mercoledì 3 marzo 2004

Wagner, tra sogno e veglia

La Stampa 3.3.04
Wagner, la creatività
si sveglia dormendo
L’ARPEGGIO CHE DA’ L’AVVIO AL CICLO DELL’«ANELLO DEL NIBELUNGO» FU CONCEPITO DAL COMPOSITORE DURANTE IL SONNO. STRETTO LEGAME TRA SOGNO E PENSIERO
di Sandro Cappelletto


UNA traversata da Genova a La Spezia, un mar Ligure inclemente; Richard Wagner - il 5 settembre 1853 - sbarca sfinito, cerca un alloggio comodo, trova soltanto una locanda, non riesce a dormire, inizia una lunga camminata nei boschi, che lo strema. Torna alla locanda, si allunga su un divano "duro e scomodo", entra in uno stato di dormiveglia e sente, dentro di sé, "l'accordo di mi bemolle maggiore risonante e ondeggiante in arpeggi ininterrotti" che darà l’avvio al ciclo dell'"Anello del Nibelungo". Torna a Genova, si rimette in viaggio verso Zurigo, inizia a comporre. Racconta subito l'episodio in una lettera alla prima moglie Minna; anni dopo, dettando alla seconda moglie Cosima la "Mia vita", così ricorda quel pomeriggio: «Riconobbi che il motivo del preludio dell'Oro del Reno mi si era a un tratto rivelato, quale da tempo avevo in mente, senza che però fino allora fossi riuscito a dargli forma». «Il momento dell'intuizione creativa è uno degli eventi più misteriosi della natura umana, soprattutto quando avviene nel sonno», scriveva Andrea Albini all'inizio dell'articolo dedicato al rapporto tra stato onirico e creatività, apparso l'11 febbraio su «Tuttoscienze». L'episodio narrato da Wagner ribadisce la necessità del rapporto tra sonno, sogno e formalizzazione del gesto creativo che Marcel Proust porrà a fondamento della sua "Recherche". Anche in questo caso la dichiarazione dell'autore è posta nelle prime righe dell'opera, come un indispensabile passo d'avvio: «Un uomo che dorme tiene in cerchio attorno a lui il filo delle ore, l'ordine degli anni e dei mondi. Lo consulta con chiarezza svegliandosi e in un attimo vi legge il punto della terra che occupa, il tempo che è fluito (écoulé) fino al suo sogno». Fluire: Proust sceglie un verbo «acquatico» per indicare il transitare del tempo. La scena iniziale della Tetralogia wagneriana è ambientata sulle rive del Reno ed è concepita come un'immagine della sacralità intatta di quelle profondità arcaiche. Il motivo del Reno ritornerà più volte durante la lunga narrazione e alla fine del percorso, come un compiersi ciclico. E' l'acqua, e le immagini simboliche e reali che ci consente, l'elemento indispensabile all'attività onirica e alle sue capacità di associazione? La riflessione di Wagner stabilisce un nesso diretto tra rivelazione durante il sogno e successiva organizzazione di quella intuizione. L'intero sistema creativo, musicale e linguistico, del compositore si presenta in un'unità inseparabile tra la fase onirica e quella razionale del pensiero. Non c'è una sola scena dell'"Anello del Nibelungo" in cui qualche personaggio non sogni, non dorma, non si risvegli, non ricordi, non associ il presente al passato, non immagini, non evochi. La sequenza più evidente - straordinaria nella sua chiarezza, mezzo secolo prima de "L'interpretazione dei sogni" di Sigmund Freud - accade nella prima scena del terzo atto di "Sigfrido"; Wotan, il signore degli dei, ma ora un uomo del tutto smarrito, privato dell'oro e dell'anello, ansioso di recuperarli perché crede garantiscano il potere e la ricchezza, privato anche dell'amore della prediletta figlia Brunilde, va a trovare Erda, la grande madre degli dei. La chiama a lungo, la invoca come "donna eterna" che tutto sa, fino a quando il suo canto sveglia la dea. "Io ti faccio uscire dal sonno - la apostrofa Wotan - perché tu possa accrescere la mia conoscenza". Erda subito replica all'accusa di dormire sempre quando c'è bisogno di lei: "Mein Schlaf ist Träumen - mein Traümen ist Sinnen - mein Sinnen Walten des Wissens" (Il mio dormire è sognare, il mio sognare pensare, il mio pensare è governare il sapere). Il rapporto tra sonno, sogno e conoscenza diventa esplicito anche nella musica: esattamente su queste parole l'orchestra ripropone, non in primo piano, ma come sottotraccia, stratificato, il tema iniziale del Reno, del fluire dell'acqua. Chi può capire lo ascolti, sembra dirci Wagner. Erda e Wotan non si intendono: lui vuole certezze per agire, lei parla abitando ormai le distanze del "sonno eterno". Wotan la rinnega, si allontana da lei per sempre e da quel momento si perde, si condanna definitivamente alla passività del proprio agire. Il segnale è chiaro: a chi non è in grado di intendere l'inconscio, sfugge il senso del proprio operare. Come la musica, anche la lingua di Wagner risponde all'esigenza di non separare il momento del sapere consapevole dalle associazioni meno rigide, ma non meno illuminanti, del pensiero che immagina: i suoi libretti - nessuna informazione, nessun documento ci autorizza a pensare che siano nati in fase onirica - sono un "panta rei" della parola che suona. I primi versi dell’"Anello" propongono una serie di vocali, nel predominio della "a", e di consonanti liquide e sfuggenti: "Weia, waga, Walhalla". Il significato di questi “canti” è nel loro essere un'invocazione rituale, insistendo su quella doppia W che nella sua stessa immagine grafica vuole ricordare l'andamento di una Welle, di un'onda. Gaston Bachelard, in «L'acqua e i sogni. Saggio sull'immaginazione della materia» scrive che la vocale "a" è il fonema della creazione attraverso l'acqua (ancora l'acqua!): la a designa una materia primigenia, è la lettera iniziale del poema universale. E' la lettera del riposo dell'anima nella mistica tibetana". E' la vocale prediletta dall'inconscio che crea? Wagner sognava spesso, e ricorrente era un incubo: non riuscire a dirigere la Nona di Beethoven, doversi fermare un attimo prima di salire sul podio, mentre l'orchestra era già seduta, pronta a iniziare, e il pubblico non aspettava che lui. Il sogno gli consentiva di creare, e solo il sogno era in grado di porre un limite al suo smisurato senso di onnipotenza. Il suo sognare significava davvero governare il sapere.