domenica 9 maggio 2004

Pietro Ingrao

Corriere della Sera 9.5.04

ROMA - Sul palco il leader degli «ultrasinistri», come Pietro Ingrao chiama con affetto i compagni di strada di Fausto Bertinotti, il segretario di Rifondazione sale da presidente in pectore.

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PUGNO ALZATO -Ingrao, classe 1915, entra col pugno alzato, schiena dritta e piccoli passi scanditi da una lunga standing ovation . «Che un uomo con la sua storia decida di essere coinvolto in questa impresa è un fatto enorme» dirà emozionato Bertinotti. Della Quercia di Fassino il grande vecchio del comunismo italiano dice di non condividere nulla, mentre tutto (tranne la tentazione di andare al governo con Prodi) apprezza del Bertinotti di oggi. A cominciare dalla «necessaria» rottura con lo stalinismo.
«Veniamo da una storia grande e terribile, non possiamo andare verso il futuro senza una rottura chiara e irrevocabile con ciò che ha impedito alla nostra storia di essere, per tanta parte dell’umanità, una storia di liberazione» scandisce Bertinotti nel passaggio più applaudito.
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Corriere della Sera 9.5.04
E Ingrao: il comunismo? Non è solo storia, riguarda il futuro

«Mao diceva che la nostra vittoria avrebbe causato milioni di morti»
«Castro? Mai piaciuto. All’Avana, pure gli stabilimenti balneari erano dello Stato. Mi appariva così assurdo, il comunismo dei bagnini. E delle condanne a morte».
Incontro con Pietro Ingrao, 89 anni, al congresso di fondazione della «Sinistra europea»
intervista di Aldo Cazzullo


Il delegato slovacco è in maglietta, il boemo in camicia rossa. Pietro Ingrao ha spessi calzettoni grigi, devono avergli detto di coprirsi bene vista la giornata incerta. Comunisti nuovi e antichi di 16 Paesi fondano alla Domus pacis il partito della Sinistra europea e ne fanno presidente Bertinotti, insieme con pacifisti, cattolici, no global: un partito «né marginale né residuale», che non sia ex di nulla, ancorato a una visione romantica del comunismo che non è stato ma forse sarà. Ingrao è venuto per questo. «Per me comunismo è una parola politica sino a un certo punto. Non riguarda solo la storia ma l’avvenire. È la speranza di un mondo migliore, che non mi ha mai abbandonato e come vede muove ancora molta gente». Ingrao è qui perché rivendica l’interpretazione movimentista del comunismo, e un poco anche quella confusionaria (a guardarla dall’esterno ovviamente). Si riparte da lontano, molto da lontano. Bertinotti condanna lo stalinismo, applaudono tutti anche i perplessi come i delegati boemi, applaude pure Ingrao. Ma non avevate già risolto con il XX Congresso del Pcus, 48 anni fa? «Lo stalinismo è stato un errore così grande che è bene ribadirne il rigetto. Io stesso ho riconosciuto lo sbaglio dopo qualche tempo, ma le cose non erano così semplici. La figura di Stalin non ha un solo volto. Io ho partecipato dell’emozione per la sua morte, perché Stalin era il vincitore del nazismo, l’uomo che aveva preso Berlino. Non ho saputo rompere in tempo, e ora l’età mi restituisce il peso del più grande errore della mia vita. Ma fu un errore diffuso, Togliatti ad esempio era un grande ammiratore di Stalin, e Krusciov ci rimproverò per questo con violenza».
L’alleanza europea della sinistra antagonista appare a Bertinotti l’anticipo di quanto potrà accadere in Italia: Rifondazione, verdi, cossuttiani (assenti) e sinistra Ds (rappresentata dal portavoce Mussi) uniti per contare di più nell’alleanza con Prodi. «Ma sarà una trattativa molto, molto difficile - profetizza Ingrao -. Mi sembrano posizioni così distanti. Io mi trovo bene qui tra gli ultrasinistri; Fassino non so. E anche D’Alema mi pare molto cambiato. L’ho conosciuto a Pisa quando organizzava le lotte del '68, era un buon comunista, figlio di un compagno, ma ora mi sembra piuttosto un centrista. Eppure quando Occhetto annunciò che avrebbe cambiato nome al partito, mentre io ero in Spagna a seppellire la Ibarruri, ricordo che D’Alema espresse le sue giuste perplessità». Chi le piace allora? Castro? «Di Castro ho un’opinione niente affatto buona, e non da ora. Quando andò al potere passai un mese a Cuba, e non mi piacque. Mancava, come dire...». La libertà? «Libertà è una parola grossa. Diciamo che mancava l’articolazione, la differenza. Una voce che non fosse la sua. I comizi li faceva solo lui: ore e ore da solo sul palco. Per riprenderci andavamo a fare il bagno, nelle conche sulla spiaggia dell’Avana. Chiedevo: di chi sono questi stabilimenti? Dello Stato, mi rispondevano. Mi appariva così assurdo. Il comunismo non poteva essere lo Stato che fa il bagnino. Tantomeno lo Stato che condanna a morte».
Tutto quanto appare forse un po’ tardivo, l’autocritica, il rimpianto, l’altra possibilità. Si dicono comunisti anche i cinesi, il primo ministro è qui a Roma. «Ma il loro è un centralismo soffocante» dice Ingrao. Mao invece... «Lo incontrai per la prima volta nel novembre del 1957, dopo il XX congresso e prima della rottura tra sovietici e cinesi: fu l’ultima grande riunione dell’Internazionale comunista. Mao venne a trovare Togliatti e me nella dacia dove alloggiavamo. Era un uomo di grande suggestione, però disse cose terribili: il comunismo vincerà, al prezzo di centinaia di milioni di morti. Mi parve eccessivo. Per fortuna non è andata così». I morti sono stati meno, e il comunismo non ha vinto. «Ma non mi pare che il mondo abbia sconfitto la barbarie. Mi hanno impressionato le immagini della tortura in Iraq. Mi sono ricordato che quando cospiravamo contro il fascismo la nostra paura più grande erano gli interrogatori violenti. Poi arrivarono i nazisti. Via Tasso. La pensione Iaccarino. Anche loro puntavano non solo a far male ai corpi, ma a umiliare il prigioniero, a negarne l’umanità. Ricordo un compagno di 19 anni che si impiccò in carcere per timore della tortura». Furono gli americani a mettere fine a quell’orrore, però. Come si possono accostare ai nazisti? Bush sarà a Roma il 4 giugno a commemorarne la liberazione, Bertinotti annuncia che il partito si unirà alla protesta. «E farà bene. La memoria non è mai separata dal presente. Bush è il capo dell’impero e io non sono nulla, ma se potessi gli chiederei solo: come è stato possibile?».
I delegati dell’Est sono giovanissimi. I palestinesi non sono potuti venire tranne uno, che piange sul palco. Ingrao compirà novant’anni il prossimo 30 marzo. Ha imparato da poco ad andare in motorino, però stavolta il partito gli ha mandato un’auto. «Che vuole, è la vanità umana. Finire sui giornali. Io ho cominciato da giornalista, il 26 luglio del ’43. Quand’ero direttore dell’Unità inventai la diffusione volontaria: anziché al mare, i militanti andavano con le copie sotto il braccio a farsi insultare nei condomini borghesi. L’Unità di oggi non mi dispiace, è sciolta, vivace, però i confronti mi deprimono. Sono diventato deputato nel ’48, ho presieduto la Camera negli anni di piombo, ma non c’è mai stato tra gli schieramenti un clima cupo e chiuso come ora. Gli anni dello scelbismo sono stati durissimi, la polizia sparava sugli operai, però in Parlamento si parlava. Se il mattino accadeva un fatto importante, la sera De Gasperi o il ministro venivano a riferire. Da quanto tempo si attende che Berlusconi spieghi in aula cosa farà in Iraq? Delle torture avete discusso?». Giordano, capogruppo di Rifondazione, fa segno di no.
In platea c'è un altro grande vecchio, Mario Monicelli. Curzi, Manisco, Ritanna Armeni. Israeliani e iracheni i più applauditi. Freccero. Aderiscono la Pds partito erede della Sed di Honecker e la rete Lilliput, il Pcf con la leader Marie-Georges Buffet e la teologa Adriana Zarri. Finlandesi, ciprioti e due delegazioni venezuelane. Agnoletto in giacca e cravatta. Lo slogan è sessantottino, «ce n’est qu’un debut» , ma è un inizio velato di malinconia, a giudicare dai libri sulla bancarella: Euro kaputt ; Game over . La sfida al G-8 ; La fucilazione dell’alpino Ortis ; Il pensionato furioso ; Rifondare è difficile ; La strage infinita . L’Indonesia dal pogrom anticomunista al genocidio di Timor Est ; Lamento in morte di Carlo Giuliani . Marco Ferrando leader dell’opposizione trotzkista distribuisce in proprio la sua opera, L’altra Rifondazione. Anche Ingrao ha la cravatta, un gilet azzurro, una rasatura affrettata che gli ha lasciato qualche ciuffo di peli bianchi. «Buon viaggio compagne e compagni» chiude il neopresidente europeo Bertinotti.
«Ecco, il movimento è importante - chiosa Ingrao -. Questa operazione è necessaria, per rispetto del passato e per preparare l’Europa a modo nostro. Il comunismo per me è speranza, è futuro, perché io sono comunista. Spero anche Bertinotti». Giordano fa segno di sì, va a sapere se è vero.