anima e della sua misteriosa capacità di riflessione, e Alberto Luchetti, tra l'altro studioso di Jean Laplanche e di Piera Aulagnier, due degli psicoanalisti che più hanno contribuito in modo originale a ripristinare la centralità della questione del linguaggio nella psicoanalisi. Non è forse vero che «fra paziente e analista non accade nulla, se non che parlano fra loro», come disse Freud descrivendo la psicoanalisi ad un immaginario interlocutore imparziale? Già agli albori della sua ricerca, del resto, Freud aveva scritto: «Il profano troverà certo difficile comprendere come disturbi patologici del corpo e della psiche possano venir eliminati attraverso le `sole' parole del medico. Egli penserà che si pretende da lui la fede nella magia. Non ha tutti i torti; le parole dei nostri discorsi quotidiani non sono altro che magia sbiadita» e la scienza non fa altro che «restituire alla parola almeno una parte della sua primitiva forza magica».
D'altra parte, la psicoanalisi non solo ha come medium la parola, ma ha via via mostrato l'importanza del linguaggio fin negli oscuri recessi dell'elaborazione del sogno e più in generale dell'inconscio, nonché il suo rilievo nella psicopatologia della vita quotidiana e nella produzione di sintomi anche corporei. Non è stata anche per questo talvolta accusata di privilegiare il linguaggio a scapito del corpo «restringendo» (le virgolette sono d'obbligo) il suo campo d'azione al dire tutto quel che viene in mente, e a non fare altro che dire?
Eppure, esattamente cinquant'anni fa (il 26-27 settembre 1953), Jacques Lacan pronunciava a Roma il suo famoso rapport su Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, nel quale auspicava di rinnovare i fondamenti della psicoanalisi nel linguaggio, proprio perché reputava che si stessero incrinando e con essi si smarrisse il senso dell'esperienza psicoanalitica; mentre al contrario riteneva che i concetti psicoanalitici assumessero pieno senso solo «orientandosi in un campo di linguaggio, ordinandosi secondo la funzione della parola». A tale scopo, affermava con forza che «la legge dell'uomo è la legge del linguaggio», che l'uomo vive nel linguaggio, che «i simboli avvolgono la vita dell'uomo con una rete così totale da congiungere prima ancora della sua nascita coloro che lo genereranno 'in carne ed ossa'». Oggi, cinquant'anni dopo, sembra che la psicoanalisi scavalchi il linguaggio (come peraltro la sessualità e l'inconscio stesso) a favore di una maggiore attribuzione di importanza verso ciò che lo precede, lo trascende, e che anzi sembrerebbe costituirne il fondamento - azione, emozione, affetto, percezione, interazione - e su cui si ritiene implicitamente che esso interverrebbe solo secondariamente a riorganizzarlo e ristrutturarlo ad un diverso livello di complessità. D'altro canto, il rinnovamento degli studi nelle neuroscienze, nella filosofia del linguaggio e della mente, ma anche nell'evoluzionismo, in linguistica, in antropologia, rilanciano la questione dei rapporti tra l'azione (inestricabile da percezione, cognizione, immaginazione) e il linguaggio.
Questo permette e al tempo stesso impone di reinterrogare la fondamentalità del linguaggio, nella teoria e nella prassi psicoanalitiche ma più in generale in ogni scienza dell'uomo. Se il linguaggio è l'ambiente in cui evolve la specie umana, se la facoltà del linguaggio è la natura umana e un suo effetto è l'autocoscienza, lo specifico contributo della psicoanalisi non sta forse nell'indicare che una essenziale ricaduta dell'avvento del linguaggio nella specie umana e una sua peculiare incarnazione è la sessualità «allargata»? Quella sessualità «infantile» che non coincide con la sessualità adulta e genitale, e che abita permanentemente e conflittualmente non solo queste ultime, ma ogni relazione dell'essere umano, anche quella col proprio corpo e il proprio Io? Questa particolare sessualità, che costituisce la scoperta storica di Freud per il quale essa era alla base dell'inconscio e della costruzione e del mantenimento dell'organizzazione psichica, può essere forse il varco per pensare a un naturalismo non riduttivo in cui abbia uno spazio specifico il freudiano «apparato dell'anima»: per nulla obsoleto, esso può ancora contribuire alla comprensione e alla trasformazione dell'essere umano.