La Stampa 11 Dicembre 2003
PER LA PRIMA VOLTA TUTTA LA «COMMEDIA» TRADOTTA IN ARABO: CI SONO ANCHE I VERSI DEDICATI A MAOMETTO
DANTE alla Mecca
di Cesare Martinetti
corrispondente da PARIGI
AL fondo di un caffè del quartiere Latino, accanto alla Sorbona, dietro il fumo di una sigaretta alla quale ha appena staccato il filtro, c'è un uomo speciale che viene da Nassiryia, Iraq. Un poeta che insegna arabo. Ha la faccia scura, i capelli neri, una piega di simpatica ironia che gli attraversa gli occhi. Kadhim Jihad ha tradotto la Divina Commedia in arabo. Tutta. E dunque non ha salvato Maometto dall'Inferno, canto XXVIII, laddove il profeta compare tra i «seminator di scandalo e di scisma», «rotto dal mento infin dove si trulla». Squartato dal viso al basso ventre. Torturato, umiliato. Nessun arabo tra i traduttori (parziali) o i divulgatori di Dante finora aveva osato. Khadim l'ha fatto e ora, ci dice sorridendo, è assolutamente «tranquillo».
Ma non teme una «fatwa», una condanna degli imam barbuti, tipo quella che colpì Salman Rushdie per i suoi «versetti satanici»? «No - risponde Khadim -. Io sono soltanto il traduttore. Semmai la fatwa ricadrebbe su Dante... Ma sono sicuro che lui ne uscirebbe trionfatore». Khadim vuol parlare soprattutto di questo lavoro grandioso che gli ha preso cinque anni di fatica sul testo del sommo poeta e sulla traduzione «esemplare» di Jacqueline Risset perché Kadhim padroneggia meglio il francese (e lo spagnolo) dell'italiano: quasi un «traduttor dei traduttor» di Dante.
Ma bisogna pur raccontare e spiegare questo incontro all'inferno con Maometto e Kadhim lo fa senza imbarazzi: «Io per principio rifiuto ogni idea di censura e poi, come ho spiegato in una nota, credo che quel passo vada letto col doppio sguardo di Dante, la fede e la poesia. In altre parole Dante non poteva sfuggire alla bipolarità dell'epoca: da una parte i cristiani, dall'altra i musulmani. Però il poeta al tempo stesso descrive Maometto con comprensione e compassione. Gli dà la parola, e già questo è un segno di rispetto. Descrive il suo castigo, ma non giudica, come del resto fa in tutta la Commedia nei riguardi di tutti. La sua non è una giustizia da giustiziere, ma una giustizia poetica, che rispetta l'altro e lo compatisce, in un rapporto di dialogo».
Insomma, secondo Kadhim, Dante non è anti-Islam e lo prova il fatto che colloca in quella «zona franca» che chiama Limbo, accanto a Virgilio e Omero, anche due musulmani come il filosofo Averroè (la razionalità) e il condottiero Saladino, avversario ma non nemico. Per Kadhim, Dante e la Commedia sono un «ponte» di «dialogo polifonico» e molto deve ai racconti di viaggi spirituali di Ibn Arabi (morto ottant'anni prima la nascita di Alighieri) allora - dice - noti e tradotti. D'altra parte a Dante interessa da sempre la cultura islamica. Esiste una traduzione - ma in prosa - del grande sapiente egiziano Assan Othman che però non ha avuto cuore di rendere il passaggio su Maometto, schivato con una nota imbarazzata dove si parla del «cattivo gusto» di Dante. In persiano la Commedia è stata recentemente tradotta dalla poetessa Farideh Mandavi-Damghani. Ma anche lì mancano i versi sul profeta dell'Islam: «La mia religione me lo impedisce...», s'è giustificata la signora.
Kadhim Jihad si dice «laico». Ha 48 anni, ha tradotto in arabo poeti (Rimbaud) e filosofi (Deleuze, Derrida), è in Francia dal '76, rifugiato politico («in esilio, come Dante»), di nascita sciita, senza imbarazzi verso Saddam, sospettoso dei giornalisti («hanno spesso un atteggiamento sarcastico»), ancora offeso da un quotidiano italiano che l'aveva descritto «diplomatico» verso il regime di Baghdad nei giorni in cui si decideva la guerra. Lui, dice, alla fine degli anni ‘70 scriveva poemetti militanti contro Saddam, non ha aspettato la caduta del regime per firmare petizioni ed esporsi, ma ci tiene a sottolineare che la cultura araba è andata avanti, in esilio, nonostante Saddam.
La prima traduzione integrale in versi della Divina Commedia, realizzata con il patrocinio dell'Unesco e pubblicata da un grande editore arabo con sede a Beirut e Amman, sarà presentata questa sera all'Istituto italiano di cultura di Parigi. Il libro circola liberamente da qualche mese nel mondo arabo. Solo il Kuwait, per ora, l'ha proibito. Ma Kadhim non è preoccupato: sono stati pubblicati trenta articoli elogiativi del suo lavoro, un recensore libanese ha parlato di «ritorno delle grandi traduzioni».
E di questo vuol parlare soprattutto Kadhim che ha reso la Commedia in versi sciolti. Mica facile. Per modelli (francesi) aveva la Risset su Dante, o Yves Bonnefoy su Shakespeare: «Ho cercato di tenere un equilibrio tra l'esigenza di restituire l'originalità del testo e quella di renderlo comprensibile». Ma come salvare la musica e le terzine di Dante? «Il verso libero mi ha permesso di sfuggire agli obblighi della metrica, conservando il ritmo e le accelerazioni che Dante usa per piegare la lingua alle emozioni e ai colori. L'attenzione ai vocaboli, non solo per il loro significato, ma anche per la sonorità. E le metafore».
Ecco, per Kadhim, la Commedia è «il regno della metafora», con lui «siamo usciti dalla tirannia del paragone, ci obbliga a una lettura multipla». Traduttore ed esegeta, si porta in tasca un libriccino con le conferenze di Borges, la prima è sulla Divina Commedia, si cita un verso che Kadhim recita in poetico raccoglimento: «...dolce color d'oriental zaffiro...» e attenzione a ben pronunciare «o-ri-en-tal». L'arabo, dice, ha quindici secoli di consuetudine con le scritture poetiche, per ben tradurre occorre «conoscere la storia della lingua», usare la «lingua di oggi, ma far vivere quella di ieri, cercare negli angoli nascosti di certe antiche espressioni il modo di rendere al meglio il Dante nostro contemporaneo».
Ma la Commedia per Khadim è anche un'opera «ideale», che richiede una lettura «plurielle», multipla, dove si parla di politica e di giustizia. È la grande allegoria di un itinerario intellettuale e di vita, l'attraversamento di tutti i mali del mondo e della storia per «incontrare un momento soltanto la sua Beatrice». Altro che Maometto. Un «dettaglio».
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