martedì 3 febbraio 2004

Antonio Labriola e Gramsci

La Stampa 3.2.04
Ma Antonio Labriola non generò Gramsci
di AURELIO LEPRE


Le vicende della fortuna di Antonio Labriola costituiscono un importante capitolo della storia della sinistra italiana, dagli ultimi decenni del XIX secolo fino agli anni Sessanta-Settanta del Ventesimo. E non solo della sinistra. La sua polemica contro il positivismo lo rese vicino a Croce, che curò la pubblicazione dei suoi Saggi sulla concezione materialistica nella storia. Anche questa vicinanza contribuì a farne in seguito un punto di riferimento per la costruzione di una tradizione laica, al cui interno quella marxista potesse trovare più facilmente diritto di cittadinanza in Italia. Fu questo il senso dell'elaborazione di una linea di svolgimento del pensiero politico-filosofico italiano che, partendo da Bertrando e Silvio Spaventa e da Francesco De Sanctis e passando, appunto, per Antonio Labriola, arrivasse fino a Gramsci: fu compiuta dai teorici del Pci e in primo luogo da Togliatti e rappresentò, per diffusione e durata, il più consistente tentativo di trapiantare il marxismo in Italia inserendolo pienamente nella storia della sua cultura. In questo modo fu stabilito anche un ponte con la filosofia idealistica, di cui i marxisti italiani legati al Pci si proclamavano più eredi che avversari, in maniera ancora più accentuata di quelli europei. Al punto da sottolineare con forza l'influenza, in parte vera ma in parte presunta, esercitata su Gramsci non soltanto da Benedetto Croce ma anche da Giovanni Gentile.
Si trattò di un'operazione di politica culturale pienamente legittima e che ebbe benefiche ricadute sul piano della ricerca scientifica. Grazie al richiamo a Labriola il marxismo italiano si tenne lontano dalle volgarizzazioni delle posizioni di Marx che ne tradivano lo spirito anche se spesso sembravano rispettarne la lettera e che altrove avevano fortuna, perché consentivano di far risalire al filosofo di Treviri le affermazioni dogmatiche e catechistiche di Stalin sul «materialismo storico» e su quello «dialettico». Labriola invece aveva ricordato con forza che la concezione materialistica della storia non aveva niente a che vedere con la «materia», intesa in senso speculativo. La sua lezione ha contribuito in misura determinante a impedire in Italia ogni caduta nel «materialismo volgare», che regnava invece sovrano nell'Unione Sovietica.
Ma la volontà, molto forte in Togliatti, di costruire una tradizione priva di soluzioni di continuità generò anche alcuni equivoci e in primo luogo quello dell’esistenza di una «filosofia della prassi» che, da Labriola a Gramsci, avrebbe costituito l'apporto più originale dato dagli italiani alla storia dello sviluppo del pensiero marxista e avrebbe fornito i fondamenti teorici all'elaborazione di una via nazionale al comunismo. La definizione di «prassi» risaliva proprio ad Antonio Labriola, che viene considerato il primo marxista europeo ad aver messo l'accento su questo aspetto del pensiero marxiano. Ma Gramsci gli attribuiva soprattutto il merito di avere sostenuto che il marxismo era «una filosofia indipendente e originale» e nei Quaderni del carcere sostituì la parola «marxismo» con «filosofia della praxis» solo a partire da una data ben precisa, il luglio del 1932, e per una ragione del tutto contingente: l'inasprirsi della censura carceraria. Non c'è dubbio che, senza di essa, avrebbe continuato a parlare di marxismo e di Marx, invece di definirli, appunto, «filosofia della praxis» e «primo fondatore della filosofia della praxis» (il secondo era ovviamente Engels, un altro nome che era diventato rischioso scrivere). Certo, Gramsci avrebbe potuto scegliere una definizione differente da quella che prese da Labriola ma resta il fatto che, se fosse rimasto libero, la successiva elaborazione di quella che potrebbe essere definita la «via italiana al marxismo» sarebbe stata molto più difficile.
Oggi, più che come anticipatore o precursore, Antonio Labriola dovrebbe essere ricordato per quello che ha rappresentato negli anni in cui è vissuto e ha pubblicato i suoi scritti, contribuendo in maniera decisiva, oltre che a far conoscere Marx in Italia e a interpretarlo in maniera originale, a demolire gli aspetti negativi del positivismo. Diede pure un rilevante contributo alla politica attiva: come aveva sostenuto l'autonomia del marxismo dalle altre filosofie, così nei suoi ultimi anni di vita insistette sulla necessità che il partito socialista, nato nel 1892, elaborasse una propria linea, del tutto autonoma da quella degli altri. Poté farlo con l'autorevolezza che gli veniva riconosciuta anche sul piano internazionale e che derivava anche dalla corrispondenza intrattenuta con Friedrich Engels. Un'autorevolezza non offuscata nemmeno da alcune prese di posizione favorevoli al colonialismo.