martedì 25 novembre 2003

Maia Sansa intervistata su Repubblica da Paolo D'Agostini

La Repubblica 25.11.03
L'attrice è protagonista dei due film italiani di maggior successo degli ultimi mesi: "La meglio gioventù" e "Buongiorno, notte"
"Porto sul set le donne forti"
di PAOLO D'AGOSTINI


Maya Sansa, 28 anni, mamma italiana e papà iraniano: figlio di un ambasciatore dello scià, venuto a Roma da studente. Lei ha conosciuto Teheran solo l'estate scorsa. Frequentava una scuola di recitazione a Londra quando nel '99 l'hanno chiamata per "La balia".

Sabato 29 nasce il "Premio Marcello Mastroianni ai nuovi interpreti del cinema italiano" a Fontana Liri dove l'attore è nato. Una cinquina femminile e una maschile. Quattro candidati su dieci vengono dai set di "Buongiorno, notte" o di "La meglio gioventù": Maya e Sonia Bergamasco, Paolo Briguglia e Fabrizio Gifuni.


ROMA - Occasione dell'incontro il festival Sulmonacinema (dedicato alla memoria del critico di Repubblica Alberto Farassino) dove Maya Sansa era alla testa di una giuria di studenti che ha premiato "Guerra" di Pippo Delbono, Piva e Rubini per "Mio cognato", Valentina Cervi per "Passato prossimo" di Maria Sole Tognazzi. Maya è la giovane attrice italiana emergente del momento. Due ruoli quest'anno l'hanno imposta al centro dell´attenzione. Mirella in "La meglio gioventù" di Giordana, e Chiara la brigatista che in "Buongiorno, notte" di Bellocchio allude alla "vivandiera" Anna Laura Braghetti della prigionia di Aldo Moro. Parliamone, partendo da dove vuole lei. «Ne parlo volentieri», dice senza esitazioni. Indizio della consapevolezza che una giovane attrice, oggi, mette in ciò che fa.

«Due lavorazioni molto diverse. "La meglio gioventù" è durato sei mesi. Un lavoro corale, mi rendevo conto di essere in un progetto molto ampio ma anche molto gioioso e rilassante. Nessuna tensione, il set era un appuntamento piacevole. Una bella atmosfera, penso che mi abbia aiutata ad affrontare il personaggio: Mirella è una donna serena. Nella sceneggiatura era un po' vittima della vita e della sua solitudine isolana, poi invece insieme agli autori e con il loro benestare è diventato un personaggio libero».

Lo ha voluto lei così?
«Sì, ma anche Marco Tullio nello scegliere me. Quando rimane delusa da Matteo che la tratta male e l'allontana, inizialmente era previsto che piangesse e gli dicesse "ti amo". Ma in quel contesto di durezza non doveva piangere, non doveva reagire dicendo "perché mi fai questo". Sarebbe stata una vittima, e sarebbe stata patetica. No, invece si mantiene distaccata e dignitosa di fronte a una chiusura così violenta. E penso che la scena sia venuta molto bella così. Anche la scena finale, nata sul set, è riuscitissima: la passeggiata di Mirella con Nicola mentre Matteo (che è morto) compare tra loro come un angelo custode sorridente. Una scelta coraggiosa, venuta in modo così genuino, grazie alla sintonia tra il regista e noi interpreti».

Giordana è un regista che sta a sentire gli attori?
«Sì, anche se questa è una peculiarità più di Marco Bellocchio. Quello che Giordana cerca e vuole lo ottiene grazie al lavoro collettivo ma è anche duro».

Non era facile dominare una struttura così complicata.
«Certo. Anche Bellocchio sa quello che vuole, ne ha una visione chiarissima e profonda, ma sul set è morbido, è aperto a tutti i contributi. Ci mette molto a scegliere gli attori ma una volta scelti la fiducia è assoluta. In questo caso ti permetteva, all'interno di una prigione, di essere molto libero e creativo. Di dire quello che sentivi senza timore di disturbare, sempre benvenuto all'insegna della gentilezza. Naturale che con la stessa galanteria Marco risponde di no alla tua proposta».

Molto bello di Mirella, in "La meglio gioventù", è che pur essendo un personaggio minore nell'economia generale dell'affresco, condiziona lo spirito del film, è determinante.
«E all'inizio non credevo che sarebbe stato così. Marco Tullio è stato molto generoso, mi ha offerto il ruolo, una cosa che mai prima mi era successo senza fare provini. Ma inizialmente non mi ispirava tanto, ed è vero che una cosa piccola è diventata preziosa. Ma anch'io me ne sono accorta dopo, a cose fatte».

Torniamo a Bellocchio. Nessun timore iniziale verso la storia e il personaggio?
«Cercavo di essere rispettosa di qualcosa che era realmente accaduto. Sentendomi anche un po' smarrita. Per Chiara a differenza di Mirella ho affrontato diversi provini prima di ottenere la parte. Mi sono preparata molto, ho studiato e letto, avevo tantissime lacune da colmare. Questo ha accresciuto i timori: dov'è la verità? Che cos'è che vuole raccontare Marco?».

Mica facile mettersi sulla lunghezza d'onda della verità cercata da Bellocchio.
«Ma poi ho potuto capire, leggendo il copione e parlando con lui, che era un'opera di Bellocchio. Trattava un argomento delicato e drammatico, ma già nella scrittura erano chiare le libertà che Marco voleva prendersi così come le responsabilità che si stava prendendo. Gli ex brigatisti che lo hanno giudicato hanno confermato le verità e hanno capito le libertà dell'artista. La mia Chiara è universale, non è solo Braghetti ma anche altri terroristi, è Bellocchio, è Maya, è una donna, una madre, una figlia».

Sa che il film ha sollevato contestazioni. Avrebbe regalato una nobiltà eccessiva al suo personaggio.
«Le ho sentite queste cose. Capisco, liberi tutti di dire quello che vogliono. Non basta però servirsi dell'argomento "io c'ero". Tanti c'erano. C'è chi a tutti i costi si è voluto rapportare al film in modo storico e politico quando il film non lo è. E mi è dispiaciuta la poca capacità di vedere la sua universalità e il suo andare oltre».

Forse è poco interessante che ci si siano riconosciuti alcuni brigatisti. Più importante è il suo contribuire ad aprire una nuova pagina nell'interpretazione del nostro recente passato.
«Anche la contestazione sulla santificazione di Moro è quantomeno ingenua, di persone che non vogliono rendersi conto che Marco tratta solo la prigionia e che in quel periodo i brigatisti stessi non lo vedevano più come Moro uomo politico. Questa è la chiave. Si parla solo di un uomo in una situazione così estrema e drammatica. Dicono sia Braghetti che Faranda che leggere le sue lettere le straziava, erano pochi quelli tra loro che riuscivano ad astrarsi e reprimere ogni emozione».

Le condizioni di lavoro: claustrofobiche, opprimenti?
«Io ci tenevo molto e la gioia di essere presa è stata immensa. Mi avvolgeva costantemente. E mi proteggeva dalla tensione e dalla claustrofobia. Ma tutti erano felici di stare su quel set. Tutti hanno dato un'attenzione e una concentrazione speciali. Poteva scatenarsi un bel po' di malessere, era una situazione tecnicamente difficilissima. Un set baciato dall´ispirazione».

Le piace quello che rappresenta sullo schermo, l'idea di luminosità e serenità che dà?
«Certo che mi piace. E sono grata ai registi che hanno adattato a me i loro personaggi magari concepiti per un'attrice alta, bionda e androgina. Ma la verità è che così sono ne "La balia" e "La meglio gioventù" mentre altrove, da "Nella terra di nessuno" di Gianfranco Giagni a "Benzina" di Monica Stambrini fino a "Buongiorno, notte" e "Il vestito da sposa" di Fiorella Infascelli ancora non uscito, sono piuttosto cupa. Eppure prevale quell'idea di me…».