mercoledì 24 marzo 2004

la religione americana e la Corte Suprema

L'ORIGINE: Il motto "In God we trust" (Confidiamo in Dio) fu coniato e messo per la prima volta su monete da 2 cent nel 1864, come testimonianza di un rafforzato sentimento religioso durante la Guerra civile

I DOLLARI: Sul retro di ogni taglio di banconota statunitense si legge, stampato sopra una sorta di festone, l'immancabile motto "In God we trust"

LE POSTE: In molti stati esiste l'obbligo di mostrare poster con la scritta "In God we trust" negli uffici postali e nelle agenzie federali

LE CORTI: Nelle aule di tribunale federali i processi si aprono con un commesso che recita la frase rituale: "Dio salvi gli Stati Uniti e questa onorevole corte"

I DISCORSI DI BUSH: I discorsi del presidente George W. Bush alla Nazione si concludono la formula: "Grazie, e possa Dio continuare a benedire l'America"

LE MODIFICHE DEL TESTO
COM´ERA IERI,
"Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati uniti d'America e alla repubblica che essa rappresenta, una nazione unita dalla fede in Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti"
COM´È OGGI: "Giuro fedeltà alla mia bandiera e alla repubblica che essa rappresenta: una nazione, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti"

IL CASO
I giudici discutono il ricorso di un genitore contro le invocazioni religiose a scuola
Dio alla Corte Suprema Usa
L´EQUIVOCO DELLO STATO LAICO CHE PREGA PER SALVARSI
VITTORIO ZUCCONI


WASHINGTON. C´è un posto anche per il nome di Dio nelle aule delle scuole di Stato americane? Lo sapremo oggi. Poche volte, nella storia degli Stati Uniti, una sentenza della Corte Suprema sarà chiamata a tagliare più a fondo nell´anima e nel corpo della nazione che incarna la suprema conquista civile della separazione tra religione e Stato.
Una separazione che, secondo la petizione alla massimo corte, è sempre più minacciata dall´insidia dell´integralismo cristiano.
Non c´è ormai discorso pubblico che risparmi Dio. Che Dio benedica l´America, anzi, come dice George Bush che Dio «continui» a benedire l´America. Non c´è Presidente che non chieda l´aiuto di Dio, «... and so help me God.... » per governare gli Stati Uniti, al momento di giurare sulla Bibbia dei cristiani. Non c´è banconota che non riponga la fiducia del portatore in Dio, «in God we trust», più che nella banca centrale. Siamo una nazione unica «sotto Dio» recitano a memoria gli scolari all´inizio delle lezioni nel giuramento di fedeltà, il «Pledge of Allegiance». Non c´è nazione dell´Occidente che nomini tanto spesso e con tanta insistenza il nome di Dio, dopo avere essa per prima, solennemente e scandalosamente agli occhi delle teocrazie e delle monarchia europee, sancito nel proprio atto di nascita l´assoluta, rigorosa, inflessibile, civilissima separazione tra Stato e Chiese.
Sarà dunque doloroso per la Corte Suprema tagliare il nodo che il genitore di uno scolaro ha scaricato sulla scrivania dei nove magistrati per stabilire se quella invocazione a Dio nelle scuole pubbliche violi il sacramento laico della separazione. Lo taglierà, perché la massima corte non ha mai nessun obbligo di prendere in esami ricorsi e se accetta di discutere un caso è evidentemente perché intende decidere. Ma il clima morale, gli umori politici e culturali che la circondano oggi garantiscono che qualunque decisione i nove prendano, offenderà ferocemente milioni di cittadini e contribuirà ad approfondire il rancore che taglia quest´America già lacerata da un presidente che sulla polarizzazione dei campi opposti sta giocando le proprie speranze di rielezione.
Se la Corte dovesse stabilire che il giuramento di fedeltà alla nazione «sotto Dio» nelle scuole pubbliche è anticostituzionale, l´America dei cristianissimi l´America dell´integralismo biblico che ha pagato già 400 milioni di dollari per celebrare l´evangelismo pulp di Mel Gibson insorgerà nel segno del sacrilegio e della corruzione morale della nazione. E sarà poi assai difficile per un presidente giurare sopra la Bibbia dei cristiani, chiedendo l´aiuto di Dio per difendere quella stessa Costituzione che proibisce ai bambini di recitare la loro innocente formuletta alla mattina.
Se invece la Corte giudicherà legittima l´invocazione, sarà l´America laica, l´America non cristiana, l´America della separazione storica fra stato e chiese, a indignarsi per un nuovo segno della «talebanizzazione» strisciante di una democrazia che ha trovato in Bush un leader che indica nel Gesù di Nazareth il proprio «filosofo politico preferito». E che dipende più di ogni altro predecessore, dall´elettorato integralista per vincere le elezioni.
Come sempre nella storia americana, qualsiasi decisione sarà, sia pure molto a malincuore, accettata dagli sconfitti, come fu accettata la sentenza che impose l´integrazione razziale delle scuole, considerata abominevole nel Sud, o fu il riconoscimento del diritto all´aborto volontario, anatema per tutte le gerarchie e i fedeli maschi, assai meno per le fedeli femmine.
Accettata non significherà tuttavia approvata o dimenticata, perchè sempre la vittoria di una parte mobilita la resistenza della parte sconfitta soprattutto in una materia come questa, del rapporto fra Dio e Cesare che nessuna bilancia della giustizia può soppesare. E che oscilla da oltre due secoli sopra un equivoco, quello di una nazione che si proclama fondata sui diritto naturali invocati dall´Illuminismo settecentesco, ma poi chiede l´aiuto di Dio per restare laica.

Un padre ateo contesta le parole che sua figlia deve pronunciare ogni mattina a scuola: violato il primo emendamento?
Usa, la Corte decide su Dio
A giudizio il riferimento religioso nel giuramento alla nazione
di VANNA VANNUCCINI


NEW YORK - Ogni mattina che Dio manda in terra in America gli scolari delle elementari, non appena entrano in classe, ascoltano la voce del preside trasmessa attraverso gli altoparlanti. Insieme, bambini preside e insegnanti pronunciano il giuramento alla bandiera con la mano sul cuore: «Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d´America e ai valori che rappresenta, una nazione sotto Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti». Segue un minuto di silenzio in cui tutti restano immobili.
Il rito si ripete ogni giorno per ogni anno di scuola nella vita di tutti gli americani. Esattamente da 112 anni, da quando un pastore di idee socialiste, Francis Bellamy, pubblicò nel 1892 il "Pledge of Allegiance", il giuramento di fedeltà, nel suo giornaletto per bambini. Pochi mesi dopo il giuramento fece il suo debutto nelle scuole sotto il presidente Benjamin Harrison. Da allora è stato leggermente modificato un paio di volte. Ma la modifica principale fu fatta nel 1954: un´associazione cattolica, i cavalieri di Colombo (Knights of Columbus), chiese di aggiungere accanto alla nazione le parole «under God», sotto Dio. Si trattava di distinguere, argomentò, il giuramento di fedeltà americano da altri pronunciati da «comunisti senza Dio». L´America attraversava anche allora una crisi, una guerra atomica sembrava imminente e il presidente Eisenhower chiese al Congresso di aggiungere le due parole.
Cinquant´anni dopo, queste vengono contestate di fronte alla Corte Suprema. La Corte si riunirà stamani e come sempre i giudici apriranno l´udienza in piedi, con il capo chino, e ascolteranno le parole di prammatica: «Dio salvi gli Stati Uniti e questa onorevole Corte». Subito dopo dovranno decidere se la menzione di Dio che le scuole richiedono agli insegnanti di pronunciare ogni mattina non violi il venerato First Amendment della Costituzione. Se così fosse, quale sarebbe il destino dei tanti riferimenti religiosi contenuti nelle cerimonie civili americane, come appunto le parole con cui la Corte Suprema inizia le sue sessioni?
Il caso è stato provocato dal ricorso in appello di una scuola californiana contro la sentenza esplosiva pronunciata nel giugno 2002 da una corte d´appello di San Francisco, che viene considerata la più liberal degli Stati Uniti. La Corte di San Francisco sentenziò che le parole «under God» equivalgono a un´esplicita professione di religione e sono pertanto incostituzionali. Dette così ragione a un medico e avvocato californiano, Michael Newdow, che si definisce ateo il quale non vuole che la figlia di nove anni sia costretta ogni mattina a reiterare devozione a Dio.
Prima di tutto la Corte dovrà stabilire che cosa significhi veramente giurare fedeltà a «una nazione sotto Dio». Significa implicare che Dio esiste, «un dogma religioso che il governo non dovrebbe sponsorizzare nella scuola pubblica», come afferma Michael Newdow? Secondo l´amministrazione, che difende le due parole, pronunciarle non equivale a una professione di fede religiosa bensì di patriottismo. I garbugli della vicenda sono infiniti e intensamente controversi. La faccenda è ulteriormente complicata dal fatto che è in corso un´aspra battaglia legale tra il padre e la madre della bambina. La madre, che si definisce «una cristiana rinata» che ha ritrovato la fede dopo un breve sbandamento (causa non secondaria, afferma, del suo incontro con il medico californiano), sostiene che il padre non aveva diritto di presentare la causa perché non aveva a quel momento l´affidamento della figlia. Se la Corte vuole uscire d´impaccio senza deliberare una sentenza così ardua, basterà che stabilisca che in effetti il medico californiano non aveva titolo per parlare a nome della figlia.