mercoledì 31 dicembre 2003

storie dell'uomo :
l'Europa barbarica e protocristiana

La Stampa 31 Dicembre 2003
TORNA L’EROE MEDIEVALE CHE AVEVA UN SOLO DIO: LA SPADA
Guerra al Male infinito
di Beowulf il barbaro

Il poema fu composto da un anonimo anglosassone prima del Mille
Una complessa vicenda di interpretazioni da quando il manoscritto
venne copiato da due amanuensi: senza che nessuno sapesse capirlo
di Alessandro Barbero


Beowulf: poema epico anglosassone di autore ignoto, pervenutoci in un tardo manoscritto in diletto sassone, scritto probabilmente alla fine del sec. VII, forse sulla base di una tradizione orale. Unico poema della letteratura germanica giunto integralmente sino a noi, il B. conta circa 3000 versi allitterativi senza rime. Il tema centrale è costituito dalle imprese dell'eroe che dà il nome al poema, nipote del re dei Geati. Beowwulf riesce ad uccidere il mostro Grendel ed un drago, ma soccombe per le ferite riportate nell'ultimo duello. La materia del poema è quella delle leggende precristiane di origine scandinave (L'Inghilterra non vi compare, B. è originario della Svezia meridionale e l'azione si svolge in Danimarca), sottoposte all'influsso della cultura cristiana anglosassone. Probabilmente scritto da un unico poeta in qualche monastero della Northumbria, l'opera possiede una sua melanconica poesia in cui si mescolano idealismo eroico e austero fatalismo» (dall'Enciclopedia Garzanti)

FIN da quando i nostri antenati si rifugiavano nelle caverne e dovevano difendersi dall'orso, i peggiori incubi dell'umanità si sono incarnati in forma di mostri notturni che escono al crepuscolo e fanno a brani le loro vittime nell'oscurità. Il respiro pesante della creatura nel silenzio della notte, il balenio di zanne nel buio, le urla raggelanti che lacerano il silenzio sono gli ingredienti sempre efficaci di innumerevoli storie, fumetti o film horror. Ma il primo a forgiare con questi materiali un capolavoro di barbarico splendore è stato l'anonimo poeta anglosassone che nei secoli precedenti al Mille compose il Beowulf, l'unico poema epico sopravvissuto fino a noi dal naufragio della primitiva cultura germanica.
«Venne furtivo nella buia notte
il camminatore dell'ombra; dormivano i combattenti
che dovevano guardare la casa...
Venne dalle paludi sotto fosche pendici
Grendel a gran passi, portava su sé l'ira di dio...
Venne in cammino alla casa il guerriero
privo di gioia; presto la porta cedette...
Dagli occhi spuntava
simile a fiamma una luce maligna;
vide nella sala molti guerrieri,
dormire assieme il seguito di congiunti,
la schiera di giovani. L'animo gli rise...»
Così, nell'incalzare della ripetizione ossessiva e sempre variata che è uno dei segreti dell'arte epica, assistiamo all'arrivo di Grendel, il mostro notturno che infesta il regno di Hrothgar e che l'eroe, Beowulf, è venuto a combattere, senza immaginare che quella prova sarà solo l'inizio di un'ordalia spaventosa e senza ritorno.
Copiato intorno all'anno Mille da due amanuensi anglosassoni, il manoscritto del Beowulf rimase sepolto in un monastero fino alla riforma protestante, quando approdò alla British Library, dove peraltro nessuno era in grado di leggerlo. Solo fra Sette e Ottocento studiosi scandinavi ci misero sopra le mani e cominciarono faticosamente a tradurlo, nella stessa epoca in cui i filologi romantici disseppellivano dalle biblioteche di mezza Europa gli altri capolavori di un Medioevo dimenticato, la Chanson de Roland, il Cantar de Mio Cid, il Nibelungenlied. Che si trattasse, anche in questo caso, d'un capolavoro ci volle ben poco a capirlo, anche se ogni epoca, com'è naturale, ha cercato fra i suoi scintillanti versi allitterati quello che voleva trovarci: l'Ottocento, lo splendore pagano ed eroico d'una Scandinavia wagneriana; il Novecento, le ombre torbide d'una psicanalisi collettiva, junghiana più che freudiana, e la modernità di un'arte cui attingere sempre nuova ispirazione. Non a caso fra gli studiosi del Beowulf c'è J.R.R. Tolkien, distinto filologo oxfordiano oltre che creatore del Signore degli Anelli; ma al poema si è ispirato anche Michael Crichton per i suoi Mangiatori di morte, da cui è stato tratto pochi anni fa un film che molti ricorderanno, Il tredicesimo guerriero con Antonio Banderas.
La popolarità del Beowulf è testimoniata dal numero sbalorditivo delle traduzioni: in inglese, nel corso del Novecento, ne è uscita in media una ogni due anni, e quella del poeta Seamus Heaney, apparsa nel 1999, è stata salutata come un grande evento letterario, capace di saldare il passato e il presente della poesia inglese. Ma anche in italiano esistono ben sette traduzioni complete: lo segnala Giampiero Brunetti nell'introduzione alla sua, che è appunto la settima. Troppe? No di certo, per un testo che si presta a una miriade di interpretazioni, scritto in una lingua meravigliosa ma così aliena da sembrare nata su un altro pianeta. Il Beowulf di Brunetti è appena uscito come numero 89 della ormai quasi leggendaria "Biblioteca Medievale": caso più unico che raro d'una collana che è trasmigrata attraverso tre o quattro editori diversi, approdando ora da Carocci, ma conservando sempre una veste grafica riconoscibile e un'identica qualità. Il volumetto non comprende soltanto la traduzione e il testo originale a fronte, ma un ampio saggio introduttivo che rende conto dei continui progressi dell'interpretazione; per dirne una, oggi siamo sempre più consapevoli del fatto che questa saga barbarica, ambientata in un remoto passato pagano, venne composta in un ambiente ormai profondamente cristianizzato, un dato volentieri sottaciuto nelle interpretazioni romantiche.
Cosa raccontano, dunque, gli oltre tremila versi che i due copisti trascrissero pazientemente mille anni fa, in un codice che nel frattempo è scampato fortunosamente a un incendio, ha cominciato a sgretolarsi nei margini e potrebbe anche, un giorno, ridursi in polvere fra le nostre mani, lasciandoci soltanto il suo fantasma fissato per sempre dalle riproduzioni digitali? Fra innumerevoli digressioni e peripezie secondarie, che qualcuno ha paragonato al vertiginoso intrecciarsi degli arabeschi nelle miniature anglosassoni, si dipana la storia del re Hrothgar, il cui popolo sta soccombendo alle incursioni notturne d'un mostro inafferrabile. A evocare la bestia sono stati la luce, il calore, i canti di gioia che si levano dalla sala ben riscaldata e illuminata in cui Hrothgar banchetta con i suoi guerrieri. Grendel è un gigante cannibale, discendente da Caino; vive solitario nelle paludi, e odia tutto ciò che dà calore e felicità all'uomo. Per ben dodici anni le sue apparizioni improvvise portano la morte e il lutto nel regno di Hrothgar, la grande sala si svuota, il re sprofonda nell'impotenza e in un'umiliante vecchiaia. Quando Beowulf, che vive in un altro paese, ascolta questa storia, raduna quattordici compagni e salpa per il regno di Hrothgar, deciso ad affrontare il mostro.
La notte del suo arrivo, quando Grendel fa irruzione nella sala, Beowulf gli si getta addosso e gli strappa un braccio unghiuto di artigli, che appende in segno di trionfo alla trave della sala. Il mostro mutilato fugge sanguinante verso le sue paludi; lì la traccia si perde, in uno stagno gonfio di sangue. I guerrieri festeggiano a lungo la vittoria, tra fiumi di birra, ma la loro gioia è di breve durata: la notte seguente, un altro mostro fa irruzione fra gli uomini ubriachi, seminando la morte. E' la madre di Grendel, un mostro anfibio che vive in una caverna sott'acqua in mezzo alle paludi, ed è venuta a vendicare il figlio e riprenderne il braccio. Non resta a Beowulf che accettare la nuova sfida: raggiunto lo stagno, vi s'immerge e subito attaccato dalla bestia la incalza fino alla sua dimora, una sala subacquea, dove ritrova anche il cadavere di Grendel. A fatica, l'eroe uccide la creatura femminile, mozza il capo a Grendel e con quel trofeo riemerge stremato alla superficie, mentre il sangue velenoso dei mostri dissolve la sua spada come se fosse ghiaccio, lasciandogli in mano soltanto l'elsa.
Beowulf, dunque, trionfa; ma la visione dell'autore è tragica, per nulla interessata a un lieto fine. Il Male incalza sempre, la faida tra l'umanità e i mostri non avrà mai fine, e dopo la gioia incombe sempre il dolore. Quando è chiamato all'ennesima impresa, affrontare un drago che devasta il suo regno, l'eroe sente pesare su di sé un oscuro presagio di morte. Nella lotta feroce la belva è alla fine uccisa, ma Beowulf è ferito a morte dalle sue zanne; il suo popolo gli celebra un grandioso funerale, ardendo il corpo su un'immensa pira carica di armi, mentre il corpo del drago è gettato in mare dalle scogliere e il suo tesoro è distribuito ai guerrieri; ma tutti sanno che non ne godranno a lungo. Altri nemici incombono, ad attenderli non è la gioia ma la guerra, e forse l'esilio e la morte:
«non suono d'arpa
sveglierà i guerrieri, ma il nero corvo»
E anche in questa capacità di esprimere, a tanti secoli di distanza, l'angoscia metafisica d'una cultura barbarica che non aveva altro dio se non la spada sta la grandezza del poeta cristiano.