giovedì 6 novembre 2003

ancora sul premio di Stresa, il Grinzane, a Marco Bellocchio

Il Riformista 5 Novembre 2003
STRESA. PLEONASMI
Il postino suona troppe volte ma alla fine Bellocchio accetta il premio alla sceneggiatura


Che il postino suoni sempre due volte è un adagio fin troppo scontato nella letteratura e nel cinema. Mai, però, suonerà banale quanto l'assegnazione del primo premio del Grinzane Cinema ad "Ardiente Paciencia" (pubblicato nel 1985) del cileno Antonio Skàrmeta. Vincitore in quanto autore del «romanzo da cui è stata tratta la migliore pellicola», vale a dire "Il Postino" (1994) di Michael Radford, con Massimo Troisi e un'esordiente Maria Grazia Cucinotta. Come dire, buona la seconda, visto che Skàrmeta, opaco filmaker per sua stessa ammissione, aveva realizzato dieci anni prima una versione cinematografica di "Ardiente Paciencia" in proprio, senza grande successo. «La poesia non è di chi la scrive ma di chi la usa», diceva il saggio Neruda.
Sono cortocircuiti - o, meglio, giri a vuoto festivalieri - voluti dallo stesso Giuliano Soria, presidente del "Grinzane Cavour", che ha istituito il "Grinzane Cinema" (conclusosi a Stresa lo scorso primo novembre) per invertire il «rapporto improprio» tra cinema e letteratura. La stragrande maggioranza dei ragazzi, infatti, leggerebbe i libri solo dopo aver visto sullo schermo la trasposizione cinematografica.
Fin qui gli intenti nobili, raggiunti anche brillantemente, visto l'alto numero di studenti che hanno assistito agli incontri con scrittori e registi internazionali, da Vincenzo Cerami a Luis Sepulveda passando per Ermanno Olmi, con tanto di corsi e concorsi per sceneggiatori. Ma in quanto a palmarès ci si potrebbe aspettare qualcosa di più (o semplicemente di meno paludato e retrò) dall'appendice cinematografica del "Grinzane Cavour": la manifestazione letteraria che ha spesso premiato e segnalato in anticipo sui tempi autori poi consacrati al grande pubblico dal Nobel: J.M. Coetzee, Nadine Gordimer, Wole Soyinka, José Saramago, Günther Grass e Vidiadhar S. Naipaul.
«Premi ibridi come questo, tra cinema e letteratura, nascono quando ci sono aziende che non sanno come buttare i soldi - ha ammesso un critico letterario che domani interverrà alla trasferta romana del Grinzane Cavour, in programma alla "Casa delle Letterature", nell'ambito della rassegna I classici del domani - Ben vengano, per carità. Ma spesso non hanno né capo né coda».
Anche con gli altri premi, comunque, la fantasia del "Grinzane Cinema" non ha spiccato il volo. Il «Martini per la critica» a Tullio Kezich, quanto meno, colma un vuoto.
Ma il riconoscimento per la «miglior trasposizione in film tratta da opera letteraria» andato a "Buongiorno, notte" di Marco Bellocchio, tratto da "Il prigioniero" di Anna Laura Braghetti e Paola Tavella, sa di già visto. Un premio tipicamente italiano, nella sua doppia veste consolatoria e ridondante. A dare un tocco di noblesse oblige ci ha pensato poi il presidente della giuria Alain Robbe-Grillet, caposcuola del nouveau roman, teorico dell'irriducibilità delle pagine scritte di un romanzo sul grande schermo.
Se non altro, pur trattandosi, nei fatti, di un premio alla sceneggiatura (che è il sale di qualsiasi trasposizione cinematografica di un'opera letteraria) questa volta Bellocchio l'ha presa meglio di qualche mese fa, quando a Venezia rifiutò di ricevere un premio analogo. Diceva che non ci si riconosceva. Quello di Stresa l'ha ritirato. Repetita iuvant.