mercoledì 19 novembre 2003

donne e uomini malati di mente
nell'Ottocento siciliano

La Repubblica edizione di Palermo 19.11.03
IL PRIMO PAZZO DELL'ISOLA
di AMELIA CRISANTINO


Era il 10 agosto del 1824 e il barone Pietro Pisani, appassionato musicofilo e archeologo per diletto, veniva nominato deputato alla Real casa dei matti di Palermo. Pisani era un originale, uno di quegli uomini che s'appassionano a quanto per gli altri è noioso dovere. Cosa fosse capace di fare s'era visto con l'archeologia, quando seguendo gli scavi che gli inglesi Harris e Angell facevano a Selinunte aveva bloccato l'emigrazione delle metope rinvenute.
Diventato deputato della Real casa dei matti il barone Pisani visitò l'antico lebbrosario dove emarginati d'ogni genere vivevano incatenati al muro e fra di loro, coperti di stracci e affamati. Ne restò sconvolto. Per prima cosa eliminò le catene e rifocillò i malati. Poi, reputando che la provvidenza gli avesse affidato il compito di «restituire la ragione ai poveri matterelli», organizzò i suoi domini come un'utopia realizzata dove i malati contribuivano col loro lavoro - soprattutto quello agricolo - a creare una società organizzata come un meccanismo di orologeria.
Il regolamento della Real casa dei matti possiamo leggerlo nell'antologia di testi inediti o rari pubblicata da Sciascia sotto il titolo "Delle cose di Sicilia" e davvero ci sentiamo di concordare con quanto scriveva Michele Palmeri nei suoi Souvenirs: «Nel Paese più arretrato d´Europa c'è il manicomio più avanzato d'Europa».
Nella Real casa dei matti di Palermo il barone Pisani mise in scena una rassicurante divisione dei compiti dove, a forza di rispettare i malati come forse mai lo erano stati da sani, si sperava di convincere la ragione a diventare un'ospite abituale. Del resto la normalità appariva quanto mai labile e spesso arbitraria a chi aveva abbracciato il compito di governare i matti con la speranza di far nascere la ragione.
Spesso il barone firmava le sue lettere «il primo pazzo della Sicilia» e di un paziente, che aveva ucciso uno dei custodi che voleva bastonarlo, aveva fatto dipingere un ritratto celebrativo. Ad ammonimento di quanti fra il personale potessero avere la tentazione di seguire l'esempio dell'impulsivo collega.
La Real casa dei matti ordinata dal barone Pisani era una comunità attiva, molto più armoniosa del mondo esterno. Al pari di altri filantropi che agli albori del XIX secolo organizzarono e separarono le "case dei matti", anche Pisani era convinto che la follia fosse causata dalla perturbazione dell'animo e dell'immaginazione, che si potesse guarire allontanando il paziente dal suo ambiente e inserendolo in un sistema ordinato e sereno. Era un dilettante, guidato solo dal suo appassionato buon senso.
Poi la follia viene inventata come nuova frontiera della medicina. Sulla genesi e la nascita della follia come malattia moderna, che per contrasto delimita i confini della normalità, abbiamo gli insuperati scavi di archeologia sociale di Foucault. Ma in Italia restano ampi continenti ancora inesplorati e il nuovo numero della "Genesis", la rivista della Società italiana delle storiche (n. 1, 2003), curato da Giovanna Fiume e intitolato "Manie" è in questi continenti che prova a inoltrarsi.
"Genesis" riunisce studiose che lavorano a ricerche di storia delle donne e storia di genere. Nei saggi qui raccolti spaziamo dall'indagine di Valeria Andò sulla follia femminile nella Grecia classica, sintomo transitorio che non implica la segregazione sociale, alle indagini di Augusta Molinari e di Anna Colella sull'internamento femminile nel corso dell'Ottocento e del Novecento quando il disagio delle donne diventa spia delle difficoltà di adattamento della famiglia italiana, con la creazione dello spazio domestico come luogo dove il lavoro di cura viene isolato e privato del supporto delle reti di solidarietà, mentre l'interesse verso l'infanzia si spinge sino a valorizzare i "non nati". La sfera domestica diventa allora una delle principali fonti del malessere femminile, alla sua esaltazione corrisponde l'esclusione delle donne dalla sfera pubblica.
Ai tempi del barone Pisani nella Real casa dei matti di Palermo veniva messo in scena il teatro della ragione borghese, dove l'unica divisione era fra i matti poveri e le «persone comode» a cui era però proibito mantenere domestici. Su "Genesis" Bell Pesce dedica il suo studio a storie cliniche e percorsi di ammissione al manicomio di Palermo dal 1890 al 1902 e scopriamo come i tempi dell'utopia razionalista del barone Pisani siano definitivamente tramontati.
Fra i ricoverati prevalgono le donne, le più fragili nella gerarchia sociale. Appartengono alle fasce sociali deboli, dall'analisi delle loro cartelle cliniche vengono fuori molti dati "oggettivi" in ossequio ai canoni della medicina positivista. L'osservazione delle donne appena ammesse in manicomio cominciava con la misurazione cranica. Poi, in assenza di evidenti caratteri degenerativi, lo sguardo medico si soffermava sui caratteri sessuali e sulle funzioni riproduttive e sotto la voce "malattie di altri organi" sono riportati i casi di denutrizione e malformazione, ma anche le gravidanze.
Nel primo decennio del Novecento psichiatri e ginecologi discutono animatamente della definizione giuridica della donna. Finiscono spesso per concordare che l'essere umano di genere femminile è periodicamente incapace di intendere e volere a causa del suo ciclo mestruale. Stadio intermedio tra il fanciullo e l'uomo, la donna è fondamentalmente immorale ma le difetta la coscienza. Non merita nemmeno d'essere dichiarata colpevole.