martedì 3 febbraio 2004

Sylvia Plath

una segnalazione di Peppe Cancellieri

Gazzetta del Sud martedì 3 febbraio 2004
Stefania Caracci: la vita e la morte di Sylvia Plath Fu il simbolo di una donna uccisa dal potere dell'uomo

STEFANIA CARACCI SYLVIA Edizioni E/O pagine 190 - euro 15,00
di Paolo Petroni


È uscito l'anno scorso un Meridiano Mondadori dedicato a Sylvia Plath, per i quaranta anni dalla morte, e le celebrazioni italiane si chiudono in questi giorni a Roma con vari incontri critici, uno spettacolo teatrale e l'uscita di una biografia, «Sylvia» di Stefania Caracci. Ancora, sta per arrivare anche sui nostri schermi il film «Sylvia» in cui è Gwyneth Paltrow a darle vita. Quando la Plath morì suicidandosi aveva 31 anni, pochi, si potrebbe dire, per diventare una leggenda. Ma Sylvia Plath aveva già scritto molto, e molto più di quel che si pensasse era nei suoi cassetti, e poi si prestava, come accadde, a divenire simbolo della donna schiacciata dal potere dell'uomo. Era il 1963 a Londra (era nata a Boston nel 1932) e pochi anni dopo il movimento femminista ne fece una sua bandiera,accanto a Virginia Woolf. Il marito, il poeta Ted Hughes, da cui ebbe due figli, fu al centro di una sorta di linciaggio pubblico internazionale durato anni, come responsabile morale del suicidio di lei e per aver messo le mani sulle edizioni postume delle sue opere. A distanza di anni dalle polemiche che travolsero e confusero vita e opera, è oggi più facile fare il punto su questa voce significativa della lirica di lingua inglese del Novecento, ma sempre ricordando che per lei la poesia fu la vera ragione di vita, fu la vita stessa. Ce lo ricorda la Caracci, insegnante e libraia romana, che racconta con andamento narrativo la vicenda esistenziale della Plath con grande amore e delicatezza, con precisione e essenzialità, anche se, specie nella crisi matrimoniale, vede tutto con gli occhi di Sylvia, ovvero ricostruisce discorsi e litigi estremi con Hughes che la avrebbe sottilmente invitata al suicidio: «Lui le confida di temere un gesto fatale in risposta al suo allontanamento e, nel caso, certamente si prenderebbe cura della piccola Frieda. Il marito di Assia ha tentato il suicidio, le dice, quasi un suggerimento. Venderebbe Court Green, se rimanesse solo, continua impietoso. Ignora Nicholas, e gli occhi di Sylvia, ciechi di furore omicida». Nel racconto dei giorni, del crescere, dei rapporti familiari, la Caracci rende visibile quel filo rosso che è il dolore per la vita che segna Sylvia sin da bambina, come dimostrano certi versi adolescenziali di inusitato strazio, per esempio perché la nonna le ha distrutto un disegno. Una vita segnata dalla scomparsa del padre amatissimo, per un diabete che non vuole curarsi, da una madre oltremodo soffocante, da crisi che la porteranno a subire l'elettroshock a ventuno anni. Una vita in cui cerca di mascherare tutto sotto un'apparente perfezione da ottima figlia amorevole, da studentessa modello, da giovane scrittrice, da innamorata di colui che diverrà suo marito, Ted Hughes, finché anche lui, come suo padre, la abbandonerà. Sylvia andrà a vivere coi figli in città «dove arriva a bordo della sua vecchia Morris carica di valigie, pacchi, bambini ed entusiasmo». Due mesi dopo, preparata la colazione per i bambini, di notte si uccide sigillando porte e finestre della cucina, aprendo il gas e mettendo la testa dentro il forno: «Sente solo crepitii nel silenzio, il sibilo del serpente piumato che soffia sul collo. È l'ora. Non arriverà l'alba con gli orrori che ha raccolto nei versi, e il buio complice della notte è ancora nero, come l'uomo che ha amato e aspettato all'angolo della strada, come suo padre già intravede, fuori dall'alba e dai giorni, in un tempo solo suo, quello senza limiti della poesia, in cui grida la voce che distrugge. Lì rinasce». E se questa pagina non è delle migliori, bisogna riconoscere che era un momento difficile da raccontare, cercando di ricostruirne il pathos. Sulla sua fine è interessante allora leggere semmai «L'inverno di Sylvia» della studiosa Kate Moses, edito da Rizzoli quest'estate e dedicato proprio solo agli ultimi mesi di vita, anche se con un apparato analitico, critico e documentario, certo assai meno narrativo del libro della Caracci. Si spera comunque che queste letture servano soprattutto a far rileggere, più di certe poesie facili e cronachistiche della Plath, usate come manifesti, certi versi legati al mito e a una sua visionarietà tutta oracolare, che secondo il marito Hughes, arrivò a profondità riservate a «sacerdoti dell'estasi, agli sciamani, ai santoni», a confermare una sensibilità e introspezione portata all'estremo e quindi, probabilmente, destinata a divenire insopportabile su un piano meramente esistenziale.