lunedì 26 gennaio 2004

ancora sulla religione americana

una segnalazione di Lucia Ianniello

Repubblica 26.1.04
NOI, LIBERI DI NON CREDERE
la religione degli americani/2

Ha lavorato al fianco del presidente Kennedy è considerato un eminente studioso di questioni internazionali Vede con preoccupazione l'uso strumentale che oggi si fa della religione
di ANTONIO MONDA


NEW YORK. Le finestre dell´appartamento di Arthur Schlesinger Jr. sono coperte dal ghiaccio generato dalla più grande ondata di gelo che si è abbattuta in America negli ultimi decenni, e la riflessione sul suo rapporto personale con la religione avviene in un ambiente che appare estremo nella realtà esterna e intimo nel rifugio della casa. Non sembra particolarmente interessato di sapere quali siano le altre persone che hanno accettato di discutere su questo tema, ma è incuriosito da un argomento «da cui è impossibile scappare». «Tempo fa non mi sarei aspettato che avrebbero chiesto proprio a me di parlare di un argomento del genere», mi dice dopo aver controllato le ultime notizie politiche internazionali, «ma mi rendo conto che quello che a volte ci sembra antico è in realtà eterno, e che ogni scelta politica nasce da convinzioni intime».
Ritiene che sia giusto che un governo abbia un´ispirazione religiosa?
«Dipende cosa si intende per ispirazione. Io ho un approccio laico e secolare, e personalmente mi troverei in forte disagio in un paese in cui la religione ha un ruolo centrale. La fede è un dato intimo, che deve rimanere tale. Questo ovviamente non significa che non creda nell´assoluta libertà di culto. Abbiamo visto troppe dittature in cui la religione è stata bandita. In molti di quei casi la religione finiva per identificarsi con la libertà».
Ritiene che in America un´ispirazione religiosa sia imprescindibile?
«Direi che è inevitabile. In questi ultimi tempi poi la religione ha acquisito un ruolo centrale, non so con quanta buona fede da coloro che ci governano. Credo nella separazione assoluta tra lo Stato e la Chiesa, e sono tra coloro che condividono ad esempio le recenti scelte fatte dal presidente Chirac. Un paese moderno deve garantire la libertà religiosa, ma, tanto per fare un esempio sotto gli occhi di tutti, bandire dalle scuole il velo portato dalle donne musulmane».
Qual è il limite tra ispirazione religiosa e fondamentalismo?
«I fondamentalisti credono in una interpretazione letterale del loro libro di culto. Questo è un fenomeno che negli Stati Uniti ha avuto caratteristiche meno dirompenti che in altri paesi, e certamente meno violenti. Basta pensare al fondamentalismo musulmano o Hindu. Tuttavia abbiamo avuto la nostra dose di orrori e di discriminazioni. Il fanatismo protestante dei paesi della cosiddetta Bible Belt si è caratterizzato per atteggiamenti antisemiti ed anticattolici. Ricordo in prima persona l´ostilità nei confronti di John Fitzgerald Kennedy, che riproponeva quanto era successo nel 1928 con Earl Smith, il primo candidato democratico cattolico, al quale venne preferito Hoover».
Ritiene che ai nostri giorni la situazione sia cambiata?
«Ricordo che nella mia gioventù i fondamentalisti cristiani erano considerati poco più che un´oscura setta. Oggi hanno stretto un´alleanza con la destra cattolica e la destra ebraica. Da un punto di vista politico si valuta che questa alleanza consenta di controllare circa il quaranta per cento dei voti, e non esito a dirle che la mia reazione è di inquietudine e sgomento».
Nel Discorso allo Stato dell´Unione, il presidente Bush ha fatto continui riferimenti alla religione, ed ha anche deciso di agevolare finanziariamente le associazioni religiose che si distinguono in opere di carità.
«I riferimenti a Dio non sono molto più numerosi di quelli che hanno fatto i suoi predecessori, ma nel caso di Bush, proprio per l´appoggio che egli ha da parte dei gruppi evangelici, assumono un rilievo particolare. Riguardo alle agevolazioni finanziarie, chi pratica la carità compie ovviamente qualcosa di benemerito, ma colpisce l´esigenza di sottolinearlo in un discorso del genere».
C´è chi dipinge l´America come un paese che oscilla tra il puritanesimo ed il consumismo.
«Non bisogna mai confondere le degenerazioni di una realtà con la vera essenza di questa stessa realtà. Rigetto gli schematismi propagandistici, ma non voglio nascondermi il rischio».
Ritiene che gli Stati Uniti siano il luogo i cui si è realizzata la libertà religiosa o un paese in cui è dominante l´influenza calvinista?
«La libertà di culto che si gode negli Stati Uniti è tuttora un modello, ed i tragici conflitti che stiamo vivendo sono dovuti anche a questa caratteristica. Detto questo non si può negare l´influenza della cultura protestante ed in particolare del calvinismo, che ha influenzato la politica, la società e il capitalismo».
Può farmi un esempio di un politico che ha tratto giovamento dalla propria ispirazione religiosa?
«Se è vissuta con un approccio laico l´ispirazione religiosa non può che avere un effetto positivo. Non c´è presidente americano che non manifesti il proprio credo, e la domenica prima delle elezioni non sia immortalato mentre si reca a pregare con la famiglia. Io le rispondo con una battuta di Lincoln, che diceva: "l´Onnipotente ha i suoi scopi e le sue intenzioni"».
Mi faccia un esempio in negativo.
«Anche in questo caso sono restio a fare dei nomi. Le posso dire che non c´è nulla di più pericoloso di chi in politica è convinto di agire in nome di Dio. Mi è sempre piaciuta la definizione del fanatico data da Mr. Dooley, il personaggio inventato da Finley Peter Dunne: "Una persona che è sicura che Dio farebbe proprio quello che sta facendo lui se solo fosse a conoscenza dei fatti"».
Lei ha lavorato fianco a fianco con Kennedy, che fece scalpore anche per il fatto di essere il primo presidente cattolico.
«Devo dirle che non ho visto negli atti pubblici nulla che evidenziasse il suo credo. Da questo punto di vista eravamo simili: Kennedy manteneva la religione nella sfera intima».
Allora, Mr. Schlesinger: lei crede in Dio?
«No».
Come si definisce da un punto di vista religioso?
«Un agnostico».
Mi parli della sua educazione religiosa.
«Sono cresciuto in una famiglia congregazionalista, che si è convertita alla dottrina unitaria quando si è trasferita a Cambridge. Io ho cominciato a non credere più nell´esistenza di Dio all´epoca del liceo».
Qual e stato il momento di svolta?
«La lettura di un libro che mi colpì in maniera irreversibile: An agnostic apology di Leslie Stephen. Oggi si tratta di un pensatore che non è studiato come meriterebbe, ed ai più è noto soprattutto per essere stato il padre di Virginia Woolf, ma l´influenza che ha avuto su molte persone della mia generazione è stata enorme, in particolare per quel libro e per il termine agnostico, che era stato coniato qualche anno prima da Thomas Huxley ma che fu Stephen a rendere un riferimento fondamentale nella cultura e nelle scelte personali».
Nei Fratelli Karamazov, Ivan dichiara con sgomento: «Se Dio non esiste è possibile tutto».
«E´ uno dei passaggi di Dostoevskij che mi hanno sempre turbato maggiormente, e che mi portano inevitabilmente a riflettere sul mistero dell´esistenza, e sulla presenza del bene e del male. Io voglio tuttavia dissentire: l´uomo è stato in grado di darsi le leggi e le regole della convivenza civile. E´ in grado di essere tollerante e di amare. Sono tra coloro che non vuole credere che l´assenza di Dio porti inevitabilmente alla tragedia, e non possiamo dimenticare che la storia dell´uomo ci ha insegnato che in nome di Dio sono stati commessi un´infinità di errori ed orrori».
Ma in quel caso si è trattato di fanatismi, e del tradimento di quello che per i credenti Dio ha comunicato all´uomo manifestandosi. Invece gli orrori di un mondo senza Dio sembrano nascere, come sostiene Dostoevskij, proprio dalla sua assenza.
«E´ una cosa su cui si deve certamente riflettere, mentre si lotta per affermare le regole di civiltà e tolleranza che l´uomo è in grado di darsi da solo».
Un credente potrebbe dirle che quelle regole e quella capacità di amare riflettono la scintilla del divino che è in ogni essere umano.
«Un agnostico come me sa di avere questi principi e questa tensione dentro di sé, e ha il dovere di perseguirli».
Come si pone un agnostico come lei di fronte alla morte?
«Non può esistere un paradiso senza un inferno. Ma io non credo in entrambe le cose. Io credo che la morte sia semplicemente la fine».