mercoledì 3 marzo 2004

la storia della diffidenza francese verso i musulmani

Le Monde Diplomatique
Dietro il velo
Dai saraceni in poi, un'antica diffidenza
di Alain Ruscio
*


Perché questa diffidenza tenace di una parte non trascurabile della popolazione francese nei confronti dei maghrebini che vivono in Francia?
O, più in generale, verso i musulmani? Le persone che hanno qualche conoscenza storica risponderanno: la diffidenza inizia «dopo le prime conquiste coloniali, nel 1830». I francesi che conoscono "Vingt ans dans les Aurès" (1), faranno risalire il fenomeno alla guerra d'Algeria, a partire dal 1954. I giovani beurs delle periferie avranno tendenza a rispondere: «è colpa di Le Pen!». Ogni generazione ha, spontaneamente, la sensazione che le discussioni teoriche abbiano avuto inizio con lei. Bisogna fare uno sforzo per dimenticare l'immediata attualità e risalire il passato per ritrovare le radici lontane dei fenomeni contemporanei.
Gran parte dei francesi sarebbe stupita, oggi, nel 2004, se rispondessimo che il razzismo antiarabo risale... al Medioevo, alle origini della Reconquista (2), alle crociate, o forse persino a prima! Non è significativo che alcuni elementi costitutivi della cultura storica dei francesi siano intimamente legati agli scontri con il mondo arabo-musulmano?
Nell'ordine cronologico: Poitiers, Roncisvalle, San Luigi e le Crociate...
La battaglia di Poitiers, nel 732 (che, tra parentesi, sembra aver avuto luogo nel 733!). Destino favoloso! Le parole di Chateaubriand riassumono una delle idee preconcette più radicate nella nostra epopea nazionale: «è uno dei più grandi avvenimenti della storia: se i saraceni avessero vinto, il mondo sarebbe stato maomettano». Sottinteso: quel giorno, la civiltà ha trionfato sulla barbarie.
In effetti, la battaglia di Poitiers è stata presentata a generazioni di scolari come un elemento costitutivo della nazione francese. Figura, per esempio, tra le «trenta giornate che hanno fatto la Francia» della celebre collana di Gallimard (3). Carlo Martello, che aveva tuttavia sulla coscienza qualche raid contro alcune chiese, nella memoria collettiva è diventato il simbolo del baluardo della cristianità.
L'immagine delle orde scatenate di «maomettani» che si spezzavano, a ondate, sulle solide difese franche resta impressa in molte menti.
Interrogate la maggior parte dei francesi con ancora qualche reminiscenza scolastica: Poitiers nel 732 arriva sempre nel gruppo di testa delle grandi date conosciute, assieme all'incoronazione di Carlomagno nell'800, la battaglia di Marignano nel 1515 o la presa della Bastiglia nel 1789. Non può essere una coincidenza.
Durante la guerra d'Algeria, i commandos di irriducibili dell'Organizzazione dell'esercito segreto (Oas) presero il nome di Carlo Martello. Più vicino a noi, all'indomani dell'11 settembre 2001, un giornalista del Figaro, Stéphane Denis, ha spiegato tranquillamente che l'occidente non doveva avere vergogna delle crociate. Principale argomento: «non ho mai sentito un arabo scusarsi per essere andato fino a Poitiers» (4). Infine, in occasione dell'ultima elezione presidenziale, tutti hanno potuto vedere sui muri delle città «Martello 732, Le Pen 2002».
La storia strumentalizzata Tuttavia, studi storici autorevoli sono d'accordo per ridurre la portata della battaglia. La conquista araba è stata una realtà. Ma il raid su Poitiers mirava soprattutto a piegare Tours e le ricchezze dell'abbazia Saint Martin. Attacco potente. Ma senza lo scopo di conquista territoriale, senza ambizione di dominazione politica durevole.
Lo storico Henri Pirenne scrive a questo riguardo: «questa battaglia non ha l'importanza che le è stata attribuita. Non è paragonabile alla vittoria riportata su Attila. Segna la fine di un raid, ma in realtà non ferma nulla. Se Carlo fosse stato sconfitto, la conseguenza sarebbe stata soltanto un saccheggio più considerevole» (5). Il riflusso arabo fu senza dubbio maggiormente legato ai problemi interni di un Impero molto giovane ma già immenso, una sorta di crisi di crescita, che ai colpi inferti da Carlo.
Andiamo avanti di qualche decennio e di qualche centinaia di chilometri e spostiamoci a Roncisvalle, nell'estate del 778. Due o tre generazioni di allievi delle medie hanno fatto conoscenza con la letteratura francese, in prima, attraverso la Chanson de Roland nel celeberrimo «Lagarde et Michard» (6): i successi dei prodi cavalieri carolingi Roland e Olivier di fronte ai saraceni fanatici che attaccavano in massa. Ma, benché nessuno contesti che la battaglia di Roncisvalle abbia avuto veramente luogo, sappiamo da tempo che Roland è caduto di fronte a dei guerrieri (oggi si direbbe dei guerriglieri)... baschi.
La Chanson de Roland è soltanto la più nota delle canzoni delle gesta medioevali. In una ottima tesi dedicata all'immagine dei musulmani in questa letteratura, lo studioso Paul Bancourt delinea diversi tratti di una diabolica attualità (7). In questi testi, scritti tra l'XI e il XII secolo, i luoghi comuni sono legioni: i saraceni (termine, tra l'altro, molto vago, che designa tutti i musulmani in modo indifferenziato), «agenti dello spirito del male, simili a demoni» sono furbi, sornioni.
L'attacco alle spalle, lo stupro delle donne sono moneta corrente.
Se crediamo al testo intitolato La distruzione di Roma, «l'efferatezza dei saraceni raggiunge un grado estremo. Le loro bande danno fuoco ai castelli, alle città, alle fortificazioni, bruciano e violano le chiese, incendiano tutta la campagna romana, lasciano un ammasso di rovine al loro passaggio. Saccheggiano i beni (...) L'emiro fa uccidere tutti i prigionieri, laici e religiosi, donne e ragazze.
I saraceni si abbandonano alle peggiori atrocità, tagliando il naso e le labbra, la mano e l'orecchio delle loro vittime innocenti, stuprando le suore (...) Entrati a Roma, decapitano tutti coloro che incontrano.
Il papa stesso è decapitato nella basilica di San Pietro» (8).
Più circospetto, Paul Bancourt assicura che il papa è morto di morte assolutamente naturale. Non ci sono state affatto delle violenze contro le persone. Al massimo dei saccheggi. Evidentemente, i saraceni non sono stati più angelici della quasi totalità dei soldati di quell'epoca di estrema violenza. Né più né meno. Inoltre, Paul Bancourt si chiede se tale o talaltro atto di barbarie attribuito ai saraceni non sia stato commesso, in realtà, dai normanni o dagli ungari (9)! Ritroviamo qui la stessa menzogna, senza dubbio inconscia, che nella Chanson de Roland.
Perché una tale parzialità? La spiegazione è nelle date. La Chanson de Roland venne scritta all'inizio del XII secolo. Ripercorre dei fatti... della fine dell'VIII! La distruzione di Roma è stata redatta nel XIII secolo e descrive degli avvenimenti dell'...846! Come se leggessimo, in un giornale che porta la data di oggi, una descrizione della battaglia di Marignano. Cosa poteva esserci nella mente degli scrittori e dei lettori dell'XI-XII secolo? L'attualità del tempo, che aveva due facce: le crociate in oriente, le prime vittorie della Reconquista in occidente! Vale a dire degli scontri con l'islam.
In precedenza, tutti i popoli pagani d'Europa o venuti dall'Asia erano stati cristianizzati, uno a uno. Sussistevano soltanto masse potenti nel sud-ovest e all'est dell'Europa cristiana, in Spagna e nell'Impero ottomano, che minacciavano Costantinopoli, l'«altra Roma» della cristianità. Questi musulmani erano effettivamente inassimilabili, contrariamente agli altri. «Il germano - scrive Henri Pirenne - si romanizza appena entra nell'influenza di Roma. Il romano, al contrario, si arabizza quando è conquistato dall'islam». C'è qui un pericolo mortale per tutto il cristianesimo. «Con l'islam - prosegue Pirenne - un nuovo mondo si introduce su queste rive mediterranee dove Roma aveva diffuso il sincretismo della sua civiltà. Una lacerazione è aperta e durerà fino ai nostri giorni. Ai bordi del Mare nostrum si estendono ormai due civiltà diverse e ostili» (10).
L'idea della crociata, guerra santa, nasce precisamente in questo momento di contatto tra i due mondi, quando diventa evidente agli occhi di re e papi dell'occidente cristiano che questo nemico non è assimilabile. Non è naturale, in queste condizioni, che le cronache del tempo confondano allegramente tutti i nemici dell'occidente?
Attraverso un fenomeno mentale frequente nella storia degli uomini - l'auto-intossicazione - i baschi, i normanni o gli ungari sono diventati dei saraceni...
Lo spirito di crociata, da allora, impregna le mentalità. Gli «infedeli», termine infamante a quei tempi di fede profonda, sono per forza di cose i musulmani. E questo perdura. Chateaubriand cita la crociata come uno dei soli soggetti epici che valga (Génie du christianisme, 1816). Delacroix dipinge nel 1841 una lirica Entrata dei crociati in Costantinopoli. Victor Hugo scrive, nella Leggenda dei secoli (11): «i turchi, davanti a Costantinopoli/videro un cavaliere gigante: dallo scudo d'oro e di sinope/ seguito da un leone famigliare/ Mahometto II, sotto le mura/ Gli gridò: chi sei? Il gigante/ disse: mi chiamo Funerale/ e tu, tu ti chiami Nulla/ Il mio nome, sotto il sole, è Francia/ Tornerò con il chiaro/ porterò la liberazione/ porterò la libertà...».
Quando i francesi, nel 1830, intraprendono la conquista dell'Algeria, sono in uno stato dello spirito che predispone a una nuova guerra santa. Anche se la motivazione religiosa non era in primo piano.
Ma l'ostilità alla «falsa religione» impregna tutta la società francese.
Gli avvenimenti della conquista, poi della «pacificazione» della colonia nord-africana, non l'attenueranno. In seguito, lo scontro non è mai veramente cessato. Tutte le generazioni di francesi ne hanno avuto qualche eco: guerra intrapresa da Abd El-Kader (1832-1847), rivolta della Cabilia (1871), lotta contro i Krumiri e istituzione del protettorato sulla Tunisia (1880-1881), conquista del Marocco e istituzione del protettorato su questo paese (1907-1912), rivolta dell'Algeria (1916-1917), guerra del Rif (1924-1926), rivolta e repressione in Algeria (maggio 1945), scontri in Marocco con il sultano e il partito indipendentista Istiqlal (1952-1956), con il Neo-Destour in Tunisia (1952-1954). La guerra d'Algeria rappresenta un elemento supplementare - che diventerà sempre più pesante - nella lunga serie degli scontri tra i popoli della regione e il potere coloniale.
La Francia del razzismo e quella della fraternità Allora, l'islamofobia (12) e il razzismo anti-arabo sono consustanziali alla cultura francese? Sì e no! Non bisogna per nulla dimenticare che, di fronte a questa ostilità manifesta, un'altra parte del paese si è in permanenza opposta. Ci sono sempre stati dei francesi che hanno riconosciuto la maestà della civiltà musulmana, la bellezza delle sue realizzazioni, per osservare senza preconcetti le popolazioni arabe e berbere. Bisogna rileggere Eugène Fromentin (Un été dans le Sahara, Une année dans le Sahel). O questa frase di Lamartine, scritta nel 1833: «bisogna rendere giustizia al culto di Maometto, che ha imposto soltanto due grandi doveri all'uomo: la preghiera e la carità (...) Le due più alte verità di ogni religione». Più avanti, loda l'islam «morale, paziente, rassegnato, caritatevole e tollerante per natura».
Vari francesi, più numerosi di quanto in genere si creda, si sono opposti al razzismo diffuso dell'era dell'apogeo coloniale. Alla resistenza morale al razzismo si è sempre sommata una resistenza politica alla colonizzazione o, almeno, ai suoi «eccessi». Basti ricordare la grande voce di Jaurès, che protesta contro la conquista del Marocco, lo sciopero indetto dal Partito comunista francese e dalla Confederazione generale del lavoro unitaria (Cgtu) contro la guerra del Rif nel 1925, le proteste di Charles-André Julien contro le violenze e le ingiustizie nell'insieme dell'Africa del nord, l'opposizione francese alla guerra d'Algeria...
I giovani musulmani di Francia tentati di cedere alle sirene dell'integralismo, che pensano che il razzismo abbia tendenza a generalizzarsi, scelgono la lotta sbagliata. Ci sono, all'inizio del XXI secolo come nel XIX o nel XX, due France: quella dello scontro e quella della comprensione, quella del razzismo e quella della fraternità. Qualunque cosa se ne pensi, la tendenza storica è all'arretramento della prima - anche se resta importante e degli attacchi di febbre non sono da escludere - e al prevalere della seconda.

note:

* Storico, autore in particolare di "Credo de l'homme blanc", prefazione di Albert Memmi, ed. Complexe, Bruxelles, 2002 e di Nous et moi, grandeurs et servitudes communistes, ed. Tirésias, Parigi, 2003.

(1) Titolo del film di René Vautier sulla guerra d'Algeria, girato nel 1972 e a lungo proibito in Francia.

(2) Alcuni piccoli stati cristiani della penisola iberica partono, dal 718, alla «riconquista» del territorio.

(3) Jean-Henri Roy e Jean Deviosse, La Bataille de Poitiers, Gallimard, Parigi, 1966. Va sottolineato che questi autori prendono chiaramente le distanze dal mito «Poitiers, baluardo della cristianità».

(4) Le Figaro, 24 settembre 2001.

(5) Henri Pirenne, Mahomet et Charlemagne, Alcan, Bruxelles, Nse, 1936.

(6) Manuale di letteratura utilizzato negli anni '60 e '70 dagli allievi dalla prima media alla maturità.

(7) Les Musulmans dans les chansons de geste du Cycle du Roi, 2 volumi, Pubblicazione dell'Università di Provenza, Aix-en-Provence, 1982.

(8) Citato da Henri Pirenne, op.cit.

(9) Les Musulmans dans les chansons de geste..., op.cit.

(10) Mahomet et Charlemagne..., op.cit.

(11) Cfr. «1453», poema scritto nel 1858.

(12) Questo termine, che suscita dibattito, è impiegato qui come rigetto dell'insieme delle pratiche dell'islam (e non come critica della religione).
(Traduzione di A. M. M.)