martedì 13 aprile 2004

«a che serve il sesso?»

Corriere della Sera 13.4.04
Così è possibile la «manutenzione» dell’elica della vita che va trasmessa integra
Il sesso? Serve anche a riparare il nostro Dna
di VITTORIO SGARAMELLA


A che serve il sesso? Per la riproduzione (e per il piacere) di chi lo pratica, si dice. Si sa che possono farne a meno quasi tutti gli organismi inferiori, molte piante e su 43 mila specie note di vertebrati solo pochi pesci, rettili, anfibi; ma non i mammiferi. Perché? Due le spiegazioni a confronto: la prima che il sesso serve a rimescolare i geni e favorire l’evoluzione e la salvaguardia della specie, la seconda - più recente - è quella che vede il sesso come momento di «riparazione» del Dna. Secondo il modello finora accettato, quello di Lucrezio-Weismann-Fisher-Muller, la riproduzione per via sessuale favorisce il rimescolamento dei geni e quindi delle caratteristiche che ne sono codificate, cioè aumenta la biodiversità (la possibilità di «rimescolare» i geni in modo da annullare i rischi letali per la specie). In altri termini, i cambiamenti ambientali sfavorevoli ai genitori potrebbero non esserlo più per alcuni dei figli selezionati in base al rimescolamento dei geni. Sarebbe questo il segreto dell’evoluzione?
Oggi però prevale un secondo modello: intuito da Platone, ripreso da Freud, sviluppato da Maynard Smith e divulgato da Michod in Eros and evolution propone che il sesso serve a... riparare il Dna (gli effetti sull’evoluzione ci sono tutti, ma indiretti). Si tratta di un «tagliando» al Dna, tale da consentire una «sana» riproduzione, che avviene ogni volta che entrano in campo le cellule sessuali (i gameti). Ad ogni atto sessuale si «riprogramma» il Dna, si sana, si ripara rispetto ai rischi ambientali e, se tutto funziona, nascerà un figlio con un Dna più «forte». Con questo nuovo modello si sanerebbero diversi paradossi, come la diffusione del sesso contro i suoi costi (la ricerca del partner è solo l’inizio!); l’insensatezza di scompaginare genomi (Dna) di successo in omaggio a biodiversificazioni (combinazioni di geni diverse e vincenti) vantaggiose in nuovi ambienti tanto ipotetici quanto generazionalmente lontani; la continuità evolutiva delle specie asessuate contro la discontinuità delle sessuate (persino Darwin era turbato dagli «anelli mancanti»).
Anni fa il Nobel Jacob notò che la natura fa bricolage, ma più che riparare, ricicla. L’uomo è fatto da miliardi di cellule, differenziate in circa 200 tipi riconducibili a due linee: la somatica (sangue, cuore, cervello, pelle, eccetera) e la sessuale (gameti: spermatozoi nei maschi, ovuli nelle femmine). Le cellule somatiche servono alla vita dell’organismo, le sessuali (i gameti) alla sua riproduzione. Ogni cellula abbonda di proteine, Rna, etc, ma ha un unico Dna: di norma dopo l’avvio si mette a riposo e fa lavorare le sue copie di scorta che ne assicurano le funzioni. Il Dna è a termine e dura al più una vita, almeno nelle cellule somatiche.
Nei gameti invece passa da una generazione all’altra: è perpetuo.
Il Dna di ogni cellula umana contiene tre miliardi di «lettere» combinate in parole diverse: quattro basi azotate, A, C, G e T, in un’infinità di combinazioni diverse. Sono tutti siti sensibili: radiazioni e sostanze chimiche ne colpiscono un migliaio al giorno. Danni, o alterazioni di struttura, e mutazioni, o alterazioni di sequenza, s’accumulano, causano malattie genetiche e accelerano l’invecchiamento. Sbagli che la cellula somatica ripara senza strafare, se sono pochi. Se sono tanti, e ripararli crea scompiglio, attiva un programma di suicidio cellulare, ma l’organismo si salva: anche le cellule abbondano. Se sono troppi gli sbagli, è il caos: salta pure il programma di suicidio e si rischia il cancro.
Ben altra la cura al Dna nella linea sessuale. Non per amore della discendenza, ma solo perché altrimenti il Dna non si replica. Grazie al sesso infatti il Dna gratifica il suo narcisismo: si perpetua, resta discontinuo e serve l’evoluzione. In genere le cellule subordinano la loro vita alla replicazione del Dna, possibile solo se è integro: ma per mantenerlo tale ci vuole tempo e energie. Ecco perché la natura ne ha reso la manutenzione così allettante che per goderne c’è chi è pronto a morire: di «infortuni sul lavoro» sono vittime la mantide religiosa, il topino col marsupio, il cactus centenario; l’uomo non si ferma neppure davanti all’Aids. La nostra cultura l’ha sublimata in un ideale (amore) e svilita in un’ossessione (sesso) nel cui nome si compiono mirabilia e crimini.
Qui possiamo solo riassumere la logica del ruolo del sesso nella manutenzione del Dna. Per correggere un testo occorre una copia buona di scorta: meglio se, come in una pellicola cinematografica, c’è anche un negativo. Il Dna è fatto da due eliche intrecciate: una è il negativo (o il complemento) dell’altra. La sequenza di basi di un’elica, determina quella dell’altra: gli sbagli di una sono corretti per confronto con l’altra. Qui scatta la prima riparazione.
Le cellule somatiche hanno due doppie eliche di Dna, una materna e una paterna. Questo permette di ripararle tutte e due, purché i danni siano diversi: nella seconda riparazione la doppia elica giusta fa da back-up alla sbagliata.
Ma ai gameti (le cellule sessuali) non basta. Hanno solo una doppia elica di Dna e devono passarla ai discendenti: va riparata al meglio. E così è, grazie a un terzo tagliando che le cellule progenitrici staccano prima di diventare gameti: anch’esse, come le somatiche, hanno due doppie eliche, che però replicano non una ma due volte. Questo evidenzia tutti gli sbagli presenti su ogni singola elica e ne ottimizza la correzione. Che non opera a pioggia: un capolavoro d’ingegneria riparativa allinea le doppie eliche materna e paterna e accumula le parti giuste in una, quelle sbagliate nell’altra. Le nuove doppie eliche, miste materne/paterne, finiscono ciascuna in un gamete: quella meglio riparata avrà una maggiore probabilità di successo nella fecondazione naturale. I gameti si mobilitano a milioni e anche se revisione (specie su ovuli) e selezione (di spermatozoi) sono severe, su cento nascite registriamo quattrocento aborti e quattro malformazioni congenite.
In vitro il rischio sale: c’è revisione, non selezione. E ancor di più con la clonazione: manca anche la revisione. Sulla riproduzione resta molto da imparare: ad esempio perché è facile clonare piante, ma non animali. «Conoscenza è potenza», ammoniva F. Bacone.
Queste transazioni spiegano anche perché nei figli ricompaiono tratti presenti nei nonni e non nei genitori (e viceversa). Lo notò Lucrezio nel De rerum natura , ma forse fuorviato dalla sua vena poetica mancò il modello giusto. Peccato, perché l’aveva già abbozzato quattro secoli prima Platone nel Simposio Il sesso è tabù e lo si esorcizza in favole. Dopo cavoli e cicogne archiviamo lotta a parassiti, biodiversità, etc, come sottoprodotti del sesso: della vita toccano l’hardware (cellule, organismi) più che il software (Dna).
Infine: perché il Dna? Se siamo strumenti di un disegno divino, amen. Alcuni cercano ragioni scientifiche: il Nobel Monod, e prima Democrito, ci vedono figli di caso e necessità. Si sa ancora ben poco della termodinamica di un processo che mira essenzialmente al Dna.
Ma su Marte, o altrove, con chimica e fisica simili alle nostre, c’è una molecola così egoista da asservire la biosfera e bella da rispettare la sezione aurea?