sabato 10 luglio 2004

uno studio sulla democrazia antica

Repubblica edizione di Napoli 10.7.04
LE IDEE
Il governo delle masse e la libertà
di MARCO LOMBARDI


È un libro meditato, difficile e sostanzioso, che il suo autore vorrebbe farci credere di aver scritto quasi per caso, onorando meri obblighi didattici. Impossibile seguirlo su questa strada. Certo Gennaro Carillo, autore di "Katechein. Uno studio sulla democrazia antica" (Editoriale Scientifica, 204 pagine, 14,50 euro) insegna "Storia delle dottrine politiche" al Suor Orsola Benincasa ed è un fenomenale affabulatore, gettonatissimo da pletore di studenti. Un ragazzone di trentasei anni fenomenalmente colto, all´anagrafre accademica allievo di Francesco De Sanctis, convinto che tutto l´importante in Occidente è successo tra 2500 e 2300 anni fa. Non è un caso che Carillo abbia dedicato un bellissimo saggio, qualche anno fa, a Vico, che nell´angusta ma intellettualmente operosissima Napoli di tre secoli fa dialogò, tra gli altri, da pari a pari con Platone. La critica di quest´ultimo alla democrazia, un must della filosofia politica occidentale, è l´attuale interesse di Carillo: questo volume ne è una sorta di ouverture.
Erodoto, Tucidide e la commedia attica sono i luoghi nei quali Carillo si addentra. Dialogo costante con i testi, quindi, e bibliografia selezionatissima: un modo intelligente per farli respirare e consentir loro di sprigionare tutti i conturbanti aromi concettuali, impedendo alla letteratura secondaria quel terribile effetto di soffocamento e di conseguente depauperamento, per chi legge, delle capacità di attenzione.
Il cuore dell´argomentazione è, probabilmente, il seguente: «motivo conduttore della ricerca è l´atto di frenare, il katechein del titolo. Un verbo che evoca passioni imperiose da domare, eccessi di motilità da imbrigliare: il grido (lo phtoggos) di Ifigenia sull´altare del sacrificio (Eschilo, Agamennone, vv.236-237); il passo nervoso di giovenca (schirtema moschou) con il quale Polissena va incontro alla morte, sacrificata vergine per compiacere lo spettro di Achille (Euripide, Ecuba, v.526); le lacrime (i dakrya) di Critone davanti a Socrate morente (Platone, Fedone, 117d2-3). Nelle pagine che seguono il katechein denota un problema costante della democrazia antica, costante almeno quanto il metechein ("la partecipazione") agli affari della polis: la necessità di contenere la moltitudine (il plethos: la maggior parte) entro una giusta misura. Con questo non voglio avanzare, esagerando, la congettura che nel katechein si condensi il problema centrale della democrazia classica (centrale soprattutto per i critici della politeia democratica). Il conflitto di valori tra katechein e metechein e le sue possibili soluzioni rappresentano un aspetto, uno soltanto, di un problema senz´altro più ampio e complesso; tuttavia mi sembra difficile negarne la rilevanza per la storia del pensiero politico».
Tradotto e parafrasato in lingua italiana del XXI secolo: gli antichi dobbiamo studiarli, perché, pur non essendo come noi, risultandoci, anzi, sideralmente lontani e altri, hanno perciò la possibilità di farci riflettere criticamente sul nostro presente: fosse solo per quel loro lessico, che ha modellato il nostro modo di pensare e di agire. Con robusta fantasia interpretativa possiamo cercarvi già abbozzata quella critica alle degenerazioni della democrazia, sviluppata nell´Ottocento, secondo un´angolatura liberale - per loro, naturalmente, improponibile - da Tocqueville. Quasi superfluo sottolineare che questo, oggi, è il problema dei problemi. Dall´America ai Quartieri spagnoli, il disciplinamento della potenza disgregatrice delle masse, senza rinunciare alla libertà, è il banco di prova per la bontà dell´autogoverno e per la capacità dei suoi rappresentanti di agire con efficacia, senza tradirne lo spirito e le garanzie. Altro tema attualissimo, alla luce di quanto sta succedendo in Medio Oriente; un tema sul quale soprattutto a sinistra varrebbe la pena di riflettere più compiutamente.
Conclusioni della traduzione e della parafrasi interamente mie, naturalmente, ché alla acribia e all´avalutatività dello studioso Carillo poco si addicono, in tale esemplificata presentazione. Il suo volume si raccomanda anche per un altro, forse ugualmente, importante motivo, questa volta esprimibile in forma di speranza: che la filosofia, qui a Napoli, si riprenda quell´aggettivo civile che, soprattutto nel Settecento, con essa faceva tutt´uno. Il discorso è lungo, complicato, leggermente doloroso, e, magari, varrà la pena, una prossima volta, di articolarlo più compiutamente. Dopo anni di abbuffate neo-storicistiche e di imbandigioni nichilistico-heidegerrian-decostruzioniste, è forse venuto il tempo di discorsi meno teoreticamente svolazzanti e alla moda, ma, sicuramente, più utili per afferrare il tempo in cui si vive. Una filosofia che, da lontano o da vicino, aiuti a comprendere i nostri nuovi quadri concettuali, può di nuovo onorevolmente assolvere a quel suo ruolo in «soccorso de´ governi» che, ancora nel Settecento, costituì il suo più prezioso e non dimenticato biglietto da visita.
Non so se al vichiano Carillo questo Settecento così marcatamente, sfacciatamente illuministico piaccia; ma lo spirito del suo libro va in quella direzione, nel modo compiuto che non può farcelo assolutamente considerare il truciolo di bottega di un artigiano in altre, apparentemente più serie, faccende affaccendato.