domenica 20 giugno 2004

«il modello di sapere razionale ha neutralizzato l'altro da sè»

La Stampa TuttoLibri 19.6.04
Le emozioni fanno bene alla ragione
Come dimostrano l’amore e il dolore, formano i nostri giudizi sul mondo, non c’è logos senza pathos Martha Nussbaum intreccia filosofia e letteratura, Aristotele e gli Stoici con Dante, Proust e Joyce
di Marco Vozza


TRA ragione e passione esiste un disaccordo antico, di cui la filosofia è la principale responsabile. Ripercorrere la storia del pensiero filosofico - almeno da Platone a Kant - significa innanzitutto cogliere le differenti modalità mediante le quali il modello di sapere razionale ha neutralizzato l'altro da sè, individuato nel plesso di emozioni, desideri, affetti e passioni, che agiscono nella vita degli individui determinandone prospettive, valutazioni e decisioni. Il modello aristotelico che utilizza eticamente la forza delle passioni, modificandole razionalmente, che accoglie la ricchezza della struttura cognitiva insita nelle emozioni e nei sentimenti, non è stato certamente quello vincente nella tradizione del pensiero filosofico. Ad esso si contrappone il modello stoico, secondo il quale le passioni vanno estirpate alla radice, modello repressivo la cui influenza sarà ancora avvertita nei testi di Cartesio e di Kant. Alla luce del paradigma normativo introdotto dagli Stoici, ogni credenza espressa attraverso un contenuto emotivo o passionale è da considerarsi falsa o irrazionale. Per gli Stoici le passioni sono giudizi falsi, erronee valutazioni di un anima turbata, da cui il sapiente è immune. Questa istanza logocentrica presuppone una nuova accezione dell'identità della filosofia, concepita in età ellenistica come medicina dell'anima, terapia del desiderio, cura delle malattie causate da false opinioni, così come il sapere medico cerca di lenire quelle causate dal corpo. Ora la filosofia è diventata pharmakon, rimedio, tecnica di ripristino, correttivo terapeutico nei confronti dei dettami naturali affermati dai desideri e dalle passioni. Mentre Aristotele e i suoi seguaci peripatetici si accontentano di moderare le passioni, gli Stoici sostengono che esse vanno risolutamente bandite da quel dominio razionale della saggezza che richiede assoluta imperturbabilità, perenne apathéia, assenza di dolore ma anche privazione affettiva: ogni passione è colpevole di oltraggio alla ragione, di corruzione della verità, di pervertimento del bene, di deviazione dalla retta via; non esistono pertanto passioni moderate, compatibili con l'esercizio della virtù razionale. Le passioni sono la manifestazione di un'astuzia della natura da combattere mediante l'astuzia della ragione; in quanto medicina per l'anima, analgesico per lenire il dolore dell'esistenza, per debellarne la contingenza, la filosofia, piuttosto che assecondare, deve contrastare la natura, deve negare legittimità ai suoi decreti spontanei, diffidando di ogni forma di esperienza sensibile e immediata. Per gli Stoici e per tutti i fautori della neutralizzazione epistemica delle passioni, il logos deve emergere dalle rovine del pathos, la ragione deve trionfare sulla follìa conseguente all'assenso accordato alle impressioni sensibili, all'eccessivo interesse rivolto al mondo esterno, al ritmo delle sue precarie fluttuazioni, ai dettami instabili della carne. Martha Nussbaum ci ha spiegato esemplarmente queste strategie filosofiche di immunizzazione del logos nel volume intitolato Terapia del desiderio (tradotto lodevolmente qualche anno fa da Vita e Pensiero). Nel ricostruire la dottrina ellenistica, l'autrice suggeriva già una prospettiva meno schematica, muovendo dal dubbio che l'ideale di autoderminazione della ragione richieda l'estinzione delle passioni, che il conseguimento dell'eudaimonía implichi il distacco dal mondo; si potrebbe invece immaginare una nozione più estesa di razionalità pratica capace di accogliere sentimenti quali l'amore, la simpatia, lo stupore e la sofferenza, una concezione della verità in cui comprendere il significato di una proposizione non sia più una fredda operazione dell'intelletto analitico bensì un evento che mobiliti una riserva di passioni, anche quelle dolorose, al fine di coinvolgere tutto il proprio essere e predisporlo ad un eventuale cambiamento. Se è dal mondo della vita che scaturiscono e traggono significato le nostre strutture intellettuali, non vi è logos senza pathos, non vi è ragione che non sia alimentata dalla passione, dall'alterità dell'emozione, dalla contingenza dell'affetto, dalla vibrazione del piacere, dalla contrazione del dolore, istanze le quali - lungi dall'ostacolarne la manifestazione - costituiscono la sua irrinunciabile soluzione nutritizia. Queste premesse sono ora sviluppate in modo autonomo in un libro, o meglio in un'enciclopedia di 850 pagine, che costituisce il più importante contributo contemporaneo alla teoria delle emozioni: L'intelligenza delle emozioni (tuttavia, nell'originale del 2001: Upheavals of Thought. The Intelligence of Emotions). Si dovrà premettere che la filosofia degli ultimi due secoli - almeno da Nietzsche in poi - ha operato una cospicua valorizzazione pragmatica delle passioni e, più recentemente, si è assistito al significativo riconoscimento da parte delle neuroscienze del ruolo delle emozioni nella costruzione dei modelli di razionalità (si pensi agli studi di Damasio); ma l'intento della Nussbaum è ancor più ambizioso, volendo dimostrare come le emozioni siano un dispositivo di pensiero capace di conoscere e valutare gli eventi del mondo esterno, che consideriamo rilevanti per il nostro benessere, per la nostra prosperità personale. Pertanto, non soltanto pensieri ed emozioni cooperano nell'attività cognitiva, ma - ben più radicalmente - le emozioni sono pensieri, attive in particolar modo laddove il soggetto scopre la propria passività nei confronti del mondo esterno, la propria ingovernabile vulnerabilità: l'esperienza del dolore e l'elaborazione del lutto sono a tal proposito decisive, come mostra l'autrice analizzando le proprie reazioni di fronte alla malattia e alla morte della madre. Le emozioni sono dunque forme di giudizio valutativo nei confronti di eventi incontrollabili dall'agente, concernenti per lo più il nostro essere in relazione con altri. Con un termine fuorviante perché non privo di ambiguità, Nussbaum considera neostoica la sua teoria delle emozioni, in quanto condivide il presupposto che il logos non può essere partecipe di elementi non-cognitivi, concezione emendata dal falso assunto che le emozioni siano giudizi fallaci. Le emozioni sono sensibili alla configurazione data del mondo esterno, esprimono la consapevolezza dell'autonomia degli eventi contingenti e registrano le modificazioni che essi apportano alla compagine del Sé, ai progetti e alle prospettive coltivate in vista di una auspicabile eudaimonìa, individuale e collettiva. Siamo innanzitutto creature percettive, oltre che inquiete, esposte ad eventi e situazioni mutevoli, che spesso ci feriscono e scardinano il nostro involucro narcisistico, il quale diventa una zavorra quando le nostre emozioni riguardano l'esperienza dell'amore, a cui Nussbaum dedica trecento pagine di stupefacente acume analitico, scegliendo la letteratura - da Dante a Joyce - come terreno elettivo di indagine. Questo libro, che annovera Proust tra gli autori più citati (insieme alla stessa autrice che, in quanto a narcisismo, non ha nulla da invidiare a certi suoi accreditati colleghi), si conclude con un suggestivo tentativo di dimostrare l'improbabile compatibilità dell'amore con l'idea di una vita eticamente accettabile. Notoriamente, Eros non è democratico né liberale e tantomeno persegue il pluralismo o l'interesse collettivo, ma è comunque possibile ipotizzare (favoleggiare?) una riforma etica dell'amore che tuteli l'individualità dell'altro, promuova la compassione e rispetti il requisito di reciprocità. Se abbandonassimo sconsiderati desideri d'onnipotenza, gelosie e prevaricazioni, solipsismi e narcisismi, forse potremmo finalmente fare esperienza di una vita affettivamente connotata dal disinteresse. Ma tutto ciò non compete ad Eros, semmai evoca Philìa.