L'Unità 22.12.2003
Distinguere il bene dal male? La regola non è scritta in natura
di Pietro Greco
Nel libro «Naturalmente buoni» che ha licenziato qualche anno fa per la Garzanti, l'etologo Frans de Waal parla di un grosso serpente, IM, cui un infortunio genetico ha fatto crescere due teste. La mostruosità sta nel fatto che la testa di sinistra, Istinto, e la testa di destra, Mente, lottano strenuamente tra loro per procurare il cibo al medesimo corpo. Il mondo della natura, sosteneva alla fine del '700 Immanuel Kant, non ha alcuna connessione diretta col mondo della morale. E IM sembra appunto il monumento, mostruoso, che la natura ha voluto erigere alla sua stupida amoralità.
Al contrario, l'umanità sembra l'unica specie che sa essere umanitaria. La moralità, sosteneva alla fine dell'800 il biologo Thomas Henry Huxley, è la spada forgiata da Homo sapiens per uccidere il drago del suo passato animale.
Ma hanno davvero ragione Kant e Huxley? La moralità appartiene solo all'uomo ed è sconosciuta al resto della natura? Nel 1997 Frans de Waal ha speso alcune centinaia di pagine per dimostrare che la moralità, il senso del bene e del male, non appartiene solo all'uomo, ma è piuttosto diffuso in molte specie animali. Ma, se esiste una moralità in natura oltre l'uomo, allora esiste una morale naturale che può legittimamente aspirare a farsi riconoscere come morale universale?
Chi vuole trovare una risposta argomentata a queste domande può leggere «Il limite e il ribelle», il libro di Giovanni Boniolo, filosofo della scienza all'università di Padova. Il darwiniano Boniolo mostra come, per molti versi, hanno ragione sia quelli che, come Kant e Huxley, parlano di una specifica moralità dell'uomo, sia quelli che, come Frans de Waal, sostengono che la moralità non è disgiunta dalla biologia. Ma Giovanni Boniolo è tutt'altro che un cerchiobottista. Anzi, individua immediatamente chi ha del tutto torto. Ha del tutto torto, secondo Boniolo, chi asserisce l'esistenza di leggi morali naturali e assolute. In natura non c'è scritto ciò che è bene e ciò che è male.
Come possiamo, dunque, risolvere questo apparente rompicapo? Semplice. Basta seguire la logica di Giovanni Boniolo. Il quale inizia col distinguere tra capacità morale e sistema morale. La prima, la capacità morale, consiste nella capacità di formulare e applicare un qualsivoglia giudizio morale. Se volete, la capacità di distinguere tra un bene e un male. Questa capacità ha una chiara origine biologica. È il frutto dell'evoluzione per selezione naturale. La capacità di formulare giudizi morali è emersa, a un certo punto dell'evoluzione biologica, come un nuovo carattere adattivo, capace di conferire un vantaggio nella lotta per la sopravvivenza. Se mi comporto bene e divido regolarmente il cibo che ho raccolto con tutto il mio gruppo, le possibilità di sopravvivenza di tutti - me compreso - aumentano.
Il sistema morale, spiega Boniolo, è invece l'insieme dei giudizi morali specifici che vengono formulati nell'ambito di una società umana (ma, direbbe de Waal, anche non umana). I sistemi morali (il plurale è di rigore) non hanno un'origine biologica. Ma, come sostenevano Kant e Huxley, sono una costruzione dell'uomo. Frutto della sua evoluzione culturale. Frutto della sua storia. In alcune situazioni è giudicato un bene la divisione equanime del cibo con tutti gli altri componenti del gruppo, in altre situazioni è giudicata meno bene e in altre ancora è giudicata un male. Tutti gli uomini hanno la capacità di formulare giudizi morali. Ma i giudizi morali formulati differiscono da uomo a uomo, da gruppo sociale a gruppo sociale. Persino da religione a religione.
Perché una così grande variabilità? Perché gli uomini, come sostiene il darwiniano Boniolo, formulano i loro giudizi morali non attingendo a una fonte naturale che non esiste, ma sulla base di processi cognitivi espliciti e socialmente negoziati. I giudizi morali e i sistemi morali (gli insiemi di giudizi morali tipici di un gruppo, di un popolo, di una cultura) evolvono nel tempo. Ma non si tratta di un'evoluzione adattiva (evoluzione darwiniana), bensì di un'evoluzione culturale.
Se, dunque, non esiste una morale naturale, se non esiste una morale assoluta, allora crollano i fondamenti etici della nostra società? Niente affatto, sostiene Boniolo. Perché proprio l'assenza di una fonte universale di norme morali aumenta la nostra responsabilità individuale. E proprio l'esistenza di diversi insiemi morali, tutti legittimi, rende la tolleranza di tutti nei confronti di tutti se non un principio morale assoluto, quanto meno una pratica razionale e necessaria.
Giovanni Boniolo, Il limite e il ribelle, Raffaello Cortina, pagg 218, euro 19,80
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