lunedì 23 febbraio 2004

storie dell'uomo:
la paleopatologia

Corriere della Sera 23.2.04
IL PALEOPATOLOGO
di Paolo Conti


PISA - Prima notizia: Cangrande I della Scala, signore di Verona riesumato venti giorni fa e sottoposto a mille esami Tac inclusa, non morì improvvisamente a 38 anni dopo aver bevuto da una fonte di Treviso appena conquistata, come si disse nel 1329 sospettando veleni. Probabilmente se ne andò all’altro mondo per una epatite acuta forse dovuta (per ora è solo un’ipotesi) al buon vino veneto, che notoriamente va giù come l’acqua: ce lo sveleranno a ottobre in una mostra al museo di Castelvecchio di Verona. Seconda notizia: alla fine dell’estate avremo un’idea abbastanza chiara delle abitudini igienico-alimentari e delle cause della morte di cinquanta membri della famiglia dei Medici di Firenze, da Giovanni delle Bande Nere all’Elettrice Palatina Maria Ludovica che lasciò in eredità al popolo fiorentino la collezione degli Uffizi ed evitò la dispersione di un inestimabile tesoro della cultura europea.
Il tutto transiterà sulla disordinata scrivania di Gino Fornaciari, 58 anni, paleopatologo dell’Università di Pisa, da un quarto di secolo specializzato in una scienza tutta particolare: l’esame dei corpi di personaggi del passato, importanti o anonimi che siano. Fornaciari è un tipo pelato, basso e autoironico («1.60, ho la stessa statura di Gregorio VII...»), doverosamente positivista e materialista visto l’oggetto di studio: «Emozione nel maneggiare un re, un santo? Direi estremo interesse scientifico. Se questa è un’emozione, allora sì, mi emoziono. Timore di disturbare il sonno di un morto? No, perché è senza vita e si tratta di un reperto: da trattare col dovuto riguardo, ma è un reperto...».
Il laboratorio di Fornaciari e dei suoi soli cinque collaboratori è ospitato, come spesso accade in Italia ai nostri centri di ricerca molto stimati all’estero ma sconosciuti in patria, in un angusto ambiente stipato di casse etichettate, tipo «Crani / Torino, piazza San Giovanni» (spiegazione: «Era una fossa comune di soldati del primo ’400 scoperta due anni fa, qui la calotta è scoperchiata da un colpo di spadone...»). Sui tavoli, due vassoi colmi di femori, tibie, pezzi di falangi. Il professore insegna Paleopatologia e Storia della medicina ma ha alle spalle 15 anni di responsabilità dell’obitorio pisano e ha una regola: «C’è uno scopo scientifico e uno culturale. Capire come quegli individui vivevano e morivano per ricostruire l’ambiente umano, intellettuale di un’epoca». Niente curiosità morbose ma esami di tossicologia, endoscopia, istologia, radiologia e Tac possibili perché l’incarico di Fornaciari fa parte del dipartimento di Oncologia.
La sua memoria gronda incontri straordinari. Al 1981 risale la «recognizione» (il termine scientifico dell’impresa) sul corpo di Sant’Antonio da Padova voluta dai frati: «Individuo giovane, sui 35 anni, longilineo e più alto della media della sua epoca, tipicamente atlanto-mediterraneo, abbastanza muscoloso, però si capiva che era uno da scrivania». Nel 1984 toccò a papa Gregorio VII: «Mi aspettavo un tipo alto, ascetico, magro visto che si trattava di un monaco. Invece era basso come me, tarchiato, corpulento, dotato di una vigorosa muscolatura anche nel braccio destro. Più che di aspersorio, da giovane lavorò di spada...». Un po’ come Giulio II della Rovere, il papa condottiero? «Ecco, uno così». Poi ci fu Zita da Lucca, santa del 13° secolo, esaminata nel 1988, fonte di grande ammirazione estetica da addetti ai lavori: «Bellissima mummia naturale, perfettamente conservata. Camminava scalza e i suoi piedi avevano gli stessi calli che fino a poco temo fa erano caratteristici delle nostre contadine. Viveva in cucina e in un ambiente chiuso, così ho trovato i polmoni affetti da antracosi, ovvero erano pieni di carbone».
Tra il 1983 e il 1987 (quando Fornaciari aveva ancora i suoi capelli) ci fu l’avventura delle tombe aragonesi di Napoli nella cappella palatina di San Domenico Maggiore: «La soprintendenza scoprì che nel soppalco della Sacrestia le quaranta casse di sovrani, principi del sangue e membri della corte contenevano mummie ben conservate. Non sapevano bene come muoversi e ci convocarono. Anche nella sepoltura il protocollo era rispettato: nel piano alto e al centro i re, poi i principi e più sotto gli altri a seconda dell’importanza». Fornaciari e i suoi misero insieme una immensa banca dati sulle malattie dell’epoca: «Ferrante I morì di adenocarcinoma del colon. Altri principi erano affetti da malattie infettive: tubercolosi, per esempio. Una nobildonna era sifilitica». Risatina del professore: «Misi in allarme l’Organizzazione Mondiale della Sanità perché in una mummia riscontrai il vaiolo. Lo annunciai. Mi mandarono degli anticorpi che legarono col virus. Temettero che potesse essere ancora vitale, si impaurirono perché le vaccinazioni erano sospese dal 1986. Invece il Dna del virus era frammentato, incapace di agire. Ho spedito alcuni campioni a Mosca e negli Stati Uniti, ad Atlanta». Nel 1994 diagnosticò una scoliosi da violoncello al sommo musicista Luigi Boccherini. Ha svelato anche un giallo storico, quello legato a Enrico VII re di Germania, morto forse suicida a Martirano, in Calabria, nel 1242: «Era difficile spiegarsi perché suo padre Federico II lo avesse tenuto prigioniero fino alla morte. E’ vero, Enrico VII aveva tentato di spodestarlo ed era stato sconfitto. Ma Federico era generoso, capace di perdonare. Perché non il primogenito? Esaminando lo scheletro abbiamo capito. Enrico era malato di lebbra, contratta probabilmente nella Crociata in Terra Santa, e la sua più che una prigionia era un isolamento protetto».
E adesso la grande scommessa medicea, 49 salme da esaminare, per 36 sarà una novità assoluta perché 13 erano già state studiate nel 1948: «Ho convinto il sovrintendente Antonio Paolucci, uomo di grande intelligenza e intuizione. Primi sondaggi in primavera, poi da luglio a tappe forzate. Per ora non toccheremo i sarcofagi più antichi perché c’è di mezzo Michelangelo». C’è da capire perché molti Medici fossero afflitti dalla gotta, secondo le voci del passato. O da riesaminare la tubercolosi di Eleonora da Toledo, che da secoli ci scruta altera dalla tela del Bronzino, e l’obesità dell’ultimo maschio, il debole Giangastone. Ci vorranno molti soldi, almeno 400 mila euro. Per ora Fornaciari può contare sulla sovrintendenza fiorentina, le università di Pisa, Firenze, Long Island di New York, del Minnesota, sulla Mgm specializzata in biotecnologia, l’ospedale di Pisa, il comune di Firenze. Ma il cammino economico è lungo. Qualcuno, speriamo, si farà vivo. Fornaciari ride ancora: «Lo so, ci vuole un amatore del genere». Giusto. Non tutti palpitano per una mummia nuda.