sabato 24 gennaio 2004

Giacomo Leopardi
nuova edizione dello Zibaldone

Repubblica 24.1.04
Un viaggio nella mente del poeta

Fabiana Cacciapuoti e le "polizzine" dell'autore
le riserve di Croce sulla filosofia
Con il sesto volume appena uscito si conclude la nuova edizione dello Zibaldone
Un lavoro esemplare e insieme discutibile che riordina tematicamente la singolarissima opera
di ENZO SICILIANO


Il riordino completo dello Zibaldone leopardiano secondo gli indici per argomenti dallo stesso Leopardi predisposti, un riordino che è stato compiuto con grande attenzione filologica da Fabiana Cacciapuoti e che si è oggi completato con la pubblicazione dell´ultimo sesto volume, Memorie della mia vita (Donzelli, pagg. LXXXIV-574, s.i.p.), pone un interrogativo, se questa singolarissima opera, sempre sospesa fra pensiero in atto e progetti d´opere future, abbia necessità d´essere verticalizzata per temi allo scopo d´essere maggiormente compresa dai lettori e percorsa, e realizzi così un´intenzione dell´autore rimasta nel cassetto.
Ribadisco che il lavoro della Cacciapuoti è esemplare, proprio nell´osservanza minuziosa, anche innamorata, di quella mappatura che Leopardi aveva compiuto stilando le famose "polizzine", incolonnando i numeri di pagina del proprio enorme manoscritto alla ricerca di segmenti nel suo pensiero, che gli offrissero sicurezza di sistematicità filosofica. Mi domando quale risultato sia stato così ottenuto. Non c´è dubbio che l´operazione andasse fatta, proprio per accertare quanto, in quelle intenzioni del poeta, vi fosse di realistico: se cioè i trattati pensati o vagheggiati - "sulle passioni", quindi le due parti, "pratica" e "speculativa", sulla "teorica delle arti, lettere, etc.", il "manuale di filosofia pratica", quello "sulla natura degli uomini e delle cose" e infine le "memorie" - fossero enucleabili dal flusso magmatico dello Zibaldone.
Di fronte al Leopardi pensatore, Croce usò una formula brusca e riduttiva: filosofia ad uso privato. All´artefice della dialettica dei distinti il magma leopardiano doveva apparire un irrisolto e irresoluto vagabondaggio fra appunti di lettura, riflessioni estemporanee sui comportamenti umani, esplosioni epigrammatiche di indisciplina psicologica, noterelle di filologia e poco di più. Eppure, nella brusca uscita crociana un ramo di proficua verità c´è, solo che si faccia ruotare il significato dell´espressione, come fosse una lente di cannocchiale, da una distanza sprezzante a un interesse più ravvicinato. La cultura settecentesca aveva depositato nella mente, nell´animo del poeta della Ginestra l´esigenza, se non del sistema, del trattato filosofico, di un pensare ordinato in contorni razionalmente percepibili e definibili. Ma la grandezza di Leopardi sta nell´esorbitante della sua natura - quella natura che lo portò a essere il poeta che è usando la lingua ossidata, per più lati arcigna, dell´accidiosa, provinciale cultura italiana del tempo, rubricata in abbondanza nella biblioteca paterna. È un miracolo del ritmo a sconvolgere quella lingua, a farla nuova, renderla radente alle cose, dal passo lieve e musicale: «Dolce e chiara è la notte e senza vento,/ e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti / posa la luna, e di lontan rivela / serena ogni montagna...»
Quel ritmo, si è detto più volte, giustamente, è sentimento: la vera novità di Leopardi sta nell´ascolto del sentimento qualsiasi cosa scriva, in versi e in prosa, spostando le immagini e i pensieri sempre verso una dimensione interiore, in uno spazio che a lui solo appartiene, e appartenendogli così stretto e lancinante si trasforma in parola che ogni altro coinvolge. Scrive Antonio Prete, appunto nella prefazione a queste Memorie della mia vita, che l´attenzione leopardiana al sentimento, o la tensione verso il sentimento come oggetto unico di pensiero e poesia, «ha un costante orizzonte: il divenire della civiltà». E seguita: «Con la progressiva "spiritualizzazione", la civiltà allontana dalla natura, dalla corporeità fantasticante, dalla vita dell´immaginazione, ma allo stesso tempo affina la sensibilità, approfondisce lo stato di malinconia e la condizione "sentimentale"».
Questo scarto e questo incontro, questo affidamento al sentire che rimette alla malinconia quasi una funzione conoscitiva è, in sintesi estrema, il lato positivo del dire crociano che Leopardi non pensasse se non in funzione "privata", secondo un fluire che giorno dopo giorno, proprio nel disordine delle riflessioni, o delle occasioni per le più diverse riflessioni, si fa concreto - ed è una concretezza puntuale, mai impropria nella sua convulsa e insieme meditata varietà. Soggettività e società, costume civile e sofferto isolamento dell´io, necessità di definire in un colloquio perennemente intimo il proprio stato di consapevolezza, costituiscono l´asse tematico possibile, nuovissimo, dello Zibaldone, e il più profondo. Su quell´asse le diramazioni sono tante e inclassificabili, in un gioco continuo, anche implacabile, di passioni, risentimenti e inseguimenti di fantasmi e di battaglie intellettuali la cui scena resta, va detto di nuovo, la soggettività. Chiunque abbia intrapreso un viaggio all´interno dello Zibaldone per ricavarvi un pensiero unico è andato fallito - ma non è potuto mai uscirne con l´idea d´aver percorso una boscaglia senza sentieri. Tutt´altro. E se i sentieri sono tanti, quando pure sembrino prendere direzioni divergenti o si interrompano, Leopardi stesso sa mostrarne, "sentirne", le dialettiche convergenze, cucirne intuitivamente gli spezzoni. Si è arrivati per esempio a dibattere da parte dei critici su "due ideologie" leopardiane a riguardo della natura. Leopardi vede la natura come provvidenziale nei suoi disegni, portata a conservare la specie e a trionfare attraverso questa conservazione; poi la vede brutalmente matrigna, nel non favorire in nessun modo, accanto a quei processi conservativi, la felicità degli individui. Questa duplicità - e un volto arriva a non escludere mai l´altro - percorre ogni sua considerazione dell´esistenza: il prodursi necessario della memoria nell´animo umano o il dislocarsi delle forze sociali sul campo e il loro confrontarsi; o lo storico attrarsi e scontrarsi fra fantasticare e sentire, fra barbarie e affinamento di costumi e delle lingue e chissà quanto altro.
Lo Zibaldone, in questo, ha proprio il passo del viaggio all´interno di una mente che non cessa mai il proprio scrutinio, e non teme di contraddirsi o di avvertire quanto il proprio spazio si allarghi attraverso le contraddizioni nutrendo la conoscenza. Sergio Solmi, che ha speso tanta attenzione intorno a questa "prosa" leopardiana, ha sempre ribadito che il pensiero del poeta va ricercato nel suo manifestarsi al di fuori delle preoccupazioni letterarie e di forma presenti nelle Operette morali o nei Pensieri: va ricercato nella libertà e nell´accanito tumulto quotidiano dello Zibaldone. Il lettore è attratto in esso, proprio come dice Solmi, «più dalla finezza analitica del pensiero, tutto impegnato nel concreto delle esemplificazioni puntuali, che dalla loro incerta cornice sistematica». Infatti, è lo spettro amplissimo di quelle esemplificazioni che fa libro, e che fa pensiero; ed è per questo che Leopardi va a situarsi accanto ai grandi moralisti e ai grandi saggisti liberi alla Guicciardini, alla Montaigne, alla Pascal, e non chiede posto tra i filosofi di professione secondo le regole del suo tempo e non solo del suo.
Buon lettore di Voltaire nell´adolescenza, era attratto, ripeto, da un forma di sistematicità trattatistica. Fu la sua utopia, che, pure con il puntiglioso soccorso delle polizzine non realizzò. Era appunto un´utopia - irrealizzabile. Per me il lavoro di Fabiana Cacciapuoti ha validità "a contrario": ha mostrato quanto la materia dello Zibaldone non si scolli dalla sua impaginazione originaria. Verticalizzata, quella materia, sia pure per settori ordinata, ritorna spontanea alla propria libertà, a un andamento che sfoca sempre i limiti che vorrebbe imporsi: si riordina nel proprio fluire. Nell´ordinarsi discute cioè l´ordinamento che sarebbe stato del suo stesso progetto. Perciò non c´è tema, finanche quello conclusivo della "sua vita", che possa raccogliersi in un corsivo rammemorare, fermo al proprio perno: sfugge verso quel che avvertiamo come una metafisica personale, o meglio come un "profondamento" nell´essere da cui, pari a una calamita, il pensiero non riesce a sganciarsi.
Il compito che Leopardi aveva affidato a questo suo straordinario diario - che gli si disponeva fuori la norma di qualsiasi diario, e che rimane unico nella nostra letteratura - era d´aiutarlo a indirettamente conoscersi, non per scoprire i propri limiti - cosa che l´avrebbe reso inconseguente. Il progetto ulteriore offerto dalle polizzine per un lato appare quindi come mania di filologo, di autofilologo, che non si nega a un personale "indice degli argomenti e delle cose notevoli"; per l´altro, come la soglia impossibile da varcare, a conferma che il conoscersi, in uno scrittore, passa attraverso la propria opera, e in seguito alla propria opera, e non per processi di razionalizzazione. Leopardi era convinto che «l´esistenza non è per l´esistente» e che «gli esistenti esistono perché si esista»: così il pensare, per lui, non era pensare un oggetto ma pensare di per sé - pensiero risucchiato soltanto dal proprio destino.