venerdì 12 settembre 2003

Vincenzo Cerami a Bobbio

Libertà 12.9.03
FARE CINEMA
Parla lo scrittore e sceneggiatore Vincenzo Cerami, ospite dei corsi diretti da Bellocchio
Carpisco l'anima delle immagini
Dal libro al cinema: ciò che conta è la figura del narratore


Sono iniziate ieri a Bobbio, nei chiostri di San Francesco, le riprese per il cortometraggio attorno a cui si impernia l'edizione 2003 di Fare Cinema, il laboratorio diretto da Marco Bellocchio. Dall'ipotesi di lavoro assegnata dal grande regista piacentino - elaborare per immagini La cavallina storna di Giovanni Pascoli - il gruppo degli allievi, coordinato da Daniela Ceselli, ha ricavato una sceneggiatura: il disperato delirio della vedova di un assassinato, che interroga la cavalla “testimone” del delitto per strapparle il nome dell'omicida, visto dagli occhi del figlio-poeta, ancora bambino. Sono arrivati tecnici-docenti di primo piano come Remo Ugolinelli, Corrado Volpicelli, William Santero, Matteo Fago. E' arrivata da Roma la protagonista: la giovane Simona Nobili, un volto importante del teatro di ricerca capitolino che in Buongiorno, notte (l'ultimo, bellissimo film di Bellocchio) ha il ruolo della vicina di casa della vivandiera delle Brigate Rosse. Ed è arrivato un ospite-docente d'eccezione: lo scrittore Vincenzo Cerami, autore di molte delle più belle sceneggiature del cinema italiano degli ultimi 30 anni, che ieri sera al cinema bobbiese Le Grazie è stato protagonista della prima delle Lezioni d'autore della rassegna Incontri con gli autori presentando la proiezione di Salto nel vuoto, film di Bellocchio del 1980 («La mia sceneggiatura preferita - dice Cerami - con quelle di Porte aperte di Gianni Amelio e di La vita è bella di Roberto Benigni»), dopo aver tenuto un'importante lezione sulla sceneggiatura agli allievi di Fare Cinema. Memore della formula affidata da Hitchcock al celebre libro-intervista di François Truffaut «gli ingredienti per la riuscita di un film sono tre: una buona sceneggiatura, una buona sceneggiatura e una buona sceneggiatura». Qual è la cosa più importante per una sceneggiatura? «Occorre ricordare che il racconto deve creare immagini: lo sceneggiatore deve cercare di andare non verso la superficie dell'immagine, ma verso la sua anima, il suo senso profondo». Lei ha iniziato con Pasolini: un buon allenamento in questo senso. «Sì. Feci l'aiuto regista nella cosiddetta Trilogia di Totò e lavorai, senza, firmarla, alla sceneggiatura di Teorema. Ho sempre lavorato a quattro mani coi registi, in un rapporto simbiotico che ha toccato le sue punte con Amelio e Benigni: l'idea di La vita è bella è venuta, letteralmente, a tutt'e due insieme». Mi ha affascinato, nel vostro «Pinocchio» la sua lettura nera, cupa, del libro di Collodi. Perché, secondo lei, il film non ha avuto il successo che ci si attendeva? «Il film è stato danneggiato in Italia da polemiche politiche e dal fatto che Roberto faceva un personaggio “vero” invece di “fare Benigni”. In Usa, dai tagli e dal doppiaggio». Un suo libro, «Consigli a un giovane scrittore», ha avuto una fortuna enorme in libreria ed è stato persino adottato come testo di studio in varie università. A cosa attribuisce questo successo? «Al fatto che affronta ogni tipo di medium letterario: pagina scritta, teatro, cinema, radiofonia. Ricordo a tutti che, al fondo di ciascuna di queste quattro forme, c'è una figura che le unifica: quella del narratore. Dico “narratore” e non “scrittore”, memore della distinzione di Walter Benjamin: narratore è chi compie l'atto primordiale di raccontare una storia. Io dico: “Narro, ergo sum”. E il mio “comandamento” fondamentale è quello di essere artisti prima che scrittori: occorre imparare le regole della “macchina” narrativa, ma prima ancora occorre imparare a guardare le cose da un punto di vista nuovo, vedendo ciò che altri non vedono». Ha mai avuto paura che il suo sguardo potesse essere frainteso? Dal suo primo romanzo, «Un borghese piccolo piccolo» fu tratto un film di cui molti, identificandosi emotivamente col padre-giustiziere interpretato da Alberto Sordi, non compresero il lato grottesco. «Il fatto è che il regista Mario Monicelli voleva realizzare una pellicola ferocemente satirica, mentre Sordi, con tipica reazione da grande attore, fece l'impossibile per “salvare” il suo personaggio, per renderlo credibile fino all'ultimo. Questa tensione è alla base della bellezza di un film che fu la campana a morto della commedia all'italiana: mostrò l'inferno che avevano dentro tutti questi volgari ometti senza qualità che il cinema era abituato a mostrarci come “simpatici”». Sua figlia Aisha è un'attrice già affermata. L'ha incoraggiata a intraprendere questa carriera? «Al contrario: ho fatto il possibile per dissuaderla. E ora che la vedo così brava mi dispiace di averlo fatto, perché avrebbe potuto cominciare prima. Sono orgoglioso che sia stata scelta dal regista Eimuntas Nekrosius per il suo recente Ivanov, perché considero Nekrosius il più grande artista teatrale vivente». A proposito: continua la sua carriera di autore teatrale? «Sì: sta per debuttare il mio Il comico e la spalla con una grande coppia di attori siciliani, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina». Oliviero Marchesi