sabato 24 gennaio 2004

la ribellione delle donne in Iran

Repubblica 24.1.04
LA TESTIMONIANZA DELLA SCRITTRICE IRANIANA AZAR NAFISI
QUANDO IL VELO ERA SEGNO DI RIBELLIONE
di NINA FURSTENBERG


Il velo come chiave della vita di tre donne, madre, figlia, nipote. Racconta Azar Nafisi, scrittrice iraniana: «Mia nonna affermò la sua libertà mettendosi il velo contro il regime dello Scià che imponeva di toglierlo, mia madre togliendoselo nel regime di Kohmeini che imponeva di metterlo». E lei? «Io per non accettare il velo ho dovuto lasciare il mio paese». Azar è l´autrice di Reading Lolita in Tehran, (Random House), bestseller in America (arriverà in Italia tra qualche tempo, da Adelfi). Lolita: un titolo già di per sé inquietante nell´Iran di oggi diventa esplosivo se si pensa quel che la Nafisi spiega: la verità disperata della storia di Nabokov non è la violenza sessuale su una dodicenne ad opera di un vecchio porco, ma la confisca della vita di un individuo ad opera di un altro individuo, confisca dei sogni, del passato, dei pensieri. Le donne iraniane sono per lei «come farfalle mezze vive spillate su un muro, come Lolita».
La scrittrice ha lasciato la capitale persiana nel 1997, dove era arrivata carica di speranza come tanti intellettuali della sua generazione che si erano opposti al regime dello Scià. Lei, figlia di un sindaco di Teheran, aveva studiato letteratura inglese in Oklahoma, ed era tornata nel suo paese, nel 1979, carica di sogni per la Persia dei giardini e dei melograni che aveva conosciuto sui libri. La hanno espulsa, diciotto anni dopo, per il rifiuto di indossare il velo all´Università di Teheran Allameh Tabatabai, dove insegnava, lo stesso velo carico di battaglie di libertà, sia nel togliere che nel mettere e che ha incrociato la vita di sua madre e sua nonna. La libertà - spiega Aznar - non è un oggetto, «è mangiare un gelato per strada, tenersi per mano, ridere in pubblico, leggere quel che ti pare, magari Il grande Gatsby». Ora Azar vive a Washington, con un marito e due figli, insegna alla Johns Hopkins e scrive per i maggiori giornali americani. L´abbiamo trovata a Londra dove ha presentato il suo libro.
Che cosa significa il velo, argomento infinito, per le donne musulmane?
«Mia nonna non se lo è mai tolto, lo ha indossato per tutta la vita. Per un periodo molto breve, quando il padre del defunto Scià ha ordinato di toglierlo per tre mesi, si è semplicemente rifiutata di uscire di casa perché non voleva subire quella imposizione. Anche mia madre si definiva musulmana ed è andata in pellegrinaggio, ha pregato allo stesso modo di mia nonna e come lei è stata una fedele praticante, ma non ha mai portato il velo. Ho imparato crescendo in Iran che ci sono modi diversi di essere musulmani e le persone dovrebbero avere l´opportunità di scegliere quale rapporto stabilire con il loro Dio».
E il velo come tradizione da rispettare?
«Negli Stati Uniti c´è chi lo sostiene: il velo è una tradizione e se è una tradizione allora non c´è motivo di disapprovarlo. Ma se si tratta di una tradizione allora perché lo stato ha bisogno di puntare una pistola alla testa delle donne iraniane o di metterle in carcere per farle ubbidire? Anche Mao Zedong in Cina costringeva le donne a portare le "giacchette alla Mao", i capelli corti e il viso senza trucco, simboli di uniformità e sottomissione».
Azar, lei pensa che individualismo e Islam non siano proprio compatibili?
«Il primo passo del totalitarismo è di toglierti il diritto di essere un individuo unico e di realizzare le tue potenzialità. Questo è quello che è successo in Iran e non è una questione di Islam. Noi tutti dovevamo indossare un´uniforme, diventare uguali e dire le stesse cose. Il modo migliore per noi per sottrarci a questa situazione era di ricorrere a un lavoro di immaginazione. Per la prima volta mi sono resa conto di quanto sia importante la libertà individuale. In qualche modo abbiamo creato un rapporto col mondo occidentale, molto diverso e antagonistico rispetto a quello del regime».
E lo avete fatto attraverso un "book-club" clandestino, quello dei giovedì a casa sua?
«Il regime parlava dell´Occidente come del grande Satana. La nostra fantasia e la lettura di grandi autori occidentali sono diventati il ponte per la libertà. Abbiamo letto italiani come Primo Levi, Natalia Ginzburg, Italo Calvino e Umberto Eco. Gli ultimi due erano molto popolari a Teheran. Il mio principale campo d´interesse era la letteratura inglese: Jane Austin, Henry Fielding, Muriel Spark e naturalmente Vladimir Nabokov, sul quale ho scritto il mio libro».
Un libro che riguarda la libertà.
«Il mio libro riguarda valori universali: grandi autori, valori democratici e sfortunatamente anche l´universalità del fondamentalismo. È la storia dell´insegnamento delle opere della cultura occidentale nella Repubblica islamica dell´Iran. Il che mi fa venire in mente l´Europa orientale dell´epoca comunista».
L´Iran come l´Urss?
«In Iran domina una ideologia totalitaria, l´ideologia di una moderna teocrazia, proprio come nell´Unione Sovietica dominava l´ideologia comunista. E il fallimento di questa ideologia manda un messaggio in tutto il mondo musulmano. Nel nome dell´Islam la gente qui ha sofferto di più che con qualsiasi altro sistema totalitario. Il gioco è sempre lo stesso. Ciascuno di questi sistemi totalitari si è servito di un´ideologia per legittimarsi e qui hanno scelto l´Islam».
Si vede qualche segnale di laicizzazione, di separazione tra religione e politica?
«In Iran molti capi religiosi e altri ancora ritengono che per poter sopravvivere, la religione debba essere separata dallo stato. Penso sia questo il problema fondamentale che oggi stiamo abbiamo davanti. La questione di fondo è affrontare l´errore di chi nel mondo musulmano si serve della religione come di un´ideologia politica. In Iran c´è un reale dibattito interno su questi temi e ci sono segnali di serie evoluzioni che sembrano davvero portare a un´apertura della società. Non servivano le forze esterne per portarci alla democrazia».