domenica 9 maggio 2004

Emanuele Severino, la tortura, il Logos occidentale

Corriere della Sera 9.5.04
IL FILOSOFO SEVERINO
«In quegli atti torna il peccato originale»
«Quando avremo finalmente il coraggio di guardare verso il fondo dell’abisso?»

Il filosofo Emanuele Severino commenta le foto delle torture: «Quello che ci indigna è l’immagine dell’uomo ridotto a un animale sofferente o fatto cosa, un pezzo di carne... Ma non basta l’orrore per rifiutarlo. È una violenza puramente occidentale che vediamo all’opera, una sorta di "peccato originale".
In queste foto abbiamo una volontà di annientamento del prigioniero: si vuol fare diventare niente la sua dignità. La violenza raggiunge il colmo della sua oscenità quando si unisce al più radicale degli errori: il pensare che una cosa sia altro da sé. E che possa infine diventare niente».
intervista di Gian Guido Vecchi


«Quando avremo finalmente il coraggio di guardare verso il fondo dell’abisso?». Emanuele Severino parla quasi tra sé e fissa qualcosa che se non è il fondo in qualche modo ci si avvicina, Lynndie England che tira il guinzaglio legato al collo di un iracheno, il sorriso della soldatessa mentre sta in posa dietro a un groviglio di braccia, gambe, corpi nudi. «Quando l’ho vista per la prima volta ho sperato che fosse soltanto un sorriso ebete, il ghigno di chi non capisce la portata di ciò che accade. Quello che ci indigna, in queste foto, è l’immagine dell’uomo ridotto a un animale sofferente o fatto cosa, un pezzo di carne, un mucchio d’ossa, sangue, urina. Però dissento da chi dice: basta l’orrore per rifiutarlo. No, l’orrore non basta». L’esercizio del pensiero, il lógos . Il più celebrato tra i filosofi italiani fa una pausa e sillaba: «È una violenza puramente occidentale che vediamo all’opera. E sarebbe un’ingenuità altrettanto colpevole addossare tutta la colpa a questi soldati. Tarati e sadici, va bene, è chiaro che vadano puniti. Ma ci facilita il compito pensare che con l’ergastolo o la condanna a morte il problema sia risolto. Non per nulla le grandi religioni lo avvertono, seppure in forma mitica: c’è un peccato originale che si fa sentire dovunque».
E qual è il peccato originale, professore?
«Vede, in queste foto abbiamo una volontà di annientamento del prigioniero: si vuol fare diventare niente la sua dignità. Pensi alla distruzione che si esercitava sull’uomo nei campi di sterminio nazisti: identità, igiene personale, fame, l’annichilimento progressivo dell’altro fino alla morte, finché l’uomo diventa niente . Ecco, la violenza raggiunge il colmo della sua oscenità quando si unisce al più radicale degli errori: il pensare che una cosa sia altro da sé. E che possa infine diventare niente».
Tutto questo è occidentale?
«Sta alle origini della storia ma anche della preistoria dell’Occidente. La radice della volontà che le cose diventino altro, si mostra nel fatto che gli uomini credono di poter sopravvivere mangiando gli dei, facendo diventare identici a se stessi quegli altri che sono gli dei. La manducazione del dio è una costante in tutte le religioni. Ma lo si vede anche nell’omicidio, la storia dell’uomo inizia da Caino e Abele, no? Chi uccide vuole impadronirsi di quel vuoto lasciato dall’altro, assumerne la potenza. Non per nulla le popolazioni primitive si cibano del nemico».
Ma questo non riguarda solo l’Occidente...
«Questa era la preistoria. Con il pensiero greco si aggrava la volontà di far diventare le cose altro da sé: addirittura le si vuol fare diventare niente. Nel Teeteto di Platone si dice: nemmeno chi è pazzo, e nemmeno in sogno, ha il coraggio di dire sul serio a se stesso che il due è uno, che il bove è cavallo... E invece si comincia a pensare che le cose siano l’assolutamente altro da sé. È questa la follia radicale. Noi ci meravigliamo dei comportamenti abnormi, ma questo atteggiamento distruttivo e radicalmente errante non è una deviazione dall’essenza più profonda dal nostro modo di pensare, non è una patologia rispetto alla normalità dell’uomo occidentale: è la radice violenta di ciò che diciamo razionalità, bene, sapienza, bontà... Tutte le categorie positive che elogiamo crescono come rose terribili da un letame ancora più terribile».
Samuel Huntington diceva: non possiamo esportare i nostri valori se vi abdichiamo...
«Nell’indignazione generale c’è una sorta di malafede. Anche il comandamento "non uccidere" ha nella propria anima l’omicidio perché concepisce l’uomo come qualcosa di per sé annientabile».
Ma perché «malafede»?
«La malafede cui mi riferisco io è una inconsapevolezza che dimora nell’inconscio dell’Occidente e agisce con la stessa potenza degli istinti. Non è la malafede consapevole, l’ipocrisia da sepolcro imbiancato. È inconsapevole. Ci sono movimenti nobili che intendono salvare l’uomo come la Chiesa cattolica, ma le grandi forme di nobiltà sono minacciate e destinate al fallimento perché nel sottosuolo hanno quella malafede inconscia che consiste nel pensare l’uomo come un nulla».
Ne I fratelli Karamazov , Ivan parla ad Alësa della sofferenza innocente, le «lacrime irriscattabili». Per le vittime non c’è redenzione?
«Come eterni siamo destinati alla gioia. Anche i bambini di Dostoevskij lo sono».
E intanto che si fa?
«È chiaro che preferisco vivere in America piuttosto che nell’Iraq di Saddam, in democrazia e non nel totalitarismo, con Gesù invece che con Hitler. Ma finché non riusciremo a capire che le grandi opposizioni sono sottese da questo errore-orrore di fondo - il nichilismo -, il nostro tentativo di salvare l’uomo è destinato a fallire. Avremo più o meno potato le fronde, ma non il tronco né le radici dell’albero della malvagità».