martedì 17 febbraio 2004

"Filmcritica":
una conversazione con Marco Bellocchio

La Stampa 17 Febbraio 2004
LA RIVISTA DI CINEMA
«Filmcritica» su Gitai e Bellocchio


ROMA. Ci sono gli ultimi film di Amos Gitai («Alila») e Marco Bellocchio («Buongiorno, notte») sulla copertina del primo numero del 2004 di «Filmcritica», che si apre con un intervento di Fausto Bertinotti alla tavola rotonda della rivista sulla Biennale intitolata «Con il cinema non ce la fanno». «Ci è sembrata profetica - scrive il direttore Edoardo Bruno - con tutto quello che sta avvenendo in questi giorni alla Biennale, scioglimento e modifica del consiglio direttivo, nomina del consulente o del direttore provvisorio in armonia con le linee programmatiche del governo». Ma, sostiene «Filmcritica», appunto «con il cinema non ce la fanno»: «Il cinema, o meglio i film - continua Bruno - sono atti consapevoli, materialistici, di amore, di passione, di ideologia, quindi testimonianza di una storia in atto». Non si può dire altrettanto con il cinema inteso come struttura burocratica, centro di produzione, contro cui, secondo Bruno, bisogna combattere «anche con la fantasia. Oggi non ci manca la comunicazione, ci manca la creatività e la resistenza al presente».
Seguono due conversazioni davvero interessanti con Gitai e Bellocchio. La lettura del conflitto israelo-palestinese di Gitai è molto profonda e articolata e proietta una luce diversa sulle nostre convinzioni. «Si vive come autointossicati dall’accesso ai mass media - dice - e si ha la sensazione che se alla sera, nei tg, non si parla di Medio Oriente, ci sia quasi un senso di tristezza palpabile, perchè si è ormai abituati a ritrovarsi ogni giorno sulle news... una sorta di perenne feuilleton senza fine... ecco perchè nel film ho deciso di mostrare invece la gente che di solito è invisibile».
Bellocchio ritorna sul recente passato italiano e la sua controversa lettura della tragedia di Aldo Moro: «Ho compiuto delle scelte precise in “Buongiorno, notte” - dice - ad esempio di mostrare le pistole senza mostrare alcuno sparo... è come se le inverosimiglianze diventassero l’inverosimiglianza della vita».