sabato 10 luglio 2004

Antonio Gramsci

La Stampa 10.7.04
1911-1922: TORNANO GLI SCRITTI TORINESI DI ANTONIO GRAMSCI
Avanti popolo c’è da studiare
Socialismo e fabbriche, donne e letteratura
l’unico obiettivo è istruire i lavoratori:
«Abbiamo bisogno della vostra intelligenza»
di Angelo d’Orsi


SOCIALISTA che impartisce lezioni di liberalismo ai liberali, marxista umanista e antidogmatico, leader nemico della retorica e politico concreto, persona attenta agli altri e ispiratrice discreta del loro agire, Gramsci alla fine della guerra - tra i 27 anni e i 28 anni - è un dirigente socialista pienamente riconosciuto a livello locale; ma a lui si incomincia a guardare con attenzione anche al di fuori di Torino. Egli appare diversissimo tanto dai politici di professione quanto dagli intellettuali canonici (accademici o militanti), sia dagli imbonitori di partito sia dagli uomini degli apparati sindacali. Parla in modo calmo, con una piccola voce che esce dal suo corpo malformato, provato dalla malattia; e tuttavia quella voce flebile e quella bassa statura non gli impediscono di imporsi. Anche per la capacità di affrontare temi che all’epoca sono assai poco usuali nella propaganda socialista: per esempio la questione femminile. Ecco la testimonianza di Rita Montagnana: «Ricordo la prima conferenza di Gramsci al circolo del Borgo (San Paolo) a Torino: parlava lentamente, senza enfasi retorica, senza parole grosse. Incominciò a spiegarci perché in Italia come in Spagna - più che in altri paesi d’Europa - anche la donna lavoratrice fosse arretrata e lontana dalla vita politica e sociale. Ci parlò della donna del Meridione che, per le sue condizioni di vita, poteva essere paragonata a quella musulmana. Ragioni di sviluppo economico e l’influenza della religione opponevano tante difficoltà a che le donne italiane venissero alla lotta e all’organizzazione di classe e al movimento rivoluzionario. Ci parlò della donna della piccola e media borghesia considerata generalmente dal marito come un gingillo e ricordo che citò il dramma di Ibsen Casa di bambola tratteggiando in modo semplice e concreto la miseria morale delle donne, anche di quelle borghesi, in regime capitalistico. Gramsci trasse poi dalla sua analisi la conclusione che era necessario creare delle organizzazioni femminili indipendenti nelle quali le donne lavoratrici, vincendo la propria timidezza, si sarebbero abituate a parlare nelle riunioni, si sarebbero interessate di questioni sociali politiche, avrebbero sviluppato il loro spirito di iniziativa e imparato a dirigere».
La dura esperienza umana e politica della Torino che l’accolse con freddezza, e quella successiva della guerra, pur vissuta in città, da civile, ma combattendo molte battaglie politiche e culturali, l’interrotto «garzonato universitario», l’incontro con i compagni socialisti, la conoscenza del mondo operaio e dell’organizzazione capitalistica della fabbrica, l’intensa attività giornalistica, l'inserimento in una rete di rapporti stabili con persone... Tutto ciò ha contribuito a cambiare largamente la psicologia di colui che si sentiva un esiliato e ora è un giovane «capo», riconosciuto e anche amato. «Nino» insomma non somiglia più «al giovane timido, tutto raggomitolato in sé dei primi anni torinesi». Anche la sua salute è migliorata, e la sua personalità si impone per autorevolezza agli amici, ai compagni, ai famigliari, con i quali incomincia a dar prova di una vena di pedagogo che insegna innanzi tutto un principio, quello della responsabilità personale, che sempre più col tempo diverrà una specie di chiodo fisso nella sua mente. Scrive per esempio al fratello Carlo, ancora in zona di guerra, ad armistizio ormai raggiunto: «I miei auguri per la promozione. Ricordati che essa ti impone dei doveri e delle responsabilità. Ogni cosa che imprendiamo a fare nella vita, dobbiamo cercare di adempierla nel modo più perfetto. I tuoi obblighi sono accresciuti, non diminuiti: devi studiare, supplire con la buona volontà e col lavoro all’inesperienza della tua giovinezza e degli studi interrotti. Questi doveri tanto più devi sentirli vivamente in quanto ne va della sicurezza e della vita di altri uomini, affidati alla tua capacità e alla tua competenza». Intanto, rientrati dal fronte i vecchi compagni di università (Tasca, Terracini, Togliatti), tutti socialisti come lui, e qualcuno - Angelo Tasca - prima di lui, riparte l’idea di una rivista; rispetto a prima, la grande novità è rappresentata dalla Rivoluzione sovietica; e dal dibattito internazionale, che non è puramente teorico, sulla possibilità della rivoluzione nell’Occidente capitalistico, ma anche sui modi e le vie per «aggiornare» la dottrina marxiana, senza cadere nel revisionismo riformistico. «L’Ordine Nuovo», «rassegna settimanale di cultura socialista», esce in un’occasione eccellente per farsi conoscere: il primo maggio; l’anno è il 1919. Gramsci figura come «segretario di redazione», ma, come unanimemente riconoscono tutte le testimonianze, sarà molto di più: l’autentico animatore di una piccola impresa che colloca Torino in una dimensione internazionale, in fondo non lontana dalle discussioni che gruppi di giovani marxisti imprendono in varie località e situazioni, di qua e di là dell’Atlantico. L’idea iniziale è quella della necessità per il proletariato di costruirsi una propria cultura, base essenziale per lo sviluppo di una coscienza rivoluzionaria; ma essa non esclude, anzi include, preventivamente, l’acquisizione di strumenti più ampi e generali, ivi comprese le maggiori tradizioni culturali che hanno preceduto l’avvento della classe operaia sulla scena mondiale, a cominciare dall’insieme di manifestazioni (scientifiche, artistiche, letterarie...) che possono essere riassunte nella formula della grande «civiltà borghese». In Gramsci è chiaro che la rivoluzione, più che un atto, costituisce un processo; e che alla base di tale processo ci debba essere lo sforzo di acquisizione di consapevolezza politica, e dunque di preparazione culturale, delle classi lavoratrici. Di qui dunque l’importanza decisiva dello sforzo volto ad aiutare un proletariato a istruirsi («istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza», è una delle scritte che occhieggiano sulla testata del settimanale), e più in generale della battaglia delle idee, del lavoro pedagogico e culturale, che procurerà agli «ordinovisti», come incominciano presto ad essere chiamati, le accuse di «culturalismo». Specialmente Tasca subirà tale accusa, in particolare da parte del gruppo di giovani socialisti napoletani che si ritrovano intorno alla rivista «Il Soviet», e al suo leader Amadeo Bordiga. Lo stesso Gramsci, a distanza di oltre un anno dalla fondazione della rivista, ne traccerà un bilancio critico che, in termini francamente eccessivi, riduce le prime settimane della pubblicazione a un modesto zibaldone culturale, animato da buoni quanto vaghi proponimenti; nulla di più, insomma, secondo la ricostruzione autocritica troppo severa del suo animatore, che «il prodotto di un mediocre intellettualismo».