sabato 17 gennaio 2004

il pensiero per immagini

La Stampa 17.1.04
Vai in pinacoteca e guarda le idee dei filosofi
Da Giorgione a Magritte, da Raffaello a De Chirico, un galleria di celebri dipinti diventa un panorama storico del pensiero: come cercare il concetto dentro l’immagine.
di Federico Vercellone


LA fascinazione di un pensiero per immagini ammalia la cultura europea quantomeno dall'Illuminismo a oggi. Dai rozzi bestioni di vichiana memoria sino alle icone di Otto Neurath passando per i repertori di emblemi barocchi s'insegue quello che in fondo è un unico sogno: una lingua universale che ammaestri meglio del concetto perché è più immediata e comprensibile di questo. Si può dunque privilegiare un filosofare con l'immagine piuttosto che con le astrazioni concettuali? E potrebbe esser questo il nuovo compito della filosofia dell'arte che si appresterebbe così a rinnovare un antico primato già acquisito in età romantica? Sono tutte questioni che ricorrono alla mente leggendo il volume del filosofo tedesco Reinhardt Brandt, Filosofia nella pittura. Da Giorgione a Magritte, accompagnato dalla Prefazione di Antonio Gnoli e di Franco Volpi che ci guida proprio alle questioni sopra proposte. L'atteggiamento di Brandt è a questo riguardo quanto mai cauto e, soprattutto, egli non intende proporre una prospettiva generale che punti sull'immagine in alternativa al sapere concettuale. Brandt vuole piuttosto limitarsi a quegli esempi pittorici che esplicitamente mettono a tema la filosofia. In quest'ottica si delinea la lunga serie di pittori e opere che vengono interrogati in questo libro a partire dal Sogno di Scipione e dalla Scuola di Atene di Raffaello. Si sviluppa così un ricco itinerario di cui non si può qui render conto che per cenni e che passa per Poussin e Velázquez ma anche attraverso la tipizzazione di alcuni atteggiamenti filosofici (per es. Eraclito come filosofo piangente) e che si conclude con De Chirico e Magritte. Il testo figurativo è qui costantemente in campo e accuratamente indagato senza che l'esito sia una sorta di ubriacatura estetica analoga a quella subita dal giovane Nietzsche nella Nascita della tragedia secondo cui l'arte diviene una superiore attività metafisica che trascende per significato e portata persuasiva il concetto stesso. Ciò non significa che le immagini non possano farsi veicoli di pensiero. Potremmo persino pensare a una vasta galleria di dipinti che sia come una sorta di ampio repertorio di storia della filosofia. Essa potrebbe contemplare, per esempio, La Scuola di Atene di Raffaello, Aristotele e il busto di Omero di Rembrandt, Las meninas di Velázquez e Et in Arcadia ego di Poussin. Dietro un quadro può certo nascondersi o palesarsi - a saperlo leggere - un intero panorama speculativo. Ciò non toglie tuttavia che i problemi filosofici trovino su di un altro piano, quello argomentativo, la loro più compiuta articolazione. Si tratta di cogliere la filosofia così com'essa si presenta nella pittura. Ed è proprio questo per altro - secondo Brandt - il compito del filosofo della pittura che guarda al quadro con questo interesse e non, per esempio, interrogandosi sulla miriade di altri influssi (religiosi, politici, culturali) che esso accoglie in sé dando loro risonanza ed espressione. L'immagine costituisce così un oggetto che, talora, ci parla di filosofia. Per questo dobbiamo interrogarla anche storicamente, essendo tuttavia consapevoli che il suo significato le è intrinseco e non è deposto nella storia delle sue interpretazioni. Tutto questo vale sino al momento in cui non è l'immagine stessa a proporsi come problema, sino a che non è il suo costituirsi nella visione, come avviene per esempio in Monet, il soggetto dell'artista. La domanda offerta dal dipinto è, in questo caso, un quesito apertamente filosofico che proprio nell'immagine trova la propria più adeguata rappresentazione. Entriamo così in un'altra epoca della filosofia della pittura che è quella di cui ancor oggi siamo appassionati spettatori.