mercoledì 3 marzo 2004

la religione degli americani/6
parla Elie Wiesel

Repubblica 3.3.04
LA MIA FEDE FERITA
"Per la mia generazione il rapporto con Dio non può non essere sofferto, ma, dice il chassidismo, nessun cuore è intero come un cuore spezzato"
"Non ho un´immagine di Dio, costituirebbe un limite. Il mistero è parte dell´infinita grandezza"
"Credo fin da bambino anche se ho avuto dei momenti di crisi. E prego costantemente"
di ANTONIO MONDA


NEW YORK. Elie Wiesel mi riceve nel suo studio dell´Upper East Side in un giorno dall´improvvisa temperatura primaverile. Prima di iniziare a discutere del suo rapporto personale con Dio guarda a lungo i colori che si riflettono sui grattacieli dorati del tramonto. Sorride in silenzio, come se quella fosse già una prima risposta, poi mi chiede notizie sulla situazione politica del nostro paese «misteriosa per chi non vive in Italia». E´ appena tornato da un lungo viaggio all´interno degli Stati Uniti, e sta per ripartire per una serie di conferenze nelle quali tratterà anche alcuni dei temi di cui dobbiamo discutere. «Alla fine dei conti l´esistenza di Dio è l´unico problema autentico» mi dice con uno sguardo severo «...nel quale tutti gli altri problemi sono riassunti e minimizzati. A volte penso che parliamo sempre di Dio senza rendercene conto».
Tra i tanti filosofi che hanno affrontato questo argomento, Blaise Pascal ha parlato esplicitamente dell´esistenza di un Dio nascosto.
«Pascal è uno dei pensatori che ammiro maggiormente, e che mi stimola costantemente a confrontarmi con i massimi problemi. Non è stato tuttavia il primo a parlare di un Dio nascosto. La stessa Bibbia parla di Dio che si copre il volto. E io interpreto - consapevole di non essere in solitudine - che Dio si copre il volto perché non riesce a sopportare quello che vede, quello che facciamo noi uomini».
Nei Pensieri Pascal scrive, interpretando il pensiero di Dio, «non mi cercheresti se non mi avessi già trovato».
«Mi sembra che sia una frase che spiega bene l´importanza della scelta all´interno della fede».
Lei crede in Dio, professor Wiesel?
«Sì, certo».
Posso chiederle come se lo immagina?
«Può certamente chiedermelo, ma io devo risponderle che non me lo immagino».
Derek Walcott mi ha detto che non riesce a prescindere dall´immagine con cui è stato educato in infanzia: un uomo anziano di razza bianca dall´espressione saggia.
«Capisco la battuta di Walcott, ed è ovviamente un´esemplificazione molto umana a cui è difficile sottrarsi. Tuttavia penso che ogni immagine rappresenti un limite, e che il mistero sia parte della infinita grandezza».
Ha sempre creduto in Dio?
«Sin da bambino, ma ho avuto i miei momenti di crisi».
E com´era il Dio dell´infanzia?
«Non molto diverso da quello della maturità. Posso dirle che era nei miei sogni, nelle mie preghiere, in ogni aspetto di un´esistenza altrimenti inconcepibile».
I suoi genitori erano credenti?
«Sì, erano persone estremamente religiose».
Quanto è dovuto a loro la sua fede?
«Certamente devo ai mio padre Shlomo e mia madre Sarah l´educazione e l´esempio. Ma come succede a tutti anche la mia fede ha vissuto un fondamentale momento di scelta. Altrimenti non la si potrebbe definirla fede».
Lei parla di scelta. Qualcuno parlerebbe di grazia...
«Non ho problemi se vuole definirla così. Purché non si minimizza la libertà della scelta, e le conseguenze che si assumono nel momento in cui si crede».
Lei ha studiato filosofia alla Sorbona. Ritiene che quegli studi abbiano influenzato la sua fede?
«Direi di no. La filosofia mi ha dato la terminologia, il metodo e la possibilità di articolare in maniera più rigorosa il rapporto con i problemi dell´esistenza».
Un frase ricorrente in queste conversazioni sulla fede è la battuta di Dostoevskj: «se Dio non esiste, è possibile tutto».
«E´ una constatazione tragica, che mi sento di condividere».
Come concepisce l´esistenza senza la fede?
«Il mondo ne ha avuto esperienza evidente e recente: gli orrori del secolo appena terminato sono stati perpetrati da una dittatura pagana come il nazismo e atea come il comunismo. Questo non vuol dire ovviamente che in nome di Dio non siano state commesse delle mostruosità: è lunga la lista dei credenti che si sono macchiati di infamie. Tuttavia l´assenza programmatica di un Dio, o quanto meno l´illusione di combatterne la presenza, porta sistematicamente all´orrore».
Lei crede fermamente in Dio, ma vive in un mondo dove esistono il dolore, l´ingiustizia ed il sopruso.
«E´ il grande tormento della mia intera esistenza. La domanda a cui non so rispondere e credo alla quale nessuno possa rispondere. Ma anche in quei momenti terribili non vedo una assenza, ma piuttosto un´eclisse».
Crede che Dio possa permettere una guerra?
«Io credo che sia più probabile che i governanti utilizzino Dio e la religione per scatenare delle guerre. E vedo che questo succede costantemente, ma nessuno può, ne mai potrà dimostrare che una guerra è combattuta per volere di Dio. Se non fosse un argomento così tragico sarebbe da chiedere scherzosamente ogni volta un attestato notarile che certifica che la guerra che sta per essere scatenata è voluta espressamente dall´Onnipotente».
La politica di questi tempi fa ricorso sempre più spesso alla preghiera.
«Anche questo non rappresenta nulla di nuovo. Come non è nuova la presenza di atteggiamenti ipocriti, strumentali e molto spesso anche sinceri. E´ importante sottolineare come i rischi possono essere enormi in ognuno dei casi citati».
Lei prega?
«Sì, costantemente e semplicemente».
Quando ha iniziato?
«Da bambino. Ma come accade spesso, il mio primo istinto è stato quello di emulazione: non volevo essere l´ultimo della mia famiglia a mettermi in fila nelle orazioni».
Ed ha pregato sempre?
«No, ho avuto i miei momenti di crisi, che mi hanno indotto a studiare e a confrontarmi, a volte drammaticamente, con Dio».
Come definirebbe oggi la sua fede?
«Userei l´aggettivo ferito, che credo sia valido per tutte le persone della mia generazione. Il chassidismo insegna che "nessun cuore è intero come un cuore spezzato", e io dico che nessuna fede è solida come una fede ferita».
Gli uomini di fede individuano proprio nella preghiera il momento più alto della spiritualità.
«La preghiera è un aspetto fondamentale, tuttavia io dedico gran parte della mia esistenza all´azione: credo che sia un modo di interpretare la propria spiritualità».
Cosa intende?
«Che ci sono dei momenti in cui bisogna interferire con quello che succede nella storia. Ad esempio, quando la vita e la dignità umana sono messe a rischio, le differenti culture divengono irrilevanti. Nel momento in cui una persona è perseguitata per la propria razza, la religione o per le sue idee politiche, diventa - per chi ritiene di avere uno spirito religioso - il centro dell´universo».
Un altro scrittore che è stato citato in maniera ricorrente in questa riflessione sulla religione è Isaac Bashevis Singer, il cui romanzo La famiglia Moskat termina con le parole «Il Messia è la morte».
«Conoscevo bene Singer e credo che sia giusto collocarlo tra gli scrittori che si sono interrogati in maniera più efficace su questo tipo di problemi. Ma non è possibile decontestualizzare il finale della Famiglia Moskat: si tratta di una conclusione a effetto, che coincide con l´ascesa del nazismo e la fine non solo di una famiglia ma di una intera esperienza culturale e religiosa».
Non crede che questa sia la più grande delle ferite?
«Certo, ma parlare di morte sembra negare la fede. E io fin lì non arrivo: anzi credo nel contrario».
Può citarmi un artista che ammira, e che vive apertamente una fede diversa della sua?
«Ho il massimo rispetto per chiunque abbia una fede, qualunque essa sia. Anche per chi è ateo, e crede fermamente nell´inesistenza di Dio».
Possiamo dedurne che è contrario ad ogni tipo di fondamentalismo?
«Nella maniera più assoluta. Il fanatismo è un pericolo, sia nel caso dei musulmani, che dei cristiani o degli ebrei. E il rispetto per la fede altrui, nella quale credo sinceramente, esige uguale rispetto dall´interlocutore. Pensando alla mia esperienza personale mi viene in mente come esempio luminoso François Mauriac. Io, ebreo, devo ad un cattolico fervente come lui, che si dichiarava innamorato di Cristo, il fatto di essere diventato uno scrittore».
Ritiene che il Dio in cui credeva Mauriac sia diverso da quello in cui lei crede?
«No. Ma so come possono essere diversi i nostri sguardi, ed il nostro approccio. Una volta Mauriac mi dedicò un libro scrivendo "ad Eli Wiesel, bambino ebreo che fu crocefisso". In un primo momento la presi male, ma poi compresi che era il suo modo di farmi sentire il suo amore».

(6.Fine - Le precedenti puntate sono del: 18/1/2004, Saul Bellow; 26/1, Arthur Schlesinger; 2/2, Nathan Englander; 14/2, Derek Walcott; 25/2, Tony Morrison)