sabato 14 febbraio 2004

sessualità nel mondo antico
un libro di Giuia Sissa, contro Foucault

Corriere della Sera 14.2.04
ELZEVIRO Sessualità e mondo antico
E Zeus punì gli uomini
di ELISABETTA RASY


Racconta Esiodo nella Teogonia che Zeus, indispettito con gli uomini per una bravata di Prometeo, decise di punirli una volta per tutte con un castigo esemplare e irreversibile. A quell’epoca gli uomini - proprio gli uomini maschi, non l’umanità - vivevano beati, senza affanni e preoccupazioni. Quale il castigo esemplare per toglierli da quella condizione aurea? La donna, o meglio, l’invenzione della donna. Perché per Esiodo, nella "Teogonia" come nelle "Opere e i giorni", la donna non è affatto una creatura naturale, ma un essere artificiale, una sorta di «macchina desiderante» incapace di convivere con Penia, la Povertà, e bramosa di beni di ogni tipo, di soddisfacimenti che ottiene attraverso l’uomo. L’uomo, in compenso, per soddisfarla deve sottomettersi al regime della cura, cioè dell'incessante preoccupazione, della fatica, della prestazione. Deve, in altri termini, umanizzarsi. Evocando questi miti ricomposti dal poeta dell’ottavo secolo avanti Cristo, Giulia Sissa, studiosa italiana docente alla University of California, nel suo "Eros tiranno. Sessualità e sensualità nel mondo antico", recentemente edito da Laterza, vuole sostenere una precisa tesi: nell’antica Grecia, cioè nel mondo della nostra antichità, la sessualità e i corpi con la loro differenza sessuale sono un modello, un paradigma di riferimento, una fonte incessante di metafore per disegnare tutta intera la condizione umana. Questo il punto focale dell’indagine della studiosa, ma anche il punto di partenza polemico del suo lavoro. Sissa lo dice esplicitamente nelle conclusioni (che forse avrebbero dovuto essere una premessa): «Come scrivere una storia della sessualità se non situando il proprio punto di vista in confronto a quello di Michel Foucault?». E il suo punto di vista è accanitamente contrario all’idea che innerva l’opera del filosofo francese dal 1976 al 1984, dalla "Volontà di sapere" all’"Uso dei piaceri" e alla "Cura di sé", l’idea cioè che per gli antichi, prima dell’inquisizione verbale dei cristiani, l’eros fosse un’arte puramente pratica, una prassi da regolare con l’esclusivo fine del piacere senza retroscena interiori e etici. Secondo l’antichista italiana, invece, tutto il mondo antico è al contrario attraversato e più ancora tormentato dalla questione del desiderio. Non sul piacere, ma sul desiderio - e il desiderio per eccellenza è quello sessuale con la sua irragionevolezza e indomabilità - ciascuno a suo modo, Platone e Aristotele e gli Stoici, modellano non solo un’erotica, ma anche un’etica e una definizione della condizione umana. Gli antichi non dimenticano mai la differenza tra i sessi, anche se su maschile e femminile, nel loro nucleo profondo ed essenziale, le idee sono mutevoli sia per i filosofi sia per i medici. Soprattutto sulla natura femminile: pura matrice alternativa alla forza di penetrazione virile per Aristotele, per Platone e molti fisiologi la femminilità è invece una mascolinità introflessa, con organi uguali a quelli maschili ma all’interno, il che naturalmente non è privo di conseguenze temibili. Ma il punto essenziale della faccenda, insiste Eros tiranno , è comunque lo stesso. Non gli aphrodisia , cioè la gestione di questa differenza a scopo di piacere, non le tecniche del godimento e del controllo, come sosteneva Foucault: il punto essenziale è il desiderio.
È qui, nello spostamento dal piacere al desiderio, che si apre, come collateralmente alla lunga ricognizione di Sissa di sessualità e sensualità che arriva fino ai Padri della Chiesa, una questione che ha per la contemporaneità una speciale risonanza. In un’epoca e in una cultura come quelle dell’antica Grecia in cui il verbo amare e la parola amore non scendono in campo ad assolverlo o condannarlo, comunque a nominarlo, a sdoganarlo dalla sua misteriosa indicibilità, c’è però uno spazio in cui il desiderio opposto al piacere si rivela: lo spazio tragico con la voce delle sue eroine. Medea e Fedra, Clitennestra e Elettra sono figure che contrastano crucialmente non solo con la posizione assegnata pubblicamente alla donna greca, ma anche con la tradizione del mito e della filosofia. Contrastano perché parlano per sé. Se Giasone ribadirà a Medea nell’abbandonarla le sue ragioni mitiche, se per spiegare le perturbazioni del sesso - il tradimento, l’abbandono - si appellerà alla incontrastabile ed estranea volontà di Afrodite, Medea non gli crede. Medea ne fa una questione personale, del desiderio rivendica la soggettività. Come la moglie e la figlia di Agamennone, come Fedra o Deianira.
Dallo spazio tragico si avvia così un discorso che parla in profondità dell’amore senza nominarlo e, attraversando i secoli, fornisce paradigmi, modelli, parole chiave. Un discorso che soprattutto, di interpretazione in interpretazione, si riattualizza per noi sregolati e confusi postmoderni, allettati da un’ideologia liberatoria che rapidamente si è fatta luogo comune e spot pubblicitario a credere piuttosto agli aphrodisia, le istruzioni per l’uso del sesso, che alla voce sempre oscura e problematica del desiderio.