sabato 27 dicembre 2003

Voltaire: il Dizionario filosofico

Il Corriere della Sera 27.12.03
LE GRANDI INIZIATIVE La «Biblioteca del Sapere» dal 30 dicembre. Ecco chi capì per primo il valore di un’enciclopedia
La Rivoluzione? Un libro maneggevole
Con il Dizionario filosofico, Voltaire insegna: solo un’opera pratica può cambiare le idee e la società


Chi avesse la pazienza di sfogliare uno dei 52 volumi della corrispondenza di Voltaire, pubblicati a Oxford dalla fondazione intitolata al filosofo, troverà un’intuizione capace di ripagarlo della fatica fatta per raggiungere la pagina in questione (è quella indicata 13235): mai venti volumi in-folio hanno scatenato delle rivoluzioni, sono i piccoli dizionari portatili che le accendono. Perché, come osserva ancora Voltaire circa tremila pagine prima, «queste opere pratiche mettono in mano, al momento, la cosa di cui avete bisogno». Il ragionamento non fa una grinza. Le enciclopedie possono cambiare le idee, le società, gli uomini, ma devono essere maneggevoli. Altrimenti i loro formati ingombranti le rendono sterili, oltre che pesanti e polverose. Voltaire fu il pensatore che più di ogni altro seppe sfruttare questa regola pubblicando il Dizionario filosofico, un’opera che seppe lasciare traccia profonda nelle idee d’Europa. O meglio, le purgò rendendole appunto più maneggevoli. Mario Bonfantini, che curava per Einaudi la traduzione italiana di questo libro nel 1950 (è ancora tra le più valide nella nostra lingua), in un tempo in cui leggerlo era ancora argomento di confessione, scriveva nella sua premessa: «È essenziale per cogliere alle origini e intendere nei suoi temi fondamentali tutto quel complesso di sentimenti, di giudizi storici e di principi teorici che formano l’ideologia sulla quale si è soprattutto modellata nel suo sviluppo la civiltà democratica europea del XIX secolo». Senza queste pagine, in altre parole, i punti fermi liberali che oggi governano la convivenza civile se ne starebbero più nelle menti accademiche o in qualche biblioteca che non nelle società.
Come nacque il Dizionario filosofico? Oltre ad un successo editoriale tra i più grandi del ’700, esso fu scritto anche per contenere in sintesi il pensiero di Voltaire e gli ideali dell’Illuminismo. Per taluni aspetti è una vera e propria bibbia del pensiero laico. Il progetto mosse i primi passi durante gli anni berlinesi dell’irrequieto intellettuale, al tempo in cui era ospite alla corte di Federico di Prussia. Nel 1752 a Berlino, con l’incoraggiamento di questo intelligente monarca, si pensò di raccogliere in un’opera disposta secondo l’ordine alfabetico e concepita collettivamente, una serie di voci contro il fanatismo e i pregiudizi. Voltaire ci mise subito la penna e si fece notare per il tono irreligioso; Federico, con ironia, si limitò a rilevare che se fosse stata pubblicata avrebbe avuto guai con Roma.
Ma da quel giorno l’idea di un libro svelto, graffiante, anticonformista non abbandonò più Voltaire. Tra i numerosi documenti di questa passione, valga la lettera che egli scrive a Madame du Deffand il 18 febbraio 1760, dove confessa di «essere assorbito» dal progetto di «mettere in ordine alfabetico tutto ciò che penso su questo mondo e sull’altro». Ovviamente il progetto, secondo l’intenzione dell’autore, è rivolto a l’usage des honnêtes gens. Certo, così non la pensavano tutti. Quando nel 1764 l’opera vede la luce anonima ha come titolo Dictionnaire Philosophique Portatif. Reca l’indicazione di Londra ma è stampata a Ginevra. Gli attacchi più forti contro il cattolicesimo sono attribuiti ad autori fittizi; chi scriveva si dava, come dire?, l’aria di riportare le opinioni a titolo di informazione. Questo non intenerì la facoltà di teologia della Sorbona, che la condannò e, secondo la consuetudine, fece bruciare l’opera sulla pubblica piazza per mano del boia. Si finse di ignorare l’autore, ma c’era come un tacito accordo tra le autorità francesi e Voltaire. Al quale la cosa andava benissimo: pochi mesi dopo, nel dicembre di quel 1764 (ma con la data 1765), ripubblicò l’opera incriminata con qualche aggiunta. E altre ne mise nelle quattro edizioni dell’anno successivo, l’ultima delle quali uscì ad Amsterdam. Nel 1767 è ancora Londra ad ospitare una nuova tiratura con altre ventiquattro voci; infine ecco quella di Ginevra (ma senza indicazione della città) del 1769: è la definitiva secondo le intenzioni dell’autore e reca come titolo La Raison par alphabet.
Per precisione occorre ricordare che al progetto Voltaire lavorò e pasticciò ancora. Dal 1770 al 1774, ad esempio, egli scrisse gli articoli delle Questions sur l’Encyclopédie, nelle quali riproduceva - rimaneggiate e no - alcune voci del suo Dizionario. Quando gli editori di Kehl realizzarono, tra il 1784 e il 1789, in 70 volumi (ma i veri bibliofili cercano quella in 92, uscita contemporaneamente) la prima edizione completa delle opere del filosofo scomparso nel 1778, mescolarono il tutto. Anzi vi aggiunsero anche alcuni estratti delle voci che aveva scritto per l’Encyclopédiedi Diderot e d’Alembert, nonché materiale che vagolava in altri dizionari e opuscoli.
Noi non ce la sentiamo di condannare questo metodo dei primi editori, ovvero accumulare tutto quello che poteva considerarsi parallelo al testo del Dictionnaire, anche perché la scelta fu fatta dal curatore che - non dimentichiamolo - era Condorcet. In un certo senso metteva a disposizione dei lettori una specie di «dizionario aperto», come ameremmo chiamarlo oggi, in cui si rifletteva la cultura di Voltaire. Certo, in talune ripetizioni può sembrare un pasticcio, ma questa è la sorte di opere simili.
Le quali, come dimostra il Dictionnaire, accanto alle idee liberali possono recare pregiudizi ed errori. Ma oggi vediamo di più i vantaggi che non i guai. E in molti sono convinti che Voltaire abbia sottratto un po’ di lavoro al boia, il quale, due anni dopo aver bruciato l’opera «diabolica», doveva decapitare il cavaliere de La Barre. Colpevole, a diciott’anni, di non essersi scoperto il capo al passaggio di una processione.